Come in tutte le forme d'arte, anche nel cinema la grandezza di un'opera è spesso difficile da definire. Più che descriverla, forse bisognerebbe semplicemente apprezzarla, e parlarne. A tutti, il più possibile, perché di quella bellezza ne possa godere il più alto numero di persone. Io questa settimana sono andata al cinema quattro volte. Ho visto dei film che mi sono piaciuti, anche molto, uno che mi ha divertito ma che ho dimenticato alla velocità della luce e poi, venerdì sera, ho visto il nuovo film di Jacques Audiard, De rouille et d'os (Di ruggine e d'ossa).
E lì, c'è stato un piccolo tsunami che ha spazzato via nel giro di due ore tutti i film che ho visto dall'inizio dell'anno a oggi. La grandiosità del film di Audiard è un'evidenza. Uno non può far altro che stare seduto davanti allo schermo e constatare, immagazzinare, soffrire, ridere, avere le palpitazioni e poi, una volta uscito, cercare di convivere con il fatto che no, un altro film così non capiterà tanto presto, un altro film così bisognerà aspettare un bel pezzo, per ritrovarlo. E' il rovescio della medaglia delle cose belle della vita: non capitano tutti i giorni.
Armand Verdure/Sam e Matthias Schoenaerts/Ali
Ali e suo figlio Sam, 5 anni, si sono appena trasferiti a vivere ad Antibes. Senza soldi, squattano dalla sorella di Ali. L'uomo, un passato da boxeur, trova lavoro nella sicurezza di una discoteca e lì, una sera, conosce per caso Stéphanie. Lei è un'addestratrice di orche nel parco marino della città. Pochi giorni dopo il loro incontro, Stéphanie, durante un'esibizione, viene investita da un'orca. L'impatto è devastante, e alla donna vengono amputate entrambe le gambe. Diversi mesi dopo l'incidente, Stéphanie ricontatta Ali. I due iniziano a conoscersi, a diventare amici, ad amarsi.Marion Cotillard/Stéphanie
Basato su alcuni racconti della raccolta Rust and Bone dello scrittore Canadese Craig Davidson, De Rouille et d'os ha una trama che definire pericolosa è dire poco. Nelle mani di un regista da poco, una storia del genere avrebbe potuto generare un mostro strappa lacrime, patetico e ricattatorio, sia dal punto di vista emotivo che psicologico. Audiard, invece, grazie ad un pudore e ad una rigorosità che sono propri del suo cinema, e grazie ad una regia prodigiosa (che non ha eguali in Francia, a mio avviso, e forse nemmeno in Europa), ci regala un film che è un diamante grezzo ma purissimo. Ogni scena ha un senso, ogni dialogo suona giusto, ogni gesto è essenziale. E poi c'è quella sua capacità rara, preziosissima, di fare dei film estremamente realistici ma incredibilmente poetici. Che è forse la cosa più difficile da esprimere, al cinema. A Audiard questa cosa riesce tanto più intensamente quanto più brutale è quello che sta mostrando. In De Rouille et d'os, le scene più belle sono quelle dei combattimenti clandestini e violentissimi di Ali. Audiard filma i corpi da vicino, li accerchia, li circonda: ci sono denti che saltano, sangue che cola, ma c'è anche la luce del sole sui volti, c'è la bellezza del mondo che si insinua tra quei bruti, e c'è la forza di un sentimento che non viene mai espresso ma che è sotto gli occhi di tutti. E quando Ali è a terra e sembra aver perso il combattimento, Audiard per dargli forza non inquadra la faccia di Stéphanie seduta in macchina ad osservare la scena (come avrebbe fatto chiunque altro), no, lui inquadra, semplicemente, la portiera della macchina. Come se fosse un volto. In questo piccolo scarto, c'è tutta la poetica di Audiard. L'emozione nei suoi film non è mai dove l'aspetti. Ti colpisce a tradimento, e non ti molla.Se siete di quelli che vanno a vedere un solo film all'anno, allora è venuto il momento di uscire e pagare il biglietto.
Gli altri sono film, questo è un capolavoro.