Del buon uso di un apparecchio

Da Daniele Vannini

Scrivere qualche parola su un apparecchio fotografico?...Ci si sente subito come uno dei personaggi della pubblicità che tenta di provare, con un bicchiere in mano, che se su beve il whisky tal dé tali si è un perfetto gentleman. Ma in fondo, sospetto sempre
che in privato bevano di tutto o addirittura abbiano un'indole da vegetariani. Beh, qui non si tratta di questo, ma di dire perché da ventuno anni lavoro esclusivamente con lo stesso tipo di apparecchio, cioè un piccolo formato 24 x 36. Bisogna spiegare la fedeltà a uno strumento; non se ne può parlare in modo neutro perchè una intimità si è creata tra occhio e apparecchio. E' diventato il prolungamento del mio occhio e non mi lascia più.
L'apparecchio di piccolo formato 24 x 36 è più discreto, più maneggevole degli altri. Le sue 36 immagini evitano l'obbligo costante di ricaricarlo, come avesse esaurito il fiato, quando c'è un evento interessante ma un pò lungo.
La gamma di obiettivi intercambiabili permette di cogliere un soggetto nella sua integrità così come il nostro occhio lo ha isolato da tutto quello che lo circonda.
Un altro dato importante è la mira che si prende all'altezza dell'occhio, diretta come quella dello sguardo, e questo è senz'altro più naturale che andare a cercare il soggetto nel fondo del soffietto di un apparecchio tenuto all'altezza della vita; da quando in qua l'occhio ha un ombelico?
Prendiamocela adesso col monotono formato quadrato. Il formato rettangolare offre un gioco di proporzioni tra altezza e larghezza che arricchisce la composizione. A coloro che dicono di riquadrare i negativi con l'ingranditore, si potrebbe rispondere che l'integrità della loro visione, nel momento in cui hanno colto la scena, è andata distrutta e non resta che un compromesso da laboratorio. Devo dire che, personalmente, mi è capitato molto di rado di riquadrare una foto e di migliorarla: se non è buona, i rapporti geometrici presenti all'interno dell'inquadratura saranno labili, anche se si è tagliato un pò qui e un pò li.
Insomma, quando si è di fronte alla realtà, c'è bisogno di rigore nel d'occhio e di semplicità.
Gli apparecchi di piccolo formato posseggono obiettivi infinitamente più luminosi di quelli di formato maggiore e permettono di cogliere un soggetto dal vivo anche nelle condizioni di luce peggiori. Con le emulsioni delle pellicole rapide, come ce ne sono oggi, non c'è più bisogno - tranne rare eccezioni - del massacro del "flash". Come è possibile che in un paese che vanta il proprio buon gusto, la sua conoscenza della pittura, si possano ancora commettere atti di barbarie?[...]
Henri Cartier-Bresson,
"Du bon usage d'un appareil",
Point de vue - Images du monde,
4 dicembre 1952, n. 235

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