L'afa, a Valencia, è di quelle insopportabili. Ti appiccica alla pelle una coperta di goccioline, e il guaio è che non rinfrescano neppure. Sono atterrata da poco più di mezz'ora, trovando in quel generico qualcuno che ti attende all'aeroporto la sensazione precisa di essere tornata a casa. Ci siamo perse, come sempre, tra le curve di un parcheggio. Abbiamo abbandonato il trolley nel bagagliaio di un'auto. E adesso eccoci qui, Alicia ed io, davanti all'ingresso di una sala minuscola. A migliaia di kilometri da nuvole e preoccupazioni. Sospiro. La serranda è ancora semi-abbassata. Due persone chiacchierano appoggiate al cofano di una vettura parcheggiata, quasi certamente non loro. “Siete qui per il concerto?”“Sì, anche voi?”Le note del soundcheck arrivano in lontananza, smorzate dalla vetrata, come una sorta di piacevole litania. Di colpo la riconosco: l'ansia che si scioglie nelle viscere, l'ovatta del relax dentro al cervello, il brontolio inconfondibile della Fame Nera. All'inizio di un viaggio, in attesa del live di un tizio argentino, eccolo qui, il mio contraccolpo di serenità.
Esce di lì a poco, Lucas Masciano. Gli occhi chiari, l'inconfondibile accento cantilenato, un copricapo simile al mio. “Ciaaaaoooo! Quanto tempo! Madonna, saranno passati degli anni!”Corre ad abbracciarmi. Due baci sulle guance (e sbaglio sempre direzione!). La mia incredulità. “Davvero ti ricordi? Come fai? É vero che son passati anni!”“É che io per altre cose no, ma per le facce ho buona memoria.”“Complimenti, sono davvero colpita.”Ed é lí che decide di strafare. “Sí, mi ricordo che venivi sempre ai concerti con un gruppo di tre pibas e due pibes”Ho subito il sospetto che mi abbia confusa con un'altra, ma mi sembra scortese farglielo notare. “Beh, puó essere...cambiavo spesso compagnie”. “E mi ricordo PERFETTAMENTE che eri venuta a La Casa del Loco a Zaragoza”“...” “...e Barcellona! A Barcellona spesso!” Vi prego, fermatelo. “Vero?”Ecco, lo sapevo io. “Mah, veramente... io ti ho visto a Madrid, Fuengirola...”Il povero Lucas (che per tutta la durata della conversazione si é quadagnato a sua insaputa un bonus di mille mila punti simpatia) quasi sbianca. É piuttosto evidente il suo tentativo di cercare appigli sugli specchi. “Ah. Sí, puó darsi. É che, come ti ho detto, io ricordo le facce. Poi sui luoghi mi posso sbagliare, ma le facce...beh, vado a farmi una birra !”Io vi giuro che lo vorrei abbracciare. Dentro, il luogo é – ahinoi – quasi deserto. Tempo di salutare Céline, di scambiare aneddoti con il manager Tito (A cui mi presento con la vitale domanda: “ma prima del concerto abbiamo tempo di cenare?!”) e la serata puó ufficialmente iniziare.É di quelli che piacciono a me, il nuovo progetto di Masciano. Per cercare ispirazione in vista del prossimo album, é salito su un furgoncino assieme alla sua band. Ha messo in moto, e via. Con quella vena un po' bohemienne che associo al rock d'altri tempi, il cantautore ha deciso di attraversare l'Europa in soli otto giorni. Da Parigi alla Transilvania, come indica il titolo del documentario che ne é uscito. Quello che non sanno se e quando commercializzare. Quello che sarà probabilmente (io ci spero!) fruibile a breve sul web. Quello che ora proiettano, in sale come questa di Valencia, poco prima della performance live. Sono passati per Verona. Per Praga. Sono stati ospiti di amici un po' hippie in Slovenia, a pochi minuti dal confine su cui vivo. Hanno adottato un cagnolino abbandonato, sono stati ammoniti dalla polizia, hanno inciso pezzi in una stanza d'hotel insonorizzata alla meno peggio con dei materassi affissi alle pareti. E, soprattutto, hanno trovato canzoni. Belle, peraltro. Orecchiabili eppure non banali. Scanzonate e profonde assieme. Perché, se il disco precedente – registrato in un teatro – vantava collaborazioni con alcuni tra i piú affermati e talentuosi artisti di Spagna, questo i duetti li ha presi dalla strada. Per ogni cittá in cui si é fermato durante il suo tragitto, Lucas Masciano ha cercato musicisti ambulanti, amateur, per proporgli di improvvisare qualcosa assieme. Ne sono nati incontri di incredibile alchimia. Canzoni impreziosite da persone che sono giá di per sé storie: una ragazza francese, un talentuosissimo violinista rumeno, degli studenti del conservatorio, un senzatetto che ama suonare il piano messo a disposizione dal comune in una piazza di - cos'era? - forse Repubblica Ceca.
Mette voglia di viaggiare, “De Paris a Transilvania”. Di partire senza meta. Di scoprire il mondo e di amarne le genti, alla faccia di tutti i pregiudizi o le barriere. In fondo racchiude quello spirito, la foto di gruppo che ci scattiamo alla fine. Una spagnola, una francese, un argentino e un'italiana (“ah, ecco perché i baci sulle guance inizi a darli dall'altra parte!”), assieme. Stretti nella stessa inquadratura. Uniti per vie traverse e complicate, ma comunque sempre grazie a sette note. Nel frattempo c'é stata l'agognata cena. La macchia sulla maglietta di Lucas innalzata ad Aneddoto della serata (“La camicia mi va stretta”). Tito che mi prende in giro: “avete mangiato? Perché lei moriva di fame giá prima”. E c'é stato, soprattutto, il concerto. Con un pubblico troppo esiguo per quello che avrebbe meritato, o per non vergognarsi al momento di cantare in coro. Eppure l'atmosfera intima di una festa tra amici, le risate, e la magia dei brani eseguiti in acustico sanno fare anche di una sala minuscola il posto piú bello che c'é.