La gente è superficiale, la gente non approfondisce, la gente è pigra e presuntuosa e dunque si convince sempre di avere capito tutto alla prima impressione. La gente per lo più costruisce le proprie opinioni di un'esistenza intera solo per sentito dire. Dunque quale può essere il destino di una filosofia, che è anche uno stile di vita, imperniata su una parola chiave come "decrescita"? Come convincere la gente anche a interessarsi a una cosa che se ne va in giro a dire come prima cosa che "meno è meglio" (come nell'ultimo libro di Maurizio Pallante, uno dei maggiori promotori italiani del "decrescita felice " e fondatore dell'omonimo Movimento)?
Ma c'è anche un'ulteriore svista semantica da considerare, nella quale a mio avviso sono inciampati i vari filosofi e promotori di questo ambizioso programma di rinnovamento sociale globale. Ed è il fatto che se senti la necessità di associare alla "decrescita" un aggettivo positivo come "felice" o "serena", confermi implicitamente la negatività della prima e questo messaggio quasi subliminale, nell' immaginario sempre superficiale e un po' rozzo di chi ascolta, non fa altro che acuire per reazione l'attitudine al rifiuto e in questo modo ad allontanare il destinatario anche solo dalla voglia di fare un tentativo per capire qualcosa di più della visione che vi sta dietro, abortendo così fin dal principio la possibilità che vi possa trovare dentro qualcosa di buono e, magari, condivisibile.
Il secondo, quello intrinseco, è di natura mentale, o se vogliamo psicologica, ma ne parliamo - e, almeno per ora, concludiamo - venerdì (che mercoledì ho in programma un'altra cosa).
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