Ci sono meno paletti a cui stare attenti nella pellicola di Paquet-Brenner, meno ostacoli di trama che in "L'Amore Bugiardo: Gone Girl" dovevano essere efficacemente saltati per non rovinare una visione altrimenti priva di colpi di scena e capovolgimenti di fronte. E' tutto piuttosto chiaro infatti in "Dark Places: Nei Luoghi Oscuri", o perlomeno lo è in un incipit che, semplicemente, racconta di una donna, scampata al massacro della sua famiglia da bambina, che venticinque anni dopo si trova ad essere ingaggiata da un ragazzo appartenente a un'associazione di principianti investigatori, che vuole convincerla a riaprire il caso sostenendo che, secondo una teoria articolata, a commettere il famoso reato non sia stato il fratello di lei - incoraggiato dalla setta satanica a cui apparteneva - ma qualcosa di più complesso e tenebroso. Un dark-thriller molto convenzionale, quindi, in cui la Charlize Theron protagonista non lotta per sé stessa con la medesima ostinazione praticata da Rosamund Pike, ma solo per la ricompensa in denaro promessa in cambio, da accumulare alle altre donazioni anonime, ricevute a catena (e in diminuzione), con le quali per una vita ha vissuto e sulle quali ha deciso di aggrapparsi pur di non reagire fisicamente ed emotivamente al dolore che gli era stato afflitto. I luoghi oscuri del titolo, diventano allora, per lei, quelli che improvvisamente, e non con immediata semplicità, è chiamata a rivisitare per far luce su una vicenda colma di vuoti e di sfocature, una vicenda che la trascina in una ricerca da eseguire sia sul campo (quindi fisicamente), sia tra i ricordi della mente (quindi emotivamente) e che la riporta laddove aveva deciso di non tornare e di non vedere mai più.
E' probabile che per certe storie, magari, siano indispensabili certi registi, come sono indispensabili certe collaborazioni e certe mescolanze per dar vita alla perfezione. La collaborazione Flynn-Fincher ha funzionato in questo modo, mentre è venuta a mancare in "Dark Places: Nei Luoghi Oscuri" tra la stessa autrice e Paquet-Brenner. Gli spunti di entrambi i lavori erano ottimi, ma a quanto pare il processo con cui questi sono stati gestiti ha portato ad una netta differenza di categoria.
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