Debitamente

Creato il 07 gennaio 2015 da Francosenia

Debito, 5000 anni di storia di David Graeber: Note di lettura
di Christophe Darmangeat

Ecco un'opera non facile da leggere, e ancor meno facile da riassumere. Scrivendola, David Graeber, (N.d.T.: Il libro di Graeber, “Debito. I primi 5000 anni” può essere letto e/o scaricato per intero qui)antropologo americano con simpatie attive per un certo movimento libertario, ha voluto aprire delle ampie prospettive su un problema di bruciante attualità. Il risultato è un testo di circa 500 pagine, senza contare le note e la bibliografia, incontestabilmente erudito, fitto, che si rifà, oltre che all'antropologia, all'economia e alla storia, alla filosofia, alla sociologia e a questioni religiose. Non serve precisare che non ritengo di avere le competenze per affrontare tutti questi aspetti; sono piuttosto ignorante per quel che concerne le civiltà ed il pensiero cinese, indiano o arabo, ed anche per quel che riguarda il Medioevo occidentale. Parimenti, il lungo sviluppo che il libro consacra alle questioni strettamente monetarie meriterebbe da solo una discussione serrata che non mi sento in grado di condurre. Questo rendiconto (fortemente) critico, quindi non pretende di affrontare tutte le questioni sollevate dal libro, ma solo di affrontare alcuni punti.
Ripeto, ho fatto fatica ad arrivare in fondo a questo testo; adesso che ho chiuso il libro, e anche dopo aver riletto quei passaggi che mi avevano fatto reagire, continuo a non sentirmi in grado di riassumere con sicurezza le sue tesi principali. Evidentemente, Graeber ha del debito, qualunque cosa esso sia, un giudizio negativo, e lo associa alla violenza ed alla degradazione dell'essere umano, ed è a favore, oggi, della sua cancellazione. Ma al di là di questa generalizzazione, ci sono numerose e lunghe pagine del libro che suscitano due interrogativi assillanti, ossia: "Cosa vuol dire esattamente?" e "Dove vuole arrivare?".

1) Alle origini: il debito e le modalità di trasferimento
Cominciamo dall'inizio: la definizione del concetto di debito. La parola, in maniera evidente, comprende due fenomeni assai differenti, a seconda della natura dell'obbligazione cui si sottomette il debitore. Tutti noi sappiamo che "dover restituire" un invito al ristorante non ha affatto lo stesso significato di "dover restituire" un oggetto preso in prestito da un noleggiatore professionale. Nel primo caso, il debito è puramente morale: ci si sente certamente debitori di qualcosa, ed il nostro creditore forse si aspetta che noi gli restituiamo il favore, ma i nostri obblighi verso di lui coinvolgono solo la nostra buona volontà; il fatto che posso dire che "gli devo una cena", non significa che il nostro amico avrà la possibilità di far intervenire la polizia per ottenere da me quella cena qualora io tardi a restituirgli l'invito. In altre parole, il debito che ho contratto accettando l'invito è un debito morale, e nient'altro: una mancato rimborso da parte mia non potrà essere legittimamente sanzionato facendo uso della violenza sociale. Nel secondo caso, quello del prestito di un bene in maniera formale da parte di un noleggiatore, l'obbligo è del tutto tangibile: se non rendo l'oggetto dovuto, il negozio può contare su ufficiali giudiziari e tribunale, vale a dire sull'impiego della forza socialmente legittima, per costringermi al mio dovere.
Così, nella sua natura economica, nelle sue conseguenze sociali (e, aggiungerei, nelle sue attitudini morali che sono suscettibili di essere messe in gioco) il debito che si ha nei confronti di un amico che ci ha reso un servizio è fondamentalmente differente da quello che si ha nei confronti del medesimo amico cui abbiamo firmato un riconoscimento. Senza questa distinzione, il concetto di debito diventa un minestrone che ingloba fenomeni che non hanno granché a vedere gli uni con gli altri, confondendo in particolare le dimensioni sociali e morali del fenomeno. Per portare avanti una simile analisi, ci si potrebbe appoggiare in gran parte sul lavoro di Alain Testart e sulla sua "Critica del dono" cominciando a limitare il concetto di debito agli obblighi stringenti che derivano da trasferimenti esigibili: lo scambio ed il "trasferimento di terzo tipo", scartando gli obblighi puramente morali che derivano dal dono.
