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Del codice barbaricino: i principi generali, le offese, la misura della vendetta. E una biografia del filosofo orunese Antonio Pigliaru.

Creato il 09 maggio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Antonio Pigliaru

Antonio Pigliaru

Dopo l’ennesimo fatto di sangue ad Orune, nel nuorese, dove un altro uomo troppo giovane ha perso la vita, riprendo qui di seguito un interessante sommario, tratto dalla tesi e dal bel sito di Giovanni Meloni, che ringrazio qualora passasse di qui, delle dinamiche del “Codice di vendetta barbaricino” così come presentate dal filosofo orunese Antonio Pigliaru. In calce anche una biografia di Pigliaru tratta dalla sua pagina wikipedica italiana. Non penso naturalmente che l’ultimo omicidio in Barbagia abbia nulla a che fare con i datati canoni illustrati da Pigliaru, ma sicuramente penso che abbia molto a che fare con le cose della nostra “sardità”, che sono per la maggior parte bellissime ma in alcuni casi decisamente deleterie. Chissà che questi scritti non aiutino a meglio riflettere. E a crescere meglio. RB 

Il Codice barbaricino può essere definito un codice comportamentale non scritto che vigeva non solo nella Barbagia, regione cui fa riferimento, ma in tutti i comuni della provincia di Nuoro e dell’Ogliastra, in quelli del Goceano (provincia di Sassari) e in alcuni dell’alto Oristanese.

Caratteristiche

Trattasi di una sorta di codice d’onore, simile ad una giustizia parallela, che ha talvolta sostituito gli organi giuridici del territorio. Alcuni studiosi ritengono che alla base della creazione del codice ci sia la scarsa tutela dell’individuo da parte dello Stato, che negli anni in questione non era presente nel territorio.

Questa situazione di assenza dello Stato ha motivato le cruente azioni di organizzazioni criminali del ventesimo secolo e retto i fili organizzativi della stessa Anonima sarda negli anni sessanta del XX secolo.

Secondo una ricerca di Antonietta Mazzette,docente dell’Università di Sassari, condotta nel 2006 in questa zona avviene la maggior parte dei fatti di sangue dell’isola. Nonostante la popolazione sia molto ridotta, questa zona corrisponde a quella in cui si sviluppò, a partire dal XVIII secolo, il cosiddetto “banditismo classico”.

Buona parte del codice tratta e definisce le offese subite, dall’insulto personale al furto e all’omicidio, e le relative sanzioni; l’ambito socio-economico in cui questo processo si è sviluppato è quello agro-pastorale. Lo scopo è quello della tutela dell’onore e soprattutto della dignità del singolo individuo.

Esempio pratico

Nel caso un individuo subisca un furto di bestiame, non sarà il furto in sé a costituire danno, ma il significato intrinseco a cui era mirato il crimine: in questo caso la perdita dell’autosussistenza della famiglia offesa. Quest’ultima avrà il diritto di vendetta, che dovrà essere proporzionata al danno subito. Per quanto riguarda il lato strettamente economico della perdita, l’individuo offeso commetterà a sua volta un furto di bestiame per tornare ad una situazione di parità. (tratto da Wikipedia)


Scrive Meloni: “Le consuetudini relative al meccanismo della vendetta, tramandate oralmente e in sardo, nel libro di Antonio Pigliaru Il banditismo in Sardegna (Milano, 1970), vengono trasformate in un codice di 23 articoli, scritti in un rigoroso linguaggio giuridico.

Il codice barbaricino si divide in:

I principi generali

Le offese

La misura della vendetta

I principi generali

1) L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta, salvo nel caso che, avendo dato con il complesso della sua vita prova della propria virilità, vi rinuncia per un superiore motivo morale.

2) La legge della vendetta obbliga tutti coloro che ad un qualsivoglia titolo vivono ed operano nell’ambito della comunità.

3) Titolare del dovere della vendetta è il soggetto offeso, come singolo o come gruppo, a seconda che l’offesa è stata intenzionalmente recata ad un singolo individuo in quanto tale o al gruppo sociale, nel suo complesso organico, sia immediatamente sia mediatamente.

4) Nessuno che vive ed opera nell’ambito della comunità può essere colpito dalla vendetta per un fatto non previsto come offensivo. Nessuno può essere altresì tenuto responsabile di un offesa se al momento in cui ha agito non era capace di intendere e di volere, nel quel caso rispondono i moralmente responsabili.

5) La responsabilità è o individuale o collettiva a seconda che l’evento offensivo consegua all’azione di un singolo individuo o a quella di un gruppo organizzato operante in quanto tale. Il gruppo organizzato sia sulla base di un vincolo naturale sia per effetto di sopravvenuti rapporti sociali, risponde dell’offesa quando questa è cagionata da un singolo membro del gruppo con iniziativa individuale nel caso in cui il gruppo medesimo, posto di fronte alle conseguenze dell’azione offensiva, esprima, in modi e forme non equivoci, attiva solidarietà nei confronti del colpevole in quanto tale.

6) La responsabilità di chiunque si trova nella condizione di ospite è solo personale e deriva dalle eventuali azioni od omissioni di lui, in rapporto ai doveri particolari del suo stato.

7) La vendetta deve essere eseguita solo allorché si è conseguita oltre ogni dubbio possibile la certezza circa l’esistenza della responsabilità a titolo di dolo da parte dell’agente.

8) L’offesa si estingue:

a) quando il reo lealmente ammette la propria responsabilità assumendo su di se l’onere del risarcimento richiesto dall’offeso o stabilito con lodo arbitrale;

b) quando il colpevole ha agito in stato di necessità ovvero per errore o caso fortuito ovvero perché costretto da altri mediante violenza cui non