Definire giuridicamente la sicurezza nazionale: strategia e trattati

Creato il 13 novembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Introduzione

La nozione giuridica di interesse nazionale si basa su una corrente di pensiero giuridico secondo la quale esiste un diritto naturale degli Stati a mantenere la loro propria sicurezza nazionale e quella dei loro cittadini.

In particolare, già nel XIX secolo, Vattel affermava e classificava, tra i principi generali del diritto delle genti, il diritto della Nazione a fare: “tutto ciò di cui c’è bisogno per evitare un pericolo imminente e per allontanare le cause capaci di originare la sua rovina”, incluso il diritto di “liberarsi da qualsiasi pregiudizio”. Una nozione, tuttavia, diffamata da altri autori come Grozio secondo il quale la “ragion di Stato” è opposta al cosiddetto “diritto delle genti”.

È difficile determinare se è corretta la teoria di Vattel alla quale abbiamo fatto riferimento (anche se forse alcune norme di diritto internazionale riconoscono a questo approccio un certo valore legale). Tra queste, possiamo trovare le norme stabilite per la protezione dei diritti della comunità internazionale, la regolamentazione dei cosiddetti spazi comuni, le derivate di varie sentenze e ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) e degli organismi regolatori del commercio mondiale, come l’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT).

Sviluppo

Inizialmente, e confermando questa affermazione iniziale alla quale abbiamo fatto riferimento, possiamo affermare che il Patto della Società delle Nazioni ospita una strumentalizzazione giuridica originale delle cause che ci interessano, però con alcune sfumature; mi spiego, una “cosa” è il significato che si da al termine nel Patto e un altro è quello che riceve nell’ambito dell’attività convenzionale o abituale ospitata nel “cuore dell’organizzazione”.

Rispetto alla prima interpretazione, l’articolo 8 del Patto della Società delle Nazioni dice, inter alia:

“I Membri della Società riconoscono che il mantenimento della pace esige la riduzione degli armamenti nazionali al minimo compatibile con la sicurezza nazionale e con l’esecuzione degli obblighi internazionali imposti da un’azione comune”.

Questa dichiarazione d’intenti non ha però ottenuto una vera ed effettiva riduzione di armamenti durante il periodo tra le due guerre (dal mio punto di vista il mondo non era preparato e non lo è tutt’ora).

Nel secondo aspetto analizzato, ossia il riferimento alla normale attività dell’organizzazione, troviamo differenti previsioni di accordi e convenzioni relativi alla protezione dei rifugiati e, in questi casi, si ricorre alle cosiddette “clausole di sicurezza nazionale”: articolo 3 della Convenzione di Ginevra del 28 ottobre 1933 (relativo allo Statuto internazionale dei rifugiati; articolo 4.2 dell’Accordo di Ginevra del luglio 1936 (relativo allo Statuto dei rifugiati provenienti dalla Germania) e articolo 5.2 della Convenzione di Ginevra del 10 febbraio 1938 (relativo allo Statuto dei rifugiati provenienti dalla Germania) in cui si formula in termini negativi la possibilità di adottare degli strumenti per raggiungere questa finalità:

“ogni parte contraente s’impegna a non allontanarsi dal proprio territorio anche mediante l’applicazione di misure di polizia, a meno che dette misure non siano dettate da motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”.

Queste norme saranno integrate successivamente da altre regole simili, si può citare come esempio la Carta delle Nazioni Unite che alla lettera e) del suo articolo 73 autorizza gli Stati membri “che hanno o assumono la responsabilità di amministrare territori i cui popoli non godono di piena autonomia, a stabilire i limiti alla sicurezza che possono richiedere (…)”. In particolare questo articolo determina il primato degli interessi degli abitanti dei territori su altre questioni, ma questo tema sarebbe poi “limitato” o sfumato in altre situazioni particolari.

Possiamo dedurre quindi che esistono una serie di circostanze che autorizzano gli Stati, in applicazione del Patto della Società delle Nazioni e di altre norme posteriori, a difendersi in ragione dell’esistenza di motivi relazionati alla sicurezza nazionale e che saranno integrati da altre regole successivamente.

Seguendo la concezione di Salmon potremmo dire che la nozione giuridica di sicurezza nazionale si basa su concetti o elementi ambigui che permettono alle nazioni, in un certo modo, di superare le rigidità delle norme come quelle che abbiamo visto stabilirsi nel diritto internazionale generale.

Mentre il concetto giuridico di sicurezza nazionale non è definito con chiarezza a livello internazionale, è possibile delimitarlo nel contesto di un determinato trattato bilaterale o multilaterale.