Non è questo il percorso intrapreso da Graeber (che tuttavia conosce altri scritti di Testart), il quale sceglie di non procedere nel senso di una tale delimitazione. Più esattamente, se Graeber sembra avere la necessità di effettuare la distinzione fra obbligo morale e giuridico, egli ne trova la chiave in una direzione del tutto diversa:
"La differenza tra un «debito» e un semplice obbligo morale non sta nella presenza o nell'assenza di uomini armati che ne possono imporre il rispetto sequestrando i beni del debitore o minacciando di spezzargli le gambe. Ma sta semplicemente nel fatto che il creditore ha i mezzi per stabilire, numericamente, quanto gli deve esattamente il debitore."
Ora, il criterio scelto da Graeber (e al quale tiene molto, su cui torna continuamente nel corso del libro) non permette in alcun modo di distinguere un debito autentico da un debito puramente morale. Per cominciare, non è chiaro in che senso si possa qualificare come "semplice obbligo morale" un debito che potrebbe essere legittimamente investito della minaccia della violenza; le due proposizioni sono chiaramente antinomiche. Al contrario, si può benissimo essere in grado di quantificare il costo del regalo di Natale che si è fatto a qualcuno senza che per questo il suo "obbligo" di restituirlo divenga un debito - cosa di cui è a conoscenza ogni genitore che stabilisce il suo budget per le feste, e che tiene conto del prezzo dei giocattoli regalati ai bambini senza che si aspetti la minima contropartita. (1)
Graeber insiste assolutamente sul fatto che il debito sia intrinsecamente legato alla quantificazione - tornando su quest'idea a più riprese, col rischio di portare avanti formulazioni contraddittorie con quelle precedenti: "Il modo in cui la violenza (o la minaccia della violenza) trasforma le relazioni umane in matematica affiorerà più volte nel corso di questo libro."
La violenza (o la possibilità di farvi ricorso), di cui ci si trova a leggere che non ha rapporto con la definizione di debito, si vede promossa a causa principale della quantificazione, e dunque del debito. Chi ha orecchie, intenda. In ogni caso, i numeri, ecco il nemico: "Ogni sistema che riduce il mondo ad una serie di numeri può essere mantenuto solo con le armi, non importa se sono spade e mazze o le odierne «bombe intelligenti» sganciate da droni senza pilota."
Non so se esistano dei sistemi che "riducono il mondo a dei numeri". Una tale formulazione mi sembra nascondere i rapporti sociali molto più di quanto li chiarisca. Comunque, il lettore di Graeber ne dedurrà che per liberare l'umanità, invece del capitalismo, dev'essere sacrificata la matematica e con essa tutto ciò che potrebbe corrispondere ad una gestione razionale e quindi, oh orrore, quantificata con precisione, dell'attività economica.
La confusione continua col ruolo del denaro, di cui si legge che esso caratterizza il debito: "La differenza tra un debito e un'obbligazione morale sta nel fatto che il debito può essere quantificato in maniera precisa attraverso il denaro. Il denaro non solo rende possibile il debito, ma fa la sua comparsa esattamente nello stesso momento."
Ora, questo è assolutamente falso. Se non esiste certezza di moneta senza debito (cioè a dire senza credito), il debito è assai anteriore alla moneta. La letteratura antropologica mostra come nelle società che ignorano ogni forma di moneta, esistono dei trasferimenti o dei servizi esigibili che potevano essere differiti, che davano così luogo ad un debito. Si pensi per esempio a quelle tribù del nord Australia dove il circoncisore doveva procurare una sposa al giovane che egli iniziava; così facendo, il circoncisore veniva a trovarsi in debito nei confronti del giovane e dei suoi genitori. Questo debito era nel pieno senso del termine: mancare ai suoi obblighi legittimava una spedizione armata contro il trasgressore.
