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DAVIDE MAZZON, Quale dignità al termine della vita? Considerazioni etico-deontologiche, in Recenti Progressi in Medicina

Creato il 27 gennaio 2016 da Paolo Ferrario @PFerrario

Sono sotto gli occhi di tutti i profondi mutamenti che negli ultimi decenni sono avvenuti nelle modalità del morire: la morte non è più un “evento” puntuale, spesso improvviso, imprevisto e imprevedibile, bensì un “processo” gestibile dalla medicina. Oggi, infatti, la morte per malattia avviene sempre più spesso in persone di età avanzata, a conclusione di malattie cronico-degenerative, alla fine di un lungo percorso di cure in cui la fase terminale può essere meno dolorosa ma più protratta rispetto al passato; addirittura il processo del morire può venire ritardato, mediante il ricorso alle cure intensive.

Non è quindi più possibile appellarsi a una presunta “naturalità” degli eventi che portano a compimento il processo del morire, allorquando esso è soggetto al dominio della modulazione da parte delle potenzialità offerte dal progresso tecnico-scientifico. Il filosofo Alberto Schiavone chiama in modo molto efficace “artificialità negoziata” questa trasformazione culturale con cui la percezione della morte viene trasportata da evento affidato a una naturalità immodificabile a evento entrato nelle nostre possibilità di decisione1. Questa “artificialità negoziata” si realizza oggi idealmente in quella camera di compensazione fra autonomia del medico e autonomia del malato che è lo spazio del cosiddetto “consenso informato”, che accompagna tutto il percorso di cura delle malattie sino alle loro fasi finali.

Negli ultimi decenni, in cui quindi la morte si è trasformata da “evento” a “processo”, il ricorso alle opportunità offerte dalla scienza si è avvalso del contributo della riflessione bioetica, denominata ora “coscienza critica del sapere scientifico”, ora “fiume di cui sono tributari numerosi affluenti”, alludendo alla natura multidisciplinare e interprofessionale2. La riflessione bioetica colloca queste opportunità nella dimensione umana della cura e cioè della finitezza dell’esistenza, del contesto relazionale in cui si colloca l’esperienza della vita di ciascuno, in un contesto più ampio che è quello della gestione dei sistemi sanitari, sempre più alle prese con la necessità di bilanciare l’equità con la sostenibilità. Infine, la riflessione bioetica è spesso chiamata in causa per qualificare i trattamenti sanitari in relazione al concetto di “dignità” della persona.

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Sorgente: Recenti Progressi in Medicina | Quale dignità al termine della vita? Considerazioni etico-deontologiche


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