Anche se come tutti sappiamo esistono dei limiti a questo postulato, un esempio famoso è la risoluzione della CIG in relazione alla controversa sentenza del 27 giugno 1986 relativa alle attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua; la CIG ha quindi adito diversi “aspetti di tutela della sicurezza come parte integrante degli interessi vitali dello Stato”. Da una parte, e ciò è importante, ha calibrato l’importanza di una clausola presente nell’accordo bilaterale sottoscritto dalle parti, dall’altra parte, ha stabilito criteri ermeneutici in relazione agli effetti di tale disposizione nei confronti delle altre parti.

Come si sa, nel mondo militare e giuridico, alcuni Stati hanno manifestato delle riserve all’accettazione delle competenze giurisdizionali della CIG, come quella formulata dagli Stati Uniti che nonostante accettassero la competenza di questo Tribunale ai sensi dell’articolo 36.2, con la “riserva Connolly” specificavano che se un ambito era considerato di competenza interna degli Stati Uniti (il cosiddetto dominio riservato), come ad esempio la protezione degli interessi essenziali di sicurezza, non poteva applicarsi la legislazione internazionale.

Generalmente si deduce, quindi, che alle ragioni di sicurezza nazionale si sommano le disposizioni o gli accordi bilaterali che permettono alle parti di limitare la portata dei propri obblighi internazionali o addirittura di essere considerati esenti dall’attuazione di questi obblighi (come era il caso della sentenza in questione). In ogni caso, il quadro di sviluppo del concetto di sicurezza nazionale è riconosciuto nel piano giuridico, anche se in un modo non del tutto certo, ed è formulato deliberatamente in modo ambiguo quando gli Stati lo utilizzano per formulare “clausole di sicurezza nazionale” nei vari trattati internazionali e, a livello pratico, nelle strategie di sicurezza nazionale che gli Stati sviluppano nei propri rispettivi ambiti di responsabilità.

La CIG si è riferita, nel contesto della determinazione dei mezzi a disposizione di uno Stato per far fronte alle minacce alla sicurezza, al diritto alla legittima difesa individuale e collettiva, contemplando nell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite il diritto naturale di tutto gli Stati alla “difesa contro l’aggressione armata” secondo i principi di necessità e proporzionalità.

Questo concetto può essere studiato a sua volta in relazione agli elementi sui quali si basa la sicurezza o l’autodifesa, che come vedremo variano per ogni nazione, e anche in funzione della preminenza che questo diritto ha rispetto ai diritti individuali. Con riferimento agli elementi che compongono questa definizione di sicurezza possiamo constatare a livello pratico che, per esempio, il “territorio da proteggere”, che fino ad ora aveva sempre preoccupato la sicurezza nazionale, non si limita solo al territorio nazionale ma anche a quello degli alleati con i quali sono stati conclusi degli accordi internazionali, ne tanto meno si circoscrive al terreno fisico, ma comprende “molti altri spetti o ambiti”.

Inoltre, parallelamente, la difesa della sicurezza non è solo armata. Per esempio, le strategie nazionali di sicurezza nordamericana e spagnola enumerano in forma singolare gli strumenti disponibili per mettere in pratica la strategia in relazione a varie e differenti minacce (che sono, come affermano Fojón e Arteaga, multiple, sequenziali e multisettoriali).

È risaputo che le minacce alla sicurezza nazionale sono cresciute esponenzialmente sia a livello quantitativo che qualitativo negli ultimi anni e che la debolezza dello Stato nell’affrontarle è diminuita essendo aumentate le sinergie derivate dal coordinamento internazionale e rendendo così più semplice definire ciò che s’intende come una minaccia per la sicurezza nazionale.

Cioè, se combattiamo insieme contro qualcosa (a livello interno ed esterno) dovremmo essere d’accordo su “ciò che abbiamo di fronte”. In tal senso, le clausole di sicurezza nazionale presenti in un accordo internazionale autorizzano solo i comportamenti di quelle parti che non sono vietati dal diritto internazionale generale. Così, per esempio, il documento finale del Vertice mondiale del 2005, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, evidenzia nei paragrafi dal 69 al 118 diverse minacce che non distinguono tra le “frontiere nazionali e a loro volta sono interconnesse”.

L’Unione Europea (UE), senza pericolo di essere qualificata come organizzazione internazionale, per esempio, da “interventista” e da promotrice del rispetto delle decisioni dei tribunali internazionali e che ha meritato recentemente il Premio Nobel per la Pace, ha definito nelle sue comunicazioni indirizzate alle riunioni informali dei capi di Stato e di governo dell’UE, celebrate ad Hampton Court nel Regno Unito nel mese di ottobre del 2005 e a Lahti, in Finlandia nel 2006, una serie di minacce transnazionali che vanno oltre quelle considerate “tradizionali”.