Riassumendo: se non esiste debito non quantificato, la quantificazione non è affatto la causa del debito; la matematica non instaura la violenza nei rapporti umani, più di quanto la violenza non trasformi i rapporti umani in matematica. Così come i debiti morali, l'esistenza di obblighi esigibili, dei quali alcuni possono essere differiti nel tempo - e dunque, l'esistenza del debito - è senza dubbio tanto antica quanto le società umane stesse. Porsi il problema della sua apparizione (collegandola a torto a quella della moneta) è quindi un falso problema: sarebbe stato molto più interessante interrogarsi sulle differenti ragioni per cui lo si contrae, sui diversi mezzi con i quali ci se ne libera e sui rischi che si corrono nel caso del non-pagamento - un problema mai affrontato da Graeber sotto un'angolatura pertinente, quella delle strutture sociali (in altri termini, dei modi di produzione). Ci si tornerà sopra.

2) I primi pagamenti
E' generalmente accettato, in antropologia sociale, che la moneta appaia con la ricchezza (e quindi, molto dopo il debito): essa si lega al fatto che le società instaurino la possibilità di disciplinare e risolvere alcuni obblighi sociali, in primo luogo  quelli legati al matrimonio o al risarcimento di danni fisici, per mezzo di beni materiali. Il pagamento in moneta diviene allora, come dicono i giuristi, liberatorio: il genero che versa la somma convenuta ai genitori della sua futura sposa, l'assassino che paga il prezzo del sangue (Wergeld) ai parenti della sua vittima sono liberatori del loro debito - il che non significa affatto che lo siano sempre rispetto ad ogni obbligo.
In questa prospettiva, la moneta, più un certo numero di altri beni, appare come un equivalente del lavoro fino a prima fornito dal genero, ossia un sostituto della vita stessa. Questo è particolarmente chiaro per quanto riguarda il Wergeld, dove si impone come un'alternativa alla legge del taglione. Alcuni popoli hanno formulato quest'equivalenza in maniera del tutto esplicita: così, presso i Daribi della Nuova Guinea, i conflitti terminavano con un incontro nel corso del quale quelli che avevano causato più morti nel gruppo avverso, si presentavano a quelli con un certo numero di maiali, secondo una tariffa convenuta. I beneficiari allora tendevano i propri archi, li puntavano verso gli ospiti, poi li abbassavano lentamente verso i maiali e li uccidevano. La guerra era allora terminata.
Graeber vuole dichiarare false una tale interpretazione, affermando che le monete primitive (che funzionano in quelle che lui chiama "economie umane") non sono mai pagamenti liberatori; il denaro non poteva cominciare la su carriera di moneta, di "sostituto della vita", se non con l'inizio della schiavitù e della violenza che esso presuppone.
" (...) la «moneta primitiva» non era originariamente un modo per pagare i debitori, ma piuttosto un modo per riconoscere l'esistenza di debiti che non si potevano saldare."
Questo sviluppo si ispira direttamemte all'opera di  Philippe Rospabé (che nel 1995 ha pubblicato, in particolare, "La dette de vie: Aux origines de la monnaie sauvage"). Non ho letto nessuno dei testi di Rospabé e quindi non sono in grado di valutare in prima persona né le sue formulazioni né gli argomenti. Graeber, da parte sua, propone essenzialmente due casi, per sostenerlo.
Il primo caso è quello dei Tiv, un popolo della Nigeria presso i quali il matrimonio avviene idealmente per mezzo dello "scambio delle sorelle", e quindi senza pagamento di beni. Quando gli uomini non possono soddisfare a questo ideale (basta solo che uno dei due non possegga diritti su una donna da maritare), fanno ricorso ad un sistema complesso di trasferimento di tali diritti, per mezzo dell'istituzione detta del tutoraggio. Il punto che interessa Graeber è che presso i Tiv non esiste realmente il prezzo della sposa; possono essere tenuti a pagare con delle barre di ottone per concludere un matrimonio, ma non si tratta di un pagamento liberatorio: i pagamenti al tutore devono continuare indefinitamente. Da questo, Graeber conclude che presso i Tiv, la moneta non serve a pagare (per il matrimonio), ma a riconoscere l'impossibilità di pagare. E siccome i Tiv, inoltre, praticavano la schiavitù, comprando e vendendo i prigionieri di guerra, egli aggiunge che la possibilità per cui la moneta gioca il suo ruolo di mezzo di pagamento può essere instaurata solo per mezzo della violenza.
