Dario fo, biografia di un premio nobel: il mistero buffo e franca rame

Creato il 24 marzo 2014 da Postpopuli @PostPopuli

di Claudia Boddi

Dario Fo, biografia di un Premio Nobel: il Mistero Buffo e Franca Rame

Drammaturgo, premio Nobel nel 1997, Dario Fo nasce il 24 marzo 1926 nella provincia di Varese, da una famiglia semplice di tradizione antifascista. Trasferitosi presto a Milano, frequenta l’Accademia delle Belle Arti e lascia la facoltà di architettura, cui era iscritto, prima della laurea.

I primi anni della sua attività artistica sono caratterizzati dall’improvvisazione farsesca e satirica delle storie che spesso inventa tout court, quando è in scena. Agli inizi del decennio che darà i natali alla televisione, collabora con la Rai recitando in alcune trasmissioni radiofoniche i monologhi del “Poer nano” che poi verranno rappresentati al Teatro Odeon di Milano. Vittima talvolta della censura politica che si abbatte su alcuni suoi copioni, per così dire “troppo satirici” nei confronti dei conflitti che animavano la vita pubblica italiana del tempo, gli capita talora di abbandonare per protesta spettacoli già in programmazione: uno su tutti, il “Sani da legare” del 1954 cocreato con Parenti e Durano.

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La sua carriera artistica procede insieme alla moglie Franca Rame, con la quale propone soggetti sempre innovativi per il teatro, la televisione e il cinema. Del 1969, la sua opera più famosa: “Mistero buffo”. È qui, infatti, che sentiamo parlare per la prima volta del “Grammelot”, il linguaggio creato dall’autore, costituito da un miscuglio di dialetto medievale unito al parlato popolare padano, con espressioni antiche e neologismi coniati ad hoc, per un’espressività linguistica geniale e di stupefacente impatto sul pubblico, in particolare, se coniugata alla plasticità mimica dell’attore.

Lontano per molti anni dalla televisione, a causa delle correzioni proposte sovente ai suoi copioni, fonda il “Collettivo Teatrale la Comune” con il quale, negli anni Settanta, occupa la Palazzina Liberty a Milano: uno dei luoghi centrali del teatro di controinformazione e mette in scena i suoi spettacoli. Dopo la morte di un ferroviere Pinelli, esordisce con “Morte accidentale di un anarchico”. Dopo il colpo di Stato cileno, scrive “Guerra del popolo in Cile” dove si riscontrano facilmente riferimenti riconducibili al governo di Salvador Allende e alla situazione sociopolitica italiana. Nel ’77 termina il suo esilio televisivo (fatto più unico che raro nel nostro paese) e torna sugli schermi con proposte sempre dissacratorie e incisive sulla realtà del momento.

Passando per una fitta rete produttiva di lavori, pubblicati anche con Einaudi, negli anni immediatamente successivi, arriviamo al 1997, anno in cui gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura “per aver emulato i giullari del Medio Evo, flagellando l’autorità e sostenendo la dignità degli oppressi” – come recita il comunicato stampa della Fondazione Nobel, che prosegue -: “Dario Fo, con un misto di riso e di serietà ci apre gli occhi sugli abusi e sulle ingiustizie della società, aiutandoci a collocarli in una prospettiva storica più ampia”.

Il conferimento di questo premio suscita reazioni controverse nell’opinione pubblica italiana: il suo stile poco definito e composito, spinge taluni a gettare dei dubbi sul fatto che Fo possa essere propriamente definito uno “scrittore” o un “letterato” ma lui, non solo si bea della gloria raggiunta, ma usa il momento della premiazione per farsi testimone della campagna lanciata dal Comitato Scientifico Antivivisezionista, e da altre associazioni europee, denominata “Per opporsi al brevetto dei geni, non occorre essere dei geni”.

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