Sabato 3 maggio
Ebbene sì, oggi è giunto il momento di partire. Il nostro aereo decollerà alle 18 circa e questo perlomeno di permette di essere tranquilli almeno fino a dopo pranzo.
Il proprietario della china-casetta passa a salutarci alle 10, lasciamo lì le valige perché i ragazzi dopo di noi arriveranno solo la sera quindi avremo l’appoggio fino alle 15. Ora in cui il proprietario, gentilmente, ci ha prenotato il suo chino-taxi. “Perché costa meno, regà”.
Decidiamo di fare un ultimo giro di shopping tra Broadway e Soho, lungo la strada incrociamo il negozio al posto del quale negli anni ’70 sorgeva il famosissimo locale CBGB, icona della storia underground rock e punk non solo degli USA ma del mondo. Ecco come appariva:
Ed ecco come invece appare oggi, un negozio da uomo con un nonsoché di hipster secondo me:
Se ve lo steste chiedendo, solamente la restroom è rimasta quella originale:
Che gran peccato, ragazzi.
Proseguiamo verso Union Square e vista la fantastica giornata ci sediamo a prendere un pò di sole nel giardino centrale circondati da tavolini, persone che pranzavano (e anche noi l’abbiamo fatto mangiando una bella insalatina bio di un bakery poco lontano), scoiattolini che volevano qualche briciola del nostro cibo e dall’atmosfera tipica che solo NYC sa dare e che presto dovremo (tristemente) abbandonare.
Ritorniamo a casa per un momento di ripiglio, prendiamo le nostre valige e scendiamo sotto casa. Da qui, le prime vicissitudini:
- Arriva un chinese my friend con una Lincoln nera (chiaramente un taxi non ufficiale). Apre il bagagliaio, una roba profonda che non vi dico. Mai visto. Ora capisco dove mettono i cadaveri.
Comunque, saliamo e nonostante tutto la macchina era bella comoda e confortevole. (Ancora qualche momento di riflessione, prego). - Dopo che il chinese my friend ci ha smollati all’aeroporto, andiamo alla macchinetta del checkin, ci facciamo la nostra tag per le valige e arriviamo di fronte al tipo che pesava il tutto. Inizio io, che problema c’è.
“Your luggage is overweight, you have to pay” – “Oh. Ok, how much?” – “$200″.
*DESPERATION TIME*
Ovviamente questo problema riguarda solo me, nonostante Chiara e Davide abbiano fatto più shopping della sottoscritta. Non riesco a capacitarmene, loro mi fissano, io con la valigia aperta per terra in mezzo al terminal a cercare qualcosa da buttare nel bagaglio a mano che già di suo pesava come manco l’Ayers Rock.
Foto di repertorio, non mio.
Bene, vi dico solo che è finita così a Milano: avevo lo zaino con appeso un sacchetto contenente i miei stivali borchiati, lo zaino con dentro le All Star, la borsetta con dentro il mondo di Sephora, su una spalla un altro sacchetto con altre sneakers, e il trolley.
Welcome back to Italy, dear Silvia!
S.
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