Già, perché fanno tutti finta di non saperlo, ma il "periodo di prova" è compreso nel contratto.
Lavorare senza un contratto, prova o non prova, è lavoro in nero, senza "se" e senza "ma".
Non è per "osservare" che facevo un'ora di macchina ogni giorno, e non "osservavo" quando i medici mi chiedevano di assisterli, o portare immediatamente strumenti e materiali che io neanche sapevo dove cercare, non sono rimasta ad "osservare" quando ho visto che il magazzino non aveva un minimo di ordine logico e gliene ho dato uno. Non mi sembra che "osservare" significhi pulire anche il sangue di pazienti affetti da Hiv ed epatite. Eppure mi è stato persino chiesto di "osservare" in sostituzione ad un'altra assistente, quindi doppio turno, quindi 11 ore. Il solo fatto di essere lì era estremamente umiliante: avevo portato il curriculum dopo aver visto che cercavano un'apprendista assistente.
Dopo due giorni mi hanno chiamato per "una settimana di prova". Ero troppo felice per considerare quanto fosse illegale e contro i miei diritti farmi entrare in uno studio medico senza un contratto, ma che vuoi che sia, in fondo è per una settimana. E quando la settimana è finita, e mi è stato comunicato il turno della settimana successiva, non ho dato peso al fatto che non potevano farlo. Stavo lì a pensare "dovevo fare una settimana di prova, mi dicono di tornare anche la settimana prossima, vuol dire che sono andata bene".
Continuavano a schiaffeggiare i miei diritti ma suvvia, che sarà mai. Dopo quasi un mese mi dicono che in effetti sono andata bene. Mi dicono che gli altri assistenti ed i medici si sono trovati bene. Mi dicono che "domani intanto chiamiamo un'altra a provare, poi ti faccio sapere sabato prossimo". Detto ciò mi vengono fatti i complimenti per la bravura nel mio lavoro, complimenti decisamente fuori luogo. E in quel preciso momento mi sono sentita immensamente stupida. È sottinteso che le ore lavorate non mi sono mai state pagate, neanche un rimborso benzina, ma 60 km al giorno per una persona disoccupata sono un lusso.
Irene
Fonte: Il Tirreno del 17 giugno 2012, pagine di Pistoia