Singolarmente, e in relazione a questa a definizione concettuale di sicurezza, nell’articolo 296 del Trattato UE esiste una riserva d’eccezione che permette agli Stati membri di invocare gli interessi essenziali della propria sicurezza per, ad esempio, non partecipare alle iniziative relative alla promozione dell’azione congiunta in materia di sicurezza o semplicemente di sviluppo dei programmi di armamento. Ciò provoca gravi inefficienze all’interno dell’organizzazione, talmente gravi da mettere in discussione la sua esistenza. In generale, la giurisprudenza del Tribunale di Giustizia della Comunità Europea ha delimitato singolarmente le condizioni di utilizzo di questa “eccezione” in modo del tutto restrittivo. Tuttavia, permangono numerose difficoltà di applicazione dovute, in particolare, alla mancanza di un’interpretazione precisa di queste disposizioni e di una definizione chiara del concetto di interesse essenziale di sicurezza, che non è chiara nemmeno all’interno dell’UE.

Volendoci concentrare momentaneamente sugli accordi del GATT del 1947 e sulle eccezioni relative alla sicurezza nazionale, in particolare sull’articolo XXI, attualmente XXI del GATT del 1994, che si riproduce testualmente in altre disposizioni delle norme sostanziali del sistema giuridico della Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) è fondamentale per comprendere un concetto essenziale per l’oggetto della nostra sicurezza nazionale, ossia: la parte che è più attuale e che è relazionata con l’economia.

Realmente, la norma da il margine sufficiente affinché le nazioni possano difendere i propri interessi legittimi di sicurezza e promuovere il commercio, l’interscambio o l’economia internazionale, eludendo il dovere di comunicare queste decisioni a terzi interessati. Questo assunto ha una relazione evidente con il concetto ambiguo di “sovranità moderna”. Jackson afferma che:

“l’attuale giurisprudenza straordinariamente elaborata dell’OMC esemplifica la tensione tra l’internazionalismo e i desideri dei governi nazionali a governare, una tensione che è anche manifesta nel diritto internazionale e nelle relazioni internazionali”.

La giurisprudenza del GATT è stata molto discussa sebbene sia stata generalmente accettata. Così come Schloemann e Ohloff hanno segnalato:

“il fatto che non sia stata prevista nessuna riserva imperativa a favore dei membri, insieme al carattere conciso della disposizione, sono indizi chiari del riconoscimento della competenza giurisdizionale della organizzazione e si può concludere, una volta analizzato questo tema, che nei casi di accordi multilaterali che proteggono obiettivi essenziali della comunità internazionale le parti godono di uno scarso margine di applicazione del diritto a limitare o sospendere l’attuazione dei propri obblighi discendenti dalla clausola di sicurezza nazionale”.

In modo singolare, la legislazione internazionale riconosce una grande discrezionalità per l’identificazione delle minacce e successivamente dei possibili mezzi di risposta e ciò ha provocato nel corso della storia numerose violazioni dei diritti umani, soprattutto in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina e anche in altre nazioni che agiscono come possibile “esempio” di rispetto della legge e dei diritti fondamentali.

Anche se in realtà, di solito questi sono inclusi in disposizioni presenti in accordi bilaterali o multilaterali, senza includere le disposizioni interne, e normalmente si inseriscono con la finalità di “limitare la portata degli accordi internazionali”. In concreto e in relazione con gli strumenti di cui dispone lo Stato, per gli Stati Uniti, gli strumenti necessari sono: la difesa, la diplomazia, le istituzioni economiche, lo sviluppo, la sicurezza interna, l’intelligence, la protezione civile, il popolo americano e il settore privato. Per lo stato spagnolo questi variano e sono: diplomazia, forze armate, forze e corpi di sicurezza dello Stato, servizi d’intelligence, protezione civile, cooperazione allo sviluppo e relazioni economiche e commerciali.

Dal confronto tra i due vengono rilevati, soprattutto nel modello spagnolo, alcune omissioni “involontarie”.

La prima assenza riguarda le comunicazioni strategiche, l’utilizzo delle informazioni per sfruttare gli obiettivi strategici e, cosa molto importante, la legittimità delle nostre azioni, un tema sempre molto difficile da parlarne apertamente. Ma in che modo e come potremmo stabilire la discrezionalità tra l’attuazione degli Stati e quella dell’ordinamento giuridico internazionale? La sovranità ha limiti nel fornire sicurezza al suo popolo così come affermava Hobbes nel suo Leviatano? Ci sono limiti alla strategia? Certamente la missione della preservazione della sicurezza, così come afferma Moreiro, e altri come Gonzalez Campos, Sánchez Rodríguez o Andrea Saenz de Santamaría, è consustanziale alla nascita dello Stato ed è una delle funzioni della sovranità che esiste dalla genesi delle prime strutture internazionali della comunità internazionale.