La dimostrazione somiglia a quello che riguarda u altro popolo dell'Africa nera, quello dei Lele - che, da parte loro, praticavano indiscutibilmente il prezzo della sposa, sotto forma di tessuti di rafia. Graeber afferma che "solo quando la violenza era condotta all'interno di un'equazione si poneva la questione di comprare e vendere persone.", spiegando che nel caso di Wergeld non pagato da parte del membro di un altro villaggio, un individuo poteva delegare al suo proprio villaggio il recupero del debito: il suo villaggio versava il Wergeld, e si faceva carico poi di recuperarlo, manu militari, dal villaggio debitore.
Questi due esempi non provano affatto ciò che qui si vuol fare loro dire. Nel caso dei Lele, tutto dipende dal modo in cui si deve intendere l'espressione "comprare e vendere delle persone". Se la intendiamo in senso stretto, il senso della schiavitù, allora l'affermazione è solo una tautologia: non si vede come lo schiavismo possa esistere senza violenza. Ma se gli si accorda la portata più generale che gli vuole conferire Graeber, ossia che solo la violenza permetterebbe l'equivalenza fra il pagamento in beni ed il trasferimento di alcuni diritti sulle persone, né i Tiv né i Lele provano niente di tutto ciò. Presso i Tiv, la moneta esiste; non se ne servono esclusivamente per acquisire dei diritti sulle donne... e per quello che avviene presso i Lele, dove non c'è alcun bisogno di seguire la complicata deviazione compiuta da Graeber per trovare l'uso della violenza: un marito che avrebbe preso moglie senza pagare il prezzo della sposa, o dei genitori che non avrebbero liberato la propria figlia dopo aver percepito un tale prezzo, si sarebbero tutti esposti all'esercizio della violenza da parte dei loro creditori. Non perché la violenza giocherebbe in queste situazioni il ruolo di deus ex machina della moneta e del debito che le attribuisce Graeber, ma perché è inseparabile dall'esigibilità del trasferimento, esigibilità che, ripetiamo, esiste molto prima della moneta.
Si aggiunga che anche se l'esempio dei Tiv provasse la tesi del libro, non potrebbe essere generalizzato all'insieme delle società per sostenere l'idea che dappertutto la schiavitù (quindi la violenza) sia stata l'istituzione fondante che ha trascinato al suo seguito la moneta, sotto forma di pagamento del matrimonio e del Wergeld. La Nuova Guinea, per esempio, grande area in cui il prezzo della sposa ed il Wergeld veniva praticato mentre la schiavitù era sconosciuta, rappresenta un contro-esempio stridente in un simile scenario.

3) Dimensioni politiche
Come ho premesso nella mia introduzione, non commenterò affatto la parte storica dell'opera, il cui tratto saliente consiste nel vedere un movimento del pendolo (o un ciclo) mondiale, fra debito e denaro liquido. All'antichità (qui divisa in due periodi, di cui il secondo, chiamato "età assiale", darà inizio al conio e finirà verso il 600 DC) seguirà un Medioevo del quale alcune istanze, almeno, sembrano suscitare le simpatie dell'autore, poi il capitalismo. Ogni cambiamento di periodo è caratterizzato da un'inversione di preponderanza fra moneta e credito. Non posso però fare  a meno di manifestare una forte dose di scetticismo su una tale periodizzazione dove le forme monetarie, reali o supposte, figurano come variabile determinante, e dove le strutture sociali appaiono, tutt'al più, come dei fenomeni di second'ordine.
Il poco interesse di Graeber verso le strutture sociali d'altronde non è il paradosso minore della sua opera; quando le affronta, lo fa con una forte propensione ad affogarle in delle considerazioni etiche, morali, perfino religiose. Anche quando utilizza un vocabolario politico, lo fa per svuotarlo del suo contenuto e trasformarlo in una vaga nozione moraleggiante. Veniamo qui a sapere che il comunismo "non ha niente a che vedere con la proprietà dei mezzi di produzione" - a partire da una tale definizione, non c'è da stupirsi che l'economista Michel Aglietta venga qualificato come marxista (nota n°30). Non ci sorprenderà più di tanto che il comunismo venga opposto a "lo scambio [il quale] è una logica morale [non sociale, morale!] di tipo fondamentalmente differente." Il clou viene raggiunto a più riprese: il trittico comunismo-scambio-gerarchia, che dovrebbe costituire la chiave per analizzare il fenomeno del debito, non è una tipologia delle strutture sociali:
"Devo precisare che non stiamo parlando di differenti tipi di società (come abbiamo visto, si può mettere in discussione l'idea stessa che esistano «società discrete», distinte tra loro), ma di principi morali che coesistono ovunque."
La morale, religiosa o non: ecco la preoccupazione reale di Graeber, che considera tutti i fenomeni sociali sotto questo prisma. Le ultime pagine del libro si diffondono d'altronde in considerazioni metafisiche; la cancellazione dei debiti viene essa stessa presentata meno come una misura politica (che obbligherebbe a precisare che bisogna assumere una tale rivendicazione, contro chi e con quali mezzi), e più come un "giubileo in stile biblico", "[una rottura] con la nostra morale abituale", questa "logica morale che ci ha separato inizialmente dal cosmo".
Tuttavia, non si può passare sotto silenzio la prospettiva che l'analisi di Graeber intenderebbe aprire riguardo alla situazione attuale. E' stato questo, secondo lui, che ha presieduto alla stesura del libro; e il grande successo dell'opera non lascia alcun dubbio che questo sia dovuto agli sviluppi mondiali a proposito del debito primario. Graeber ci avverte che si impone prudenza:
"Anche se ci troviamo all'inizio della svolta di un ciclo storico molto lungo, siamo sempre noi ad avere la possibilità di decidere dove questa svolta porterà. (...)  Un ritorno alla moneta virtuale comporterà un allontanamento dagli imperi e dai grandi eserciti permanenti, e la creazione di ampie strutture per limitare i comportamenti predatori dei creditori? Ci sono buone ragioni per pensare che tutte queste cose succederanno (...) ma non abbiamo idea di quanto tempo ci vorrà, o di come sembrerà veramente questo futuro."
Eccoci dunque arrivanti a buon punto. Ma dal momento che Graeber sa bene che non può restare lì, ecco che cerca di fare qualche precisazione che merita di essere sottolineata:
"Nel corso degli ultimi cinquemila anni, ci sono state almeno due occasioni in cui grandi e rivoluzionarie innovazioni finanziarie sono nate nel paese che oggi chiamiamo Iraq. La prima fu l'invenzione del prestito a interesse, forse intorno al 3000 a.C; la seconda, intorno al I '800 d.C, fu lo sviluppo del primo sofisticato sistema commerciale che rifiutava esplicitamente il prestito a interesse. È possibile aspettarsi da lì un'altra novità? (...)  vale la pena notare che il maggior movimento della classe operaia islamica che si oppone all'occupazione statunitense, i sadristi, prende il suo nome da uno dei fondatori della scienza economica islamica contemporanea, Muhammad Baqir al-Sadr. Vero, molto di quella che è stato spacciato per economia islamica fino a oggi si è dimostrato piuttosto mediocre. Certamente non pone alcuna sfida al capitalismo, in nessun senso. A ogni modo, si deve ipotizzare che all'interno dei movimenti popolari di questo tipo si tenga ogni genere di conversazioni interessanti, per esempio riguardo allo status del lavoro salariato. O forse è naif cercare il segno di una nuova rottura all'interno dell'eredità puritana delle vecchie ribellioni patriarcali. Forse verrà dal femminismo. O dal femminismo islamico. Oppure da qualche ambiente del tutto insospettabile. Chi può dirlo? La cosa su cui possiamo contare è che la storia non è finita, e quindi sicuramente emergeranno delle nuove idee sorprendenti."
Non so a quale fine utilizzare questa collana di perle. Solo per sottolinearne due:
l'invenzione del prestito ad interesse viene situato qui in Sumeria, verso il 3.000 avanti Cristo - tutto il libro gravita intorno alla tesi di un'invenzione tardiva della moneta e del debito. Duecento pagine prima, Graeber aveva ammesso che "Poiché precedono l'invenzione della scrittura, le origini dell'interesse rimarranno per sempre oscure." Aggiungiamo che il prestito ad interesse, sotto una forma o un'altra, è un fatto del tutto banale nelle società senza classi osservate dall'etnologia, anche se questi interessi raramente obbediscono a regole che ne dettano il loro funzionamento in un mercato capitalista realizzato.
Ma la cosa più sorprendente rimane il riferimento al "Sadrismo" (un termine sconosciuto ai motori di ricerca). Sembra che voglia designare il partito Dawa, di cui Baquir al-Sadr è stato il fondatore, prima di allontanarsene negli anni 1980. Questo partito conservatore, che ha tutto di islamico e niente di operaio, sostenga per esempio la rivoluzione iraniana del 1979, e che conti fra i suoi dirigenti Nourik el-Maliki, primo ministro dell'Iraq fra il 2006 ed il 2014. Ecco quindi il tipo di forze politiche e sociali nelle quali Graeber si propone di riporre le sue speranze (assumendo che vi si svolgano delle discussioni interessanti; il grande vantaggio di situare in Iraq queste divagazioni è quello di limitare considerevolmente il numero di lettori in grado di verificarle). E' vero che egli stesso non ha l'aria di essere molto convinto di una simile scelta, poiché la fa seguire da un guazzabuglio di altre ipotesi gratuite e fantasiose - ma che hanno in comune il fatto di non avere niente a che vedere con "la sfida diretta al capitalismo".
Questa sorta di impressionismo ha senza dubbio contribuito al successo del libro. La mancanza di rigore analitico e politico sembrerà a molti assenza di settarismo o una "apertura di spirito", un po' come può avvenire, purtroppo, di suscitare una larga approvazione quando si suggerisce che ci sarebbe molto da imparare dalle medicine alternative o dalle religioni orientali. Ma, per quanto simpatiche possano risultare per certi aspetti, le prospettive volutamente vaghe ed apolitiche proposte da Graeber hanno altrettante poche chance di aiutare l'umanità a risolvere i problemi sociali che la minano quanto ne ha una cura sciamanica di guarire un cancro generalizzato.
Se la storia deve servire a qualcosa, questo sia almeno ricordarci che aggredire le conseguenze dei fenomeni senza aggredire le loro cause profonde  non porta che, nel migliore dei casi, a rimandare il problema. Il libro di Graeber è pieno di esempi dell'Antichità, in cui la cancellazione massiccia del debito, che fondamentalmente non toccava il modo di produzione, veniva invariabilmente seguita da una nuova ripresa dell'indebitamento e da nuovi scontri sociali intorni alle stesse questioni. Purtroppo, questa lezione non sembra che sia stata imparata.
All'inizio del XIX secolo, quando il capitalismo compiva i suoi primi danni e quando la lotta che opponeva la borghesia al giovane proletariato si trovava ancora nell'uovo, alcuni pensatori della corrente anarchica trovarono la pietra filosofale in una riforma del sistema creditizio. Il più illustre fra loro, Pierre-Joseph Proudhon, sosteneva il credito gratuito al fine di permettere ai salariati di mettersi per conto proprio e riguadagnare così la loro indipendenza nei confronti del capitale. Fu un programma di un'utopia naif e, nel senso proprio del termine, reazionario. Quanto meno Proudhon aveva la scusa di scrivere all'inizio dello sviluppo industriale, di vedere il credito come un mezzo, e non un fine in sé, e di essere piantato su vigorose posizioni anticlericali. Due secoli dopo, quando il capitalismo ha mondializzato la produzione, ha costruito un sistema finanziario di un'estensione e di una potenza incredibile, tutto quello che un teorico "libertario" trova da proporre non è altro che di rimettersi alla provvidenza, ad Allah o a non si sa quale assurdità, per inventare l'avvenire, tacendo dell'urgenza di eliminare le strutture sociali che hanno prodotto il debito, il quale rappresenta uno dei mali - ma non il solo, tutt'altro, né senza dubbio il principale - che oggi travolgono le classi sfruttate.

- Christophe Darmangeat -


(1) Inoltre, e indipendentemente perfino dal falso problema della quantificazione, il rifiuto di Graeber di pensare seriamente alle questioni dell'esigibilità e della violenza salta subito agli occhi leggendo che "Quando chiedi a qualcuno di passarti il sale, gli stai anche dando un ordine. Aggiungendo l'espressione «per favore», stai dicendo che non è un ordine, ma di fatto lo è." Eppure tutti sanno che rifiutarsi di passare il sale non ha affatto le stesse conseguenze che ha rifiutarsi di mostrare i documenti ad un agente di polizia, o il proprio appartamento ad un ufficiale giudiziario.

fonte: Blog de Christophe Darmangeat. À propos de marxisme, d'anthropologie et d'évolution sociale


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