Ne abbiamo sentito parlare da anni del famoso “debito estero”,che strangola e impedisce la crescita della maggior parte dei Paesi Africani e non solo di questi.
Bernard Agré, cardinale e arcivescovo emerito di Abidjan, in Costa d’Avorio, nazione uscita di recente da una terribile guerra civile in seguito a poco chiare vicende elettorali, così lo stigmatizza.
“Le giovani nazioni dell’Africa- puntualizza il cardinale – hanno dovuto fare ricorso a banche internazionali e ad altri organismi finanziari per realizzare i loro progetti volti allo sviluppo".
"Molto spesso i dirigenti poco preparati (e qualcuno aggiungerei io anche in malafede ) non sono stati attenti e sono caduti nelle trappole di coloro,che gli esperti chiamano “gli assassini finanziari”,sciacalli (chi è africano conosce bene il comportamento dello sciacallo) mandati da organismi avvezzi a contratti sleali, destinati ad arricchire esclusivamente le organizzazioni finanziarie internazionali”.
E poi continua : (…)"I profitti strabilianti vanno agli assassini finanziari, alle multinazionali e ad alcuni personaggi potenti del Paese stesso (quante volte anche noi di Jambo Africa lo abbiamo sottolineato e in più circostanze), personaggi che fanno da paravento agli affari stranieri."
"Così la maggior parte delle nazioni continua a marcire nella povertà e nelle frustrazioni che questo genera (e a me personalmente, in questo momento, viene in mente, tanto per fare un nome, l’attuale situazione di povertà e di arretratezza, ad esempio, del Malawi in cui si stanno facendo sforzi enormi da parte dell’attuale presidenza del Paese per cercare di tenersi a galla e raggiungere la spiaggia della salvezza)”.
(…) E ancora- puntualizza monsignor Agré – per rimborsare questi debiti inestinguibili il bilancio statale è penalizzato quasi ovunque nell’ordine del 40-50% del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il debito appare così come qualcosa di programmato. Una specie di cospirazione malvagia.
Sopprimerlo, pertanto, non sarebbe per gli africani un atto di carità. Semmai un atto di "giustizia”.
Questo è ciò che egli pensa.
Possiamo noi, dopo aver saputo e riflettuto, condividere codesto pensiero?
"Certamente che sì" - io dico.
Specie grazie ad un’informazione, oggi, più o meno continuativa e , tutto sommato,anche abbastanza precisa sui mali reali del continente “Africa”, che non dovrebbe mai mancarci.
"Ma cosa potremmo fare noi per loro"- qualcuno si potrebbe e mi potrebbe chiedere ?
Non smettere mai d’informarsi e d' informare chi non sa, ad esempio.
Esiste per fare questo tutta una pubblicistica apposita, che si occupa di politica internazionale e di società civile in crescita.
E ,quindi, anche di Africa così come di America Latina e di Asia.
E lavorare per costruire qui, a casa nostra, “opinioni”.
Leggere e indurre a leggere chi ancora non lo fa.
Internet è utile ma non basta.
Educare alla riflessione che possa ,in seguito, farsi azione e, quindi, agente di cambiamento.
Non lasciarsi narcotizzare, in parole povere, da assurdi luoghi comuni come i tanti che circolano di questi tempi e che mascherano soltanto egoismi belli e buoni.
Non è un lavoro facile, certo.
Nessuno lo disconosce.
Spesso potrebbe subentrare, infatti, lo scoraggiamento.
Ma è in quell’attimo proprio che bisogna raccogliere tutte le forze valide e partire di nuovo per avvicinarsi il più possibile all’obiettivo.
Dio, infatti, lo incontriamo,sempre e sopratutto,quando abbiamo il coraggio di svuotarci del nostro "io" spadroneggiante e metterci a servizio dei poveri.
Non certamente possiamo pensare di trovarlo nei palazzi dei “potenti” e dei “ricchi”della Terra.
Senza spirito di discriminazione, quelli(un po' lo sappiamo) hanno già i loro “consiglieri” e cercano altro genere di consolazioni.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)