Certamente la moderna concezione del diritto pubblico nato dalla Rivoluzione Francese rende possibile la distinzione tra attentati alla sicurezza interna (guerra civile, attentati contro le autorità dello stato…) ed esterna (integrità territoriale, interessi internazionali dello Stato, indipendenza sovrana…). Una volta definito un quadro per la difesa, la legislazione internazionale generale considera internazionalmente ammissibile il solo principio di protezione, non l’autodifesa, che è concepita “in termini eccezionali e molti restrittivi”; in concreto, per esempio, nella risoluzione dell’Istituto Di Diritto Internazionale (IDI) del 31 agosto 1933 si trattarono situazioni in cui il diritto soggettivo dispone di poteri giuridici per difendersi e proteggere i propri interessi essenziali di sicurezza.

In questo senso la libera determinazione di condotta statale è, così come la definisce Marino:

“il requisito più specifico ed essenziale nella determinazione di uno Stato come persona del diritto internazionale: l’indipendenza sovrana”.

Questa indipendenza comincia nel mondo delle idee e si sviluppa nel corso dell’azione del potere esecutivo laddove le strategie non hanno senso in quanto atti isolati e formali e il concetto di sicurezza nazionale non risulta correttamente definito e articolato. Così quindi la strategia nazionale di sicurezza emana dalla stessa sovranità nazionale, come già sappiamo. Una volta definito il quadro generale in cui lo stato svilupperà la propria sovranità, e dopo la promulgazione e/o approvazione di una strategia di sicurezza nazionale, sarà necessario realizzare almeno tre cose: il modo in cui tale sicurezza viene fornita insieme agli strumenti necessari per implementarla, le competenze e le risorse necessarie per mettere in pratica le linee di attuazione strategica, le riforme amministrative e le proposte per sviluppare una strategia a più livelli.

Una strategia di sicurezza nazionale si configura così non tanto come un punto di arrivo ma possibilmente come un punto di partenza dalla quale derivano molte azioni e ramificazioni. Per esempio, la strategia di sicurezza nazionale britannica del 2010 è stata accompagnata da una revisione strategica di sicurezza e difesa ed è stata la base per l’attuazione delle strategie anti terroriste del luglio 2011. La strategia di sicurezza nazionale nordamericana è servita come fondamento per l’elaborazione delle strategie trasversali per combattere il terrorismo e il crimine organizzato transazionale nel giugno e nel luglio 2011, così come per l’attuazione del resto delle strategie settoriali, l’ultima delle quali è la recente Guida strategica di Difesa. Lo stesso processo di elaborazione è previsto in Spagna.

Conclusioni

In definitiva, a livello giuridico, la sicurezza nazionale (e la sua strategia) è consustanziale allo Stato ed una delle funzioni di sovranità più importanti che esso esercita attraverso il potere esecutivo.

Essa detiene una serie di limiti nella sua prospettiva interna ed esterna, anche se si estende più in la dell’autodifesa, articolandosi in una serie di clausole incluse in diversi trattati bilaterali e multilaterali sottoscritti dal paese. Come considerazione particolare possiamo dedurre che, in generale, la prassi internazionale non ha specificato il contenuto preciso della nozione di sicurezza nazionale, anche se è possibile definirla in funzione di un determinato accordo bilaterale o multilaterale e grazie anche a “certa giurisprudenza della CIG e del Tribunale Europeo dei diritti umani che hanno contribuito a sviluppare questa definizione”, considerando come punto apice di questo ragionamento che la legittimità delle misure adottate è stata ed è tuttora soggetta alla necessità e alla proporzionalità delle azioni intraprese e alla possibilità di testare gli eventi in base al comportamento o alle azioni di difesa mediante la realizzazione di accordi internazionali relativi a questo tema.

Nel concetto di sicurezza nazionale, che è relazionato a quello di sovranità nazionale, sono presenti dei “significati che non è possibile ignorare di natura politica, ideologica, economica, materiale, tecnica, emotiva e sentimentale” che ci fanno definire il concetto di sicurezza.

Anche se la sicurezza nazionale è una questione di Stato e, pertanto, è auspicabile che tutto ciò che si riferisce ad essa goda del massimo consenso; la strategia, di natura essenzialmente politica deve essere modulata dalla persona che detiene le redini del governo. Quindi sembra migliore la prassi americana e inglese che abbina i tempi di elaborazione della strategia con i mandati presidenziali e legislativi. Ed è proprio in questa direzione che ci si sta muovendo anche in Spagna.

(Traduzione dallo spagnolo a cura di Martina Zannotti)


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