Dear Wendy

Creato il 10 agosto 2015 da Jeanjacques

Ho avuto modo di scoprire che la biblioteca pubblica della mia città è un piccolo ricettacolo di meraviglie. Ironicamente non l'ho scoperto per i libri che tiene al suo interno, perché a me quelli piace comprarli e sapere di possederli (se li noleggio è solo per leggere l'inizio e valutare poi un successivo acquisto), quanto per i fumetti ed i dvd. Nei primi ho scoperto le opere di Moebius, Jiro Taniguchi, Frank Miller e Alan Moore, mentre i secondi mi hanno dato un'infinità di pellicole di Woody Allen, vera mia fissazione adolescenziale insieme a Kubrick, insieme a molto altro cinema d'autore che altrimenti avrei ignorato per via della mia non indifferente pigrizia. Alle volte, quando la voglia scarseggia, è proprio alla biblioteca della mia città che faccio ricorso, andando nella sezione dei dvd e pescandone un paio a caso, perché sono sicuro che le cose migliori spesso avvengano per una mera scelta del fato - ad esempio, Old boy, il film che mi cambiò la vita, lo vidi a causa di una supplenza non programmata. Questa volta invece la scelta non è stata casuale, perché il film mi è capitato sott'occhio per una proverbiale botta di culo, ma in realtà era una pellicola che andavo cercando da tempo, poiché i suoi realizzatori principali sono due persone che, pur venendo da quello che potremmo definire lo stesso panorama, apprezzo in maniera totalmente diversa.

Dick è un ragazzo molto introverso che un giorno, per puro caso, viene in possesso di una pistola. Presto quell'arma diverrà la sua ossessione, tanto da darle un nome, Wendy, e da creare insieme ad altri suoi coetanei una setta di armaioli pacifisti. Ma la 'quiete armata' non è destinata a durare molto...

Thomas Vinterberg alla regia e Lars Von Trier alla sceneggiatura. E sì, sono stato buono e gli ho lasciato quella brutta aggiunta al nome. Due appartenenti estremi del Dogma95 che uniscono i loro nomi per un film decisamente particolare e ambizioso nel suo realizzarsi. Il primo è un cineasta che, pur non conoscendo molto, rispetto immensamente per la realizzazione di due film altamente disturbanti come Festen e Il sospetto (ma vogliamo dimenticare il videoclip The day that never comes?), mentre il secondo, chi mi segue lo sa, l'ho inizialmente amato dopo la visione del capolavoro Dogville e presto detestato grazie a un film come Antichrist. Loro, insieme a Refn, sono i maggiori esponenti del cinema danese, quindi posso farvi capire quanta curiosità possa suscitare una loro collaborazione. E quanta confusione possa mettermi il vedere il frutto di questa loro unione, perché la possibilità di farsi condizionare da un qualche haterismo e di non dare un giudizio il più impossibile imparziale è sempre presente. A fronte di ogni possibile equivoco, però va detto che io ce l'ho messa tutta, eppure tutto ciò che odio del danesone per eccellenza (quello col Von nel nome, per intenderci) qui traspare nella sua totalità. Ed ammetto che entra in forte contrasto con quello che è lo stile registico del collega, forse meno visionario, ma decisamente più nelle mie corde. A questo punto quindi credo che il nocciolo principale vada a riscontrarsi a metà strada di quella che è la storia e la narrazione, la prima che parte con un plot magari non eccelso ma in grado di intrigare (e vi giuro, a un certo punto mi ero detto: "Ehi, vorrei aver avuto in mente una storia che inizia così!") e una gestazione delle vicende che da una parte mi ha affascinato ma che, dall'altra, non sono riuscito a trovare plausibile. Perché è vero che la poetica di un autore può rendere credibili situazioni che altrimenti possono essere recepite come ridicole, credo che Wes Anderson sia un esempio per tutti, ma tutto ha bisogno di uno stile appropriato e di un contesto narrativo adeguato, secondo la mia personale e modestissima opinione. Perché mi va bene la storia dei ragazzini con le pistole e della setta, ma che dal nulla spuntino fuori citazioni colte (a cominciare dal nome, Dandies) e scritture di poesie, no, quello è un particolare che mi ha fatto storcere il naso. Molto semplicemente, perché non sono riuscito a trovarlo credibile nell'ambientazione che si è andati a scegliere, o almeno, non ho trovato credibile che quasi tutti i ragazzi si appoggino a regole simili con un tale entusiasmo. Mi è piaciuto molto invece la narrazione del tema della crescita, di come quelle armi diventino - tralasciando battute ovvie come 'prolungamento del pene di Clint Eastwood' - un riscatto sociale, un viatico verso una crescita che quella città stessa sembrava aver azzerato. E diventa anche una sorta di parodia di tutto l'Occidente, del suo pacifismo armato e di a cosa questo ossimoro porti in fatti ben più ampi di quelli narrati qui, anche se mi fa strano che una co-produzione danese/inglese ambienti una pellicola in America e ne denunci i costumi. Alla lunga però tutto si fa quasi ridondante, il continuo sottolineare del rapporto amoroso fra il protagonista e la sua Wendy dopo un poco lascia il tempo che trova e la causa scatenante del delirante finale mi ha lasciato parecchio interdetto, così come molte soluzioni narrative, cosa tipica di molti degli scritti di Trier. Vintemberg invece è decisamente messo più in sordina, schiavo quasi del peso mediatico che il collega possiede in maggiore abbondanza, ma cerca ugualmente di regalare una regia pulita che a tratti si lascia andare a degli sperimentalismi molto azzardati - le radiografie alla CSI sono state autrici di diversi uattaffacca - ma che comunque sorreggono un gioco molto rischioso che alla fine, però, va fatto ugualmente. Forse con un poca più di leggerezza e chiarezza, ma lascia sempre quel fascino incompiuto ma, proprio perché tale, irresistibile delle commissioni fra due menti creative così personali.

Alla fine crescere è un po' una merda per tutti, inutile negarlo. Ma riuscire a riconoscere le proprie ossessione e non farsene assorbire è il primo passo verso una parvenza di serenità.


Voto: ★ ½ 


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