S. Dalì – L’enigma di Hitler
“Sono certo che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista porteranno ricche innovazioni nel campo della produzione artistica e grandi miglioramenti nel settore rispetto ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico.
(…) Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Se questa è tale, allora nessun’offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degenerazione e decadenza. Ciò che si rivela il “culto del primitivo” non è espressione di un’anima naif, ma di un futuro del tutto corrotto e malato.
(…) Chiunque ad esempio volesse giustificare i disegni o le sculture dei nostri dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati espressionisti, sostenendo lo stile primitivista, non capisce che il compito dell’arte non è quello di richiamare segni di degenerazione, ma quello di trasmettere benessere e bellezza. Se tale sorta di rovina artistica pretende di portare all’espressione del “primitivo” nel sentimento del popolo, allora il nostro popolo è cresciuto oltre la primitività di tali “barbari”.
Discorso di Adolf Hitler fatto nel 1935 al congresso sulla cultura
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Hitler: folle pittore austriaco? Artista simbolico che ha distrutto lo stesso simbolo che puntava ad essere? Promotore di un’arte cresciuta in progressivo distacco dell’uomo da dio ma che a quel dio puntava ad assomigliare ? Testimonianza di un conflitto sempre eterno tra arte e politica? O semplice storia di un uomo ordinario e complessato, quasi stupido si potrebbe dire, affetto da disturbo narcisistico degenere? Pensando a quest’uomo e alla sua dimensione simbolica e di mito si rivela tutta la sua enigmaticità e la conflittualità ad essa connessa, perchè la filosofia di Hitler ben si inquadra in quella di Nietzsche e Schopenhauer , in cui però la ricerca di assoluto, bellezza e perfezione percorre e degenera in una strada di pura aberrazione tra delirio di onnipotenza e annullamento totale di coscienza e sentimento.
Senza alcuna misura infatti e con l’obiettivo di rendersi simbolo immutabile ed eterno di incontrastabile magnificenza, Adolf Hitler si occupò d’arte essendone da sempre un grande estimatore. Egli stesso in realtà nella sua prima giovinezza fu un artista, anche se la sua fu un’arte prettamente scolastica, descrittiva e piatta, perciò anonima e senza particolare stile.
L’hanno definito “ imbianchino “, “ pittore del nulla”, proprio per questa sua pittura fredda, non popolata mai da alcuna presenza umana. Questo forse perché sin dall’età giovanile doveva aver maturato quella concezione che più che l’uomo, a contare è la sua opera e il modo in cui è riflesso e vissuto in essa nella coscienza altrui.
Se come disse Dalì “ l’unica cosa della quale il mondo non avrà mai abbastanza è l’esagerazione “ nella vicenda artistico-politica di Hitler , l’esagerazione fu proprio il leit motiv che infuse nei tedeschi un sentimento di appartenenza al grandioso e di certezza di un analogo futuro di cui l’arte ne fu perversa sfera di cristallo, specchio illusorio distorto. Perchè una cosa è certa : la filosofia che nutrì l’arte in questo periodo, ha segnato nella sua esagerazione un tratto distintivo ed originale rispetto alle concezioni filosofiche di tutti i tempi, tanto che una riflessione più ampia potrebbe porterebbe a collocarla a metà tra la mitologia e la sceneggiatura fantascientifica. Da un lato l’arte era il fiore che emanava un profumo di un futuro di gloria infinita, di invincibilità contro l’oblio del tempo, dall’altro costituiva un potente narcotico di massa, una vera e propria arma in grado di racchiudere in sè il potere catartico-degenere di annullare ogni forma di ” soggettività” a favore di una società organizzata e forte perchè eretta su basi di ferrea disciplina.
E’ innegabile che l’era del Reich sia stata caratterizzata da un intenso culto dell’arte e dalla creazione di stupende opere monumentali. Ciò che veniva definita come opera doveva essere riconoscibile nei suoi tratti distintivi di linearità e sfacciata austerità, qualcosa che distanziasse la complessità paradigmatica di altri movimenti artistici dell’epoca. Viene ripudiato ogni sussulto emotivo, ogni svolta evocativa soggettiva e tutto viene cementificato in parametri asfissianti dal perimetro irrevocabile quali: nobiltà del sangue, ammirazione del popolo, mistica della terra, ammirazione per l’eroe, culto del corpo. Si crea un mito che vuole superare l’ingovernabilità del caso e del caos instaurando un determinismo che nella sua corta visione vuole essere allo stesso tempo occhio del mondo, dio splendente , spirito governante giusto e di riferimento.
L’arte come mito progettato e schwarzeneggeriano di un pensiero che poco concede alla debolezza, ma che forgia un uomo degno di ammirazione poichè in grado di governare il mondo e se stesso. In questo senso l’idea nazista sull’arte ha dell’incredibile. Affascina quasi per la concezione futurista dell’uomo meccanico e replicante, la scioccante idea dell’automatismo a cui tende l’attuale ricerca tecnologica. L’automatizzarsi dell’arte, il suo fondarsi più sulla potenza persuasiva che su quella conoscitiva della ricerca spirituale, concorre a creare quella figura d’anima che sensibile comunque alla fascinazione del bello, si lascia modificare nelle sue opinioni come il corpo si lascia modificare dai farmaci, si lascia modificare nello spirito come un robot per il quale si tarano i sensori di coscienza ed intuizione. Lo stesso Cioran, fine filosofo, si disse ammiratore di quest’espressione artistica che richiamava in modo netto alla suprema reazizzazione dell’uomo e tendeva al contempo all’esaltazione pura dei simboli più primitivi : “Se c’è una cosa che amo negli hitleriani è il culto dell’irrazionale, l’esaltazione della vitalità in quanto tale, l’espansione virile delle forze, senza spirito critico, senza riserve e senza controllo…Solo gli elementi originali contano: solo le forze irrazionali della vita possono giustificare un’azione e garantirne l’autenticità. Una vera e propria estasi dei dati primari, degli elementi primordiali non falsati: ecco cos’è questo irrazionalismo, nella cui visione lo spirito, la cultura e la morale sono definiti come prodotti derivati. “
L’arte non deve troppo giocare con le cose, deve rispettare le regole di rigore politico, perseguendo scopi e valori, deve contribuire a costruire una trama che annullando le sciocche pulsioni individuali che portano sempre a dolore, interessi, necessità e noia, e deve farsi assoluta, prospettiva di tutte le prospettive. La negazione dell’individuo attraverso l’ascesi estetico-artistica consente di raggiungere uno ” stato senza dolore” epicureo, uno stato spettante ad un dio.
E proprio nel senso di una rielaborazione di questi principi Hitler costruì la sua verità; una verità ascetica, quasi mistico-simbolica, su cui fondare i nuovi principi morali dell’arte. L’irrazionale dunque diventa estrema razionalità di forma , un ritorno alla radice dell’essenzialità che deve dare i suoi frutti con dimostrazione matematica, e che attraverso violente scansioni si impone a strumento totalitario per annullare il discontinuo a favore di un continuo folle e degenere da costituire in conformità alla concezione filosofico-politica del suo leader : rendere il dissimile al simile in uno scenario ideale e immaginifico di ordine e magnificenza.
Hitler costituisce per questo un esempio di artista degenere, il quale non esita a relegare quella magnifica e sconfinata perfezione della bellezza in un orizzonte finito dentro il quale uniformare ed eliminare ogni diversità, entro il quale limitarne la fruizione, azzoppare l’arte che pur se concepita infinita, deve procedere a passo finito a mo’ di ghigliottina , camminare cioè con affondi progressivi spezzando ogni trama di libero pensiero, smascherando ogni equivoco e dissolvendolo.
Emblema di tutto ciò , fu la mostra Entartete Kunst, ovvero la vicenda della persecuzione all’arte degenerata strettamente legata ad idee di stampo politico e razziale nazista. I nazisti, con terrificante regia , confiscarono dai musei di tutto il paese circa 16000 opere d’arte appartenenti alle correnti del cubismo, futurismo e dadaismo. Su 16000 furono presentate alla mostra circa 700 opere che furono esposte, con intento denigratorio, accanto a lavori realizzati da pazienti di ospedali psichiatrici. Fu fatto espresso divieto di visione per i più giovani. Tra gli artisti perseguitati si contavano molti personaggi illustri dell’arte del XX secolo: Beckman, Ernst, Grosz, Kirchner, Klee, Mondrian, Picasso, Otto Dix e molti altri tra cui scrittori e poeti . La mostra presentava le opere raggruppandole sotto vari temi dai significativi titoli: “Manifestazioni dell’arte razzista giudaica”; “Invasione del bolscevismo in arte”; “La donna tedesca messa in ridicolo”; “Oltraggio agli eroi”; ” I contadini tedeschi visti dagli ebrei”; “La follia eretta a metodo”; “La natura vista da menti malate”, “Scherno insolente del Divino sotto il governo centrista “, ” L’ideale- cretino e puttana “.
Per la copertina del catalogo viene scelta un’opera “primitivista” di Otto Freundlich, artista noto soprattutto per il suo percorso verso l’astrazione geometrica. L’opera è “degenerata” perché non rappresenta la sana bellezza della razza ariana .
Trasmettere bellezza e benessere, questa la concezione dell’arte di Hitler unita ad un’egotismo tanto infinito quanto inammissibile che sfociò in persecuzione e in cui perciò aleggia tuttora una interessenza ideologica, estetica inaccettata e deplorata e che forse per questo, è sfociata in una sorta “ vendetta “ da parte di molti artisti contemporanei e non.
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Gedd Quinn - Hitler in Heaven –
G.Grosz – Hitler all’inferno
Giuseppe Veneziano
M.Cattelan
Boaz Arad
GazEdward
Charles Krafft
La vendetta peggiore però arriva da parte di Ronald Mannullang, che ritrae Hitler incinto. Ora non è chiaro se quest’opera vuole essere metafora di un dittatore in qualche modo sconfitto, sottomesso ingravidato dell’idea etica e di libertà propria dell’arte o se vuole essere metafora di un’idea di assoltutismo e dittatura che ha progenie riconoscibile e che tutt’ora è presente ed operante nella società odierna. E certo pensandoci, le attuali vicende storiche , non ci porterebbero ad escludere nè l’una, nè l’altra cosa.
Quello che è innegabile è che Hitler resta il personaggio storico più sbeffeggiato dall’arte, un modello prettamente negativo di uomo, politico, artista e mecenate dell’arte. In tutto questo, quella che fu la sua missione di dare all’arte un respiro grandioso di solennità degenera nello sfondo tragico della negazione di esso, nel concepire l’arte in tutta la sua capacità simbolica violenta al limite dell’alienazione, finendo così per auto implodere nella derisione e nel disprezzo generale insieme ad essa. Ma le cose non sono mai così semplici, perchè se si esclude proprio la degenerazione sfociata nel sangue e nella persecuzione, l’arte nazista costituirebbe di per sè una corrente di avvincente razionalismo futurista precorritrice di scenari fantascientifici e di immaginifica visione ascetica. Ammette infatti Cioran : “In verità, l’hitlerismo ha semplicemente volgarizzato i principi della filosofia della vita che, da Nietzsche a Simmel, Scheler e Klages, non ha fatto che mostrare il carattere originale dei valori vitali rispetto al carattere derivato e inconsistente dei valori dello spirito; la mobilità e lo slancio creativo della vita rispetto alla consistenza rigida dello spirito. (…) “ ma certo si può dire che c’è modo e modo e che nessun senso si è mai costituito se non nella differenza di significati, identità e prospettive se è vero come scrisse Regis Debray che ” il gioco simbolico è un gioco di squadra ” e Hitler giocava decisamente in contropiede.
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