Di nuovo.
Avrò pensato “di nuovo” centinaia di volte in questi primi giorni a Bangalore. Dopo il “paradiso all’improvviso” di KL e Bangkok, mi è sembrato di ritornare in Bangladesh. Fortunatamente, il mio allenamento era stato ottimo: il casino di Dhaka e la settimana in villaggio mi avevano temprato più che abbastanza.
A detta di tutti, Bangalore è la Silicon Valley indiana, magari vero nella sostanza ma poco all’apparenza. Il contrasto è stridente fra povertà e benessere: vedi mendicanti accanto ai Nike Store dove va a fare shopping la Bangalore bene. Il tutto diventa più accentuato se entri nell’hotel dove c’è il party di turno. Feste in piscina, europei e indiani insieme che si divertono al ritmo di musica indiana, rigorosamente fino alle 23.30. Dopo quell’ora i locali, per legge, spengono la musica e il party si sposta a casa di qualche pappone locale.
Tornando a me. L’arrivo in ostello è stato molto brusco, mi presento all’hostel office ma non c’è nessuno! Il poliziotto di turno fa un paio di chiamate e dopo una ventina di minuti vengono ad aprirmi per il check-in. Molto scortesemente, forse indispettiti perché arrivato troppo tardi, mi chiedono fotocopie di mille documenti: passaporto, visto, lettera di accettazione, assicurazione sanitaria e tre fototessere. Chiedo di indicarmi una fotocopiatrice, ma l’uomo delle fotocopie è a cena. Dovrò tornare la mattina seguente. Sempre più incazzato il tipo mi indica la camera con una serie di gesti, “100 metri sono troppi per potermi accompagnare, eh?”.
Con una piccola chiavetta, apro il lucchetto che chiude la mia camera e… “et voilà”! Di nuovo!
La cella di prigione (3m x 4 m) nella quale entro, sarà la mia cameretta per i prossimi tre mesi. E’ multi accessoriata: brandina senza lenzuola, scrivania senza cassetti, un vecchio armadio scassato ricoperto di nastro adesivo e una patina di polvere che ricopre ogni oggetto.
In India la burocrazia è mastodontica, tanto da farmi rimpiangere quella italiana, che, a confronto, è paragonabile al Welfare State scandinavo. Alla mensa del campus, mi hanno negato una bottiglietta d’acqua del valore di 15 rupie perché non sapevo il mio numero di matricola, da scrivere in un registro con tutti gli acquisti del semestre. La cosa assurda è che molto spesso le risposte che ricevi variano a seconda del loro umore: ti guardano, muovono la testa a pendolo assumendo un’espressione schifata, e non capisci mai se la risposta sia un sì o un no.
Penso sia solo questione di tempo e di abitudine…so far so good!
G.