Dario Scorza: l’Emozionante Gioco dell’Artista

Creato il 08 marzo 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Emanuela Riverso

Nell’Erlebnis artistico di Dario Scorza, affermato pittore catanzarese, esperienza estetica ed esperienza religiosa sono un unicum imprescindibile, «come fu per Van Gogh» mi ricorda durante il nostro incontro, per farmi un esempio illustre e chiarificatore; quando curioso fra le tante tele nella sua casa di Catanzaro mi colpiscono l’armonia dei colori, i giochi, la luce, le variazioni. Tutto esce con potenza immediata dalle sue opere che mantengono nel tempo la caratteristica di essere innovative, fresche, luminose; mi riferisco fra le altre, alla Terza Navigazione, una tela di grandi dimensioni, realizzata proprio negli ultimi anni, in cui l’accostamento armonico dei colori e la luce trasmettono un messaggio rassicurante e sereno; il titolo dell’opera è preso in prestito da un libro di esegesi di Agostino di Ippona sulla prima epistola di Giovanni che, in polemica con Platone, ricordava la via dell’amore cristiano per navigare nel mare della vita. Dario si è imbattuto in questo commentario frequentando il gruppo di studio della comunità valdese di cui fa da sempre parte; già a suo padre, Ernesto Scorza, era stato affidato il compito di redigere un resoconto della vita della comunità, pubblicato nel 1987 da Effesette con il titolo Diario di un Valdese, le comunità di Catanzaro e Vincolise (1904-1979). Dunque dietro ogni tela c’è un vissuto carico di emozioni che Dario Scorza riesce a trasmettere con naturalezza; nell’intervista l’artista ci spiega anche i segreti della sua forza comunicatrice e le direttrici del suo messaggio che l’osservatore percepisce istintivamente attraverso i colori del dipinto e i riferimenti simbolici fortemente evocativi.

Nella tua carriera di pittore sei passato dal periodo impressionista ed espressionista ad un nuovo modo di concepire l’arte: come un gioco, libero dagli schemi e con tanta voglia di sperimentare. Ci puoi spiegare e raccontare le fasi di questa evoluzione?

«Le correnti dell’arte si proiettano su di un piano verticale come se si rincorressero fino ai nostri giorni, esse si trovano e si ritrovano nella nostra esperienza storica e si adagiano su di un piano solo che è insieme di infinite dimensioni spaziali e temporali. È come lo zibalDario. Il pensiero si attualizza nel presente, ma l’attualità è reale come presente, passato e futuro. Il vissuto va incontro al dispiegarsi, non si tratta tanto di evoluzioni, quanto di altra cosa, molto probabilmente la mia è l’esigenza di essere tutt’uno con quello che ti circonda e ti avvince. Il mio pensare l’arte sostenuto su chiave ontologica, che poi sono andato a relazionare in rapporto dialogante con la storia, ha abbracciato, in costante ricerca e relazione con l’attualità, quei messaggi preziosi e scelti del divenire contemporaneo. La lettura l’ho sciolta nel vissuto e, quindi, nel gioco, inteso come bontà del quotidiano, come piacere, come soluzione, come il bello che entra nelle cose pensate e fatte, facendone parte esso stesso, senza alcuna volontà logica o involontaria di uscirne. L’autentica centralità del gioco non è tanto la soggettività ma il gioco stesso che anche nella pluralità culturale ha legato la diversità come essenza collettiva. L’attualità è reale. La parola gioco si riferisce all’assunto di grandi pensatori; Kant sostiene una coincidenza di arte come gioco, in quanto libero ed armonico esercizio della facoltà spirituale. La mia evoluzione viene a compiersi all’atto stesso del farsi, giacché contiene in sé l’Erlebnis, il già trascorso che “è”».

Hai dedicato un bellissimo quadro all’artista catanzarese Mimmo Rotella di cui si è appena conclusa la mostra “Atto d’amore” a Milano; cosa vi accomuna e cosa vi rende distanti?

«Ho frequentato Rotella più a Milano che a Catanzaro. Ricordo che in una occasione siamo stati insieme a cena sui navigli con Craxi e Omar Fedhan, grande maestro d’arte, che arrivò in ritardo anche in quella occasione. Io sono arrivato con mezz’ora di anticipo, come al solito. Con Rotella abbiamo spesso condiviso delle ore a discutere d’arte e diverse ore alle mostre, in cui si tratteggiavano le nuove correnti contemporanee ed in cui spesso i ragazzini prendevano pezzi dei suoi quadri e li portavano via come tesori. Devo dire che mi ritrovo molto nel coraggio di Rotella, nella volontà di osare e andare oltre le convenzioni, così nel lavorare pensando su carta, e nel collegamento con Omar che lo stesso Rotella riconosce come riferimento. Diciamo che la mia espressione si sprigiona più liberamente, Rotella seguiva dei cliché con metodo e costanza che, molto spesso, si ponevano a guida del suo stesso lavoro. Io prediligo la libertà che porta con sé ed in sé il patrimonio del vissuto».

Aspetto interessante e peculiare della tua produzione artistica è la continua evoluzione. Un dipinto completato in un determinato momento, in una fase successiva può essere rimaneggiato, variato, modificato. Cosa ti induce a trasformare le tue opere concluse in altre e nuove opere finite?

«“Il suo lavoro consiste in una indefinita serie di passaggi – così sostiene del mio fare il critico d’arte Michele Caldarelli – operati su un canovaccio iniziale, fissandovi immagini a stampa, porzioni delle stesse, applicando il pigmento a campiture di varia misura, ora costruite da segni repentini, ora aggiustate da ripensamenti, aggiunte, cancellazioni, coperture. In un solo istante, riproponendo paradossalmente una potenzializzazione della sequenza, l’insieme delle azioni costituisce l’opera, congelata nell’istante assoluto, super temporale”. La mia evoluzione è fatta di passaggi tecnologici che mettono insieme corpo, verità, metodo, epicità, dramma, allegrezza, passione. Non saprei ben definire il meccanismo per cui il trasferimento dei simboli sulla tela possa venire a percezione: spetta a chi legge questa attività simbolatrice in virtù della quale un mondo interiore giunge a trovare espressione in una esteriorità».

Due principi che mi sembra di aver individuato come una costante e che secondo me possono sintetizzare il tuo pensiero e la tua produzione sono “libertà” e “verità”. Penso alle parole di Kant, Pareyson e Gadamer che ti è capitato spesso di citare e ai tuoi dipinti Freiheit: il muro di Berlino, Pace in medio… Che valore hanno per te nell’arte e nella vita la libertà e la verità?

«Le esperienze che si sviluppano attorno alla cultura umanistica trovano una certa difficoltà a dimostrare una propria verità. Il sapere scientifico si è fatto forte delle applicazioni tecniche corrispondenti al vero. All’artista quindi è toccato correlare verità e libertà in modo da far considerare il proprio valore di esperienza di verità. Questa esperienza viene rivendicata anche da Gadamer come basilare ai fini di una effettiva comprensione dell’opera d’arte, ma in termini completamente differenti».

A proposito di libertà nel bellissimo articolo “Dario Scorza e lo spirituale nell’arte” apparso nel 2004 sulla rivista mensile Calabria Letteraria, Giuseppe Mascaro scrive: «La pittura deve essere intesa come ricerca di libertà interiore, e quindi non può appartenere a movimenti politici e non può essere espressione di conformismi e bigottismi religiosi». Tonio Sicali mette invece in evidenza il tuo passato nella vita politica della città di Catanzaro e la tua appartenenza alla comunità valdese che caratterizza la tua pittura definita etnica. Ci puoi spiegare come si conciliano questi due aspetti solo apparentemente contraddittori e quale è il rapporto fra fede e arte nelle tue opere?

«“Qui non intelligit res, non potest ex verbis sensum elicere” diceva Lutero. La verità vi farà liberi. Da dove nasce questo precetto? Nasce dal mondo platonico che ha influenzato il Cristianesimo, tanto da stabilire alcuni punti fermi, come la coincidenza ed unicità imprescindibile dei concetti. La fede e l’arte si conciliano nelle mie opere, come una esistenza-consistenza congiunta. Fede e arte si legano nell’evento di un divenire materia che abbraccia il tutto. La ricerca estetica-etica e storica della libertà è peculiare sin dalla prima educazione protestante, che ha tracciato un segno indelebile nella mia vita. Heidegger afferma che l’estetica assume l’opera d’arte come oggetto e precisamente come l’oggetto dell’espressione sensibile, nel senso più ampio. Oggi questa espressione prende il nome di esperienza vissuta, che è fatta valere come criterio originario non solo di godimento artistico, ma della stessa produzione dell’opera. Al mutamento dell’essenza della verità fa riscontro la storia dell’essenza dell’arte occidentale. Questa non va intesa solo nella sfera della bellezza compiuta, ma a partire dall’esperienza vissuta, ammesso che il concetto astratto penetri nella sua essenza di verità e libertà».


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :