dedicato alle regine africane
Creato il 09 gennaio 2013 da Sara
Appostata sul mio balcone dell'Auberge Saint Jean di N'djolé ho iniziato all'alba a osservare le donne che passavano. E' il 25 dicembre, il giorno di Natale, vanno tutte alla Santa Messa alla chiesa cattolica in mattoni rossi che domina là in alto, sulla collinetta in fondo al villaggio. La strada costeggia il fiume Ogooué, è sterrata e la laterite di cui è ricoperta la rende magnificamente rossa, come del resto tutte le strade che percorreremo; tutte le sfumature di verde della foresta, giallo-oro delle savane, rosso della terra sono i colori di questo Gabon selvaggio e vergine per l'85% della sua estensione.
Durante la notte ha diluviato, siamo mica all'equatore per niente, pozzanghere grandi come laghi obbligano a gincane non indifferenti per non inzaccherarsi tutti. Nella mia postazione mi sento al sicuro, mi immagino di poter fotografare liberamente senza chiedere il permesso a nessuno, ma mi sbaglio: " tu m'as filmée mamà" mi lancia una signora tirando su gli occhi, "certo-rispondo- sei così bella tutta vestita di bianco" e il disappunto iniziale si trasforma in un soddisfatto "merci mamà".
Tutti così questi gabonesi, di primo acchito non sono accoglienti, sembrano diffidenti e suscettibili, ma poi basta sorridere e parlare, stabilire un contatto personale e le barriere cadono e si rivelano amabilissimi. Alla chiesa il pomeriggio precedente avevamo assistito ai preparativi, il servizio d'ordine che si organizzava, le donne che pulivano e lavavano per terra, la verifica dei microfoni, i bambini che giocavano e osservavano, in questi villaggi non sono numerose le occasioni di svago e ogni avvenimento rappresenta una distrazione. Anch'io mi sono messa une vecchio vestito bianco e blu che porto sempre in viaggio, tirato fuori dal fondo dello zaino è tutto stropicciato, ma poco importa, si fa quel che si può.
La chiesa è gremita, talmente gremita che molti sono rimasti fuori. Musiche bellissime e piene di gioia, adoro le messe africane, un canto in particolare il cui ritornello faceva "ah Ya Ya ah Douhma" e un sacerdote mi ha poi spiegato che in lingua "fang", una delle etnie locali, Ya Ya è un appellativo del Cristo e Douhma un'invocazione al sacro, al trascendente; non so bene come, ma mi sono messa a cantare con loro.
Le ho guardate tanto queste donne in chiesa e mi hanno profondamente commossa, erano stupende, elegantissime nei loro abbigliamenti colorati o tutti bianchi perfettamente stirati, i turbanti in testa della stessa fantasia dei vestiti annodati nelle fogge più fantasiose, con gioielli veri o fasulli che brillavano ancora di più sui loro corpi neri dalle pelle più morbida della seta. Delle vere regine! Mi hanno commossa perché queste donne le ho viste uscire da casupole di legno in mezzo alla foresta, da stamberghe di latta che sembrano stare in piedi per miracolo e ti domandi come fanno a viverci, le ho viste fare tutti i lavori possibili e inimmaginabili, con mastelli giganti sulla testa che contengono di tutto, con gerle pesantissime portate dalla foresta piene di legni per il fuoco, curve fino alle ginocchia per lavare i panni nel fiume, con i mocciosi in braccio, sulla schiena, tra le gambe, appesi a un lembo di vestito. Sono loro, non certo gli uomini, la spina dorsale da queste parti del mondo, i maschietti li vedi andare a caccia e a pesca, al bar, seduti sui banchi ai cigli delle strade a chiacchierare e a bere birra a più non posso; e loro, le donne, hanno una grinta formidabile, quando si arrabbiano diventano delle vere leonesse, senti grida e toni di voci perentori che sprigionano tutta l'energia del mondo, il risultato della durezza della loro vita.
Ed eccole qui in chiesa nel giorno di Natale che cantano in coro la gloria del Signore, belle e maestose come appena scese dal cocchio regale, come appena uscite dal loro castello fatato là nella foresta!
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