Dark shadows
Ne è passata di emoglobina sotto i ponti e un affollatissimo parterre di canini ha sfilato sui red carpet dei film più vari, prima che l'idea di vampirizzare il fido Johnny Depp mordicchiasse la fantasia gotica di Mr Tim Burton. Nel frattempo, a Robert Pattinson è cresciuta la barba e Coppola con Twixt è tornato ad occuparsi di succhiasangue, a vent'anni di distanza dal suo Dracula di Bram Stoker. Era certo che, presto o tardi, il creatore di Edward mani di forbice non sarebbe mancato all'appuntamento con il mostro più celebre della cultura occidentale, nonché della storia del cinema. Dal Nosferatu di Murnaudel 1922 fino all'imberbe saga di Twilight, sono decenni ormai che il nostro pallido amico, protetto dalle tenebre della sala cinematografica, infesta gli incubi in celluloide del pubblico di tutto il mondo.Eva Green
A ben vedere, gli ingredienti ci sono tutti: i trasformismi di Johnny Depp, la vocazione da caratterista di Helena Bonham Carter, le suggestioni sonore di Danny Elfman, una villain che non sbiadisce di fronte al ricordo dei cattivissimi Joker, Catwoman e Regina Rossa, l'estetica horror-pop che è diventata marchio di fabbrica del prodotto Tim Burton e, dulcis in fundo, il consueto pastichecitazionista che fa gridare al post-modernismo, questa volta infarcito di riferimenti che vanno dalla Bella e la Bestia, al zemeckiano La morte ti fa bella, con la Bonham Carter che non vuole invecchiare e le gote della strega che si sgretolano come quelle di un bambolotto di porcellana. I momenti esilaranti sono piuttosto scontati, ma comunque non sgradevoli: il topos dell'eroe che si trova catapultato in un'altra epoca di cui stenta a capire usi e costumi si incarna in una serie di gag gustose, come quella della “M” di McDonalds interpretata come la M di Mefistofele, la chiacchierata surreale con i figli dei fiori e la battuta su Alice Cooper, “la donna più brutta che abbia mai visto”. Se non bastasse, il mito draculesco regala a Burton la possibilità di rivisitare (per l'ennesima sacrosanta volta) tutti i temi cari alla sua poetica. Anzitutto, nella sua incapacità di adattamento al mondo circostante, vuoi per una distanza cronologica vuoi per incompatibilità esistenziale, la figura del vampiro si posiziona come antesignana al carrozzone di deviati e saltimbanchi che le favole nere del regista ci hanno fatto amare e temere insieme. Le storie di Burton si giocano sempre sull'incontro di due universi separati. Il lugubre castello fuori dal tempo di Edward e il vicino sobborgo color pastello popolato da ipocrite e pettegole consumatrici; l'avidità politica, con il suo corollario di violenza legalizzata, che si erge nei grattacieli di Gotham City contro il magma folle e brutale delle fogne batmaniane; la multiforme città di Halloween contro la piattezza della città di Natale in Nightmare before Christmas. Fino alla vertigine finale di Big Fish, con il suo epilogo agrodolce, dal sapore felliniano, che in una medesima onirica inquadratura azzarda realtà e fantasia, verità e bugie.Helena Bonham Carter
In Dark shadows, il piacere per la dicotomia si rinnova nell'ovvia contrapposizione tra mondo dei vivi e quasi-cadaveri che il fardello vampiresco trascina con sé. Chi meglio di un non-morto può rappresentare la nota ossessione del regista per la morte? Tralasciando Edward mani di forbici, che addirittura può dirsi un non-nato, essendo stato frankensteinamente creato da Vincent Price-Geppetto, sono molti i personaggi burtoniani che condividono una singolare invulnerabilità di fronte alla legge universale del trapasso. Si pensi ai due Batman, in cui Joker sopravvive alla vasca di acido e Catwoman alla caduta da un palazzo, o all'enigma da eterna giovinezza che sembra custodire la faccia di Willie Wonka. Ed è appunto nell'istante in cui la morte viene rimossa, che questa riemerge prepotente come devianza. La morte va poi a braccetto con l'istinto sessuale, che ben si sposa con la tradizionale macabra sensualità del vampiro. L'amore casto e puro di Barnabas per Josette è orribilmente inquinato dalla peccaminosa attrazione per la strega Angelique. Non a caso, l'incontro carnale tra questi due avviene sotto forma di una effervescente guerra tra poteri sovrannaturali, grottesca e caricaturale. La stessa ridicola oscenità (e volgarità) è nei gridolini di piacere delle megere kitch di Edward mani di forbice, lo stesso desiderio malsano unisce Mrs Lovett e Sweeney Todd, la stessa smania disgustosa fa parlare i malvagi di Gotham City. La misura dei corpi burtoniani resta quella del disagio per la propria fisicità, che tuttavia dall'altro lato della medaglia nasconde sempre una straordinarietà di segno positivo. In definitiva, la dentiera aguzza e insanguinata indossata questa volta da Depp non sembra aggiungere davvero nulla di nuovo al già ricco museo di mostruosità accumulato dal regista. Una galleria di ritratti che rischia ad ogni pellicola di perdere un altro po' della sua carica sperimentale, per adagiarsi nella comoda bambagia di una anormalità visiva ripetitiva e ottusamente manierista.