David Eddings: Belgarath il mago

Creato il 04 febbraio 2014 da Martinaframmartino

Ho riletto Belgarath il mago perché da alcuni anni ho in mente un certo articolo, e forse prima o poi mi degnerò di scriverlo. Detto così suona un po’ folle, vero? Ho letto un libro di 700 pagine – e le informazioni che mi interessavano si trovano nelle prime 200 – avendo in mente un articolo che forse nemmeno scriverò mai, e sapendo che questo non è l’unico libro che mi serve per quell’articolo.

Se mai lo scriverò ve lo farò sapere, per ora mi soffermo sul primo volume firmato da David e Leigh Eddings.

Il romanzo è del 1995, a quella data David Eddings aveva già pubblicato 16 romanzi: i cinque della Saga dei Belgariad (Il segno della profezia, La regina della magia, La valle di Aldur, Il castello incantato e La fine del gioco), i cinque della successiva Saga dei Mallorean (I guardiani della luce, Il re dei Murgos, Il signore dei demoni, La maga di Darshiva e La profetessa di Kell), i tre della Trilogia degli Elene (Il trono di diamante, Il cavaliere del rubino e La rosa di zaffiro) e i tre della successiva Trilogia dei Tamuli (Le volte di fuoco, I demoni della luce e La città del nulla). Aveva anche pubblicato due romanzi non di genere fantasy mai tradotti in Italia, High Hunt e The Losers, ma quelli per me contano poco sia per la non appartenenza al genere sia perché non sono stati tradotti. Il nome di Leigh però compare per la prima volta sulla copertina di un libro proprio con Belgarath il mago, per poi diventare una presenza fissa con tutte le opere successive. Secondo David lei è sempre stata fondamentale fin dall’inizio, anche quando la cosa non era stata dichiarata ufficialmente, e chi sono io per smentirlo?

I miei rapporti con i coniugi Eddings sono sempre stati pieni di alti e bassi. Con le loro opere, ovviamente, loro non li ho mai conosciuti.

Ho letto Il segno della profezia per la prima volta nel 1988. Leggevo fantasy da poco, conoscevo giusto qualcosa di J.R.R. Tolkien, Michael Ende, Marion Zimmer Bradley e Terry Brooks. Onestamente l’ho trovato carino ma non mi ha folgorata. I personaggi erano divertenti, ma mi sembrava che girassero un po’ troppo a vuoto qua e là senza avere le idee precise su cosa fare per sconfiggere il loro nemico. E poi, come La spada di Shannara di Brooks, era troppo tolkieniano. Quando leggevo La spada di Shannara ero in grado di prevedere cosa sarebbe avvenuto con parecchie decine di pagine d’anticipo, malgrado la mia scarsa conoscenza del genere, perché avevo letto da poco Il signore degli anelli. Non c’è mai stata un’accusa di plagio nei confronti di Brooks, ma nemmeno i suoi fan più accaniti credo possano negare il legame fra le due opere. Poi Terry ha scritto tante altre cose, ma gli inizi sono questi (e comunque sono stati fondamentali per la popolarità del genere).

Brooks non aveva una sua voce, e Eddings neppure. Sì, era più leggero e divertente, ma anche meno concreto e comunque si rifaceva nemmeno troppo velatamente allo stesso modello di Compagnia e Cerca. Non dico che questi due elementi li abbia inventati Tolkien, ma il modo in cui sono usati nella fantasy moderna sì e di imitatori ce ne sono stati fin troppi. Certo, c’è stato anche chi si è ispirato volendo fornire al lettore una solida base su cui camminare per poi tirargliela via all’improvviso da sotto i piedi, come ha fatto Robert Jordan con La Ruota del Tempo, e chi ha ripreso certi schemi per donargli nuova vita, come ha fatto Guy Gavriel Kay con la Trilogia di Fionavar. Entrambi sono partiti da Tolkien ma non lo hanno mai imitato, e hanno realizzato un convincente e affascinante cammino personale.

Eddings partiva da Tolkien. Nel Codice Rivano definisce senza mezzi termini Il signore degli anelli una “minestra riscaldata” (pag. 11) ma poi, fatti quattro conti di tipo economico (e non di tipo artistico) si è lanciato anche lui nel genere. Con un approccio così disincantato e calcolatore c’è da stupirsi che abbia ottenuto il successo che poi ha ottenuto, o forse sono solo io che sono ingenua e credo ancora alla necessità dell’ispirazione e della passione, oltre che del duro lavoro. Fatto sta che per pagine e pagine Garion & co. non hanno fatto altro che girare a vuoto, in attesa di capire come fare a far iniziare la storia.

Queste sono le mie impressioni iniziali, mai dimenticate da quasi trent’anni. Però, superato il primo romanzo, ho iniziato a divertirmi. Eddings aveva un modo di sdrammatizzare il tutto, ed era capace di creare personaggi così divertenti, che mi ha agganciata e sono arrivata alla fine della saga. Due-tre anni più tardi ho letto i primi tre volumi dei Mallorean. Mi sono fermata al terzo perché lì si è fermata la mia biblioteca, e se Eddings mi divertiva, non mi piaceva comunque così tanto da spendere soldi per lui. Questo dopo aver già comprato opere come Il signore degli anelli o Le nebbie di Avalon nonostante il fatto che le avessi già lette.

Nel 1998, in un’altra biblioteca, mi sono imbattuta negli Elene. Giusto per chiarire un paio di cose, nel corso della mia vita io ho fatto una quindicina di tessere di biblioteche diverse, e dal 1988 scrivo sempre su un quaderno che libro ho letto e quante volte l’ho letto, perciò riesco a ricostruire le mie letture con una certa facilità. Li ho letti tutti e tre in un soffio, e mi sono divertita come non mi ero mai divertita prima con Eddings, tanto è vero che poi ho letto i Tamuli, ho comprato usati (ormai erano fuori catalogo) Belgariad e Mallorean e me li sono letti tutti nell’arco di pochissimo tempo. Quando sono riuscita ho letto anche Belgarath il mago e Polgara la maga, anch’essi fuori catalogo (ho fatto la tessera di una biblioteca apposta per poter leggere Polgara) e ho comprato i successivi, Il codice rivano, La redenzione di Althalus e i primi due della Saga dei sognatori, Gli dei delle origini e La grande dea.

I Mallorean finiscono in un modo non tanto convincente, ma visto che mi ero divertita per quasi tutta la lettura non mi sono preoccupata più di tanto della cosa. Eddings non va mica preso sul serio, giusto? E se qualche cosa non torna, pazienza. Belgarath e Polgara, pur essendo più leggeri ed essendo fondamentalmente dei prequel ambientati in periodi di cui conoscevamo già gli eventi principali, mi avevano divertita. Il codice rivano è costituito dai materiali di lavoro. Secondo me lo dovrebbero leggere tutti gli aspiranti scrittori di fantasy per capire quanto noioso lavoro sia necessario prima di poter cominciare a scrivere, e la sua introduzione non solo è divertente ma mi è pure tornata utlie in diversi articoli. La redenzione di Althalus all’inizio era divertente, anche se un po’ sotto tono, poi è andato alla deriva ed è diventato privo di significato. La storia proseguiva, non era questo il problema, ma le premesse erano tutt’altro che ben sviluppate. Per la verità secondo me con quelle premesse era impossibile ricavare qualcosa di serio, ma tant’è.

Gli dei delle origini mi ha fatto capire che ancora non avevo visto il peggio. Sapevo che negli Stati Uniti era stato un fiasco, e leggendolo ho capito perché. La grande dea è, a tutt’oggi, uno dei due soli libri a cui io ho assegnato una sola stella in una recensione su FantasyMagazine: http://www.fantasymagazine.it/libri/8293/la-grande-dea/. Con i due successivi, Abisso di cristallo e Gli eredi degli dei la situazione, difficile da credere ma è così, è persiono peggiorata, tanto è vero che sono contenta di aver preso i libri in biblioteca e di non aver buttato via altri soldi. Con quest’ultimo volume, nel 2009, ho più o meno chiuso i rapporti con Eddings. Più o meno perché esistono sempre le riletture. L’ho già detto, io sono una che rilegge (http://librolandia.wordpress.com/2013/07/02/guy-gavriel-kay-e-le-riletture/). Lo faccio per piacere, ma a volte lo faccio anche per qualche articolo che ho in mente.

Alti e bassi. Ora siamo in fase di bassa. Un passaggio mi ha irritata in modo particolare, a pagina 320. Sta per nascere il figlio di Riva Stretta di Ferro e un messaggero gli dice “«Le donne gridano sempre quando mettono al mondo un bambino, milord. Mia moglie ne ha avuti nove e continua ancora a gridare. Non vi sembra che ci si dovrebbero abituare?»”. Io di figlie ne ho avute due e non mi sono affatto abituata. Anzi, mi arrabbio quando un uomo, che non può avere la minima idea di cosa si provi, si permette di fare affermazioni del genere. So che è solo la battuta di un romanzo, ma la cosa mi irrita lo stesso. Ma cosa ne può sapre un uomo di cosa significhi mettere al mondo un bambino? E come si permette di sminuirlo? Dal giorno in cui è nata Alessia io so con assoluta certezza che noi donne siamo più forti degli uomini. E meno male, altrimenti il genere umano si sarebbe estinto da un pezzo.

Fine della parentesi uomo/donna, passiamo alla querelle con il romnzo. Ma a Eddings sembra serio questo libro? Va bene, la prima volta che l’ho letto mi ero divertita, e non ero più neppure una novellina come quando avevo letto Il segno della profezia, perciò qualcosa di buono lo deve pur avere. Però è tutto troppo semplice. La Necessità dice ai protagonisti cosa devono o non devono fare, e loro si comportano di conseguenza. La Necessità dice che non è ancora il momento per uno scontro? E loro lo ritardano. Ma perché Torak si piega alla loro Necessità? Ha tanta paura di fare qualcosa di imprevisto? Ma siamo seri, assedia una città per anni con il suo esercito senza uscire dalla sua fortezza mobile perché la Necessità dice che lui non deve intervenire nell’assedio, e alla fine se ne va sconfitto? E tutte quelle spiegazioni campate per aria perché “l’amico di Garion” gli ha detto come comportarsi e Belgarath e compagnia devono indurre gli altri a fare quel che vogliono loro ma senza spiegargilene il motivo? Odio quando l’unica spiegazione che viene fornita è che è tutto guidato dalla Necessità. Dimmi che qualcuno ha improvvisato e gli è andata bene (o male) e non ho problemi. Forniscimi spie, magie, guerrieri, motivazioni convincenti o dimmi che non sono affari miei, ma non parlarmi della Necessità come se fosse una forza che influenza tutta la storia, altrimenti la storia stessa non ha più ragione d’essere. E i tizi che agiscono agli ordini di Belgarath senza spiegazioni se non un “vorrei dirtelo ma non posso” non mi sembrano tanto seri. Aggiungiamo il fatto che le battaglie sono ridicole perché nulla è preso sul serio, e possiamo capire perché sono stata delusa dalla rilettura di questo libro. Non che io non stia rileggendo anche Polgara, ma davvero questi sono libri che possono essere dimenticati. Peccato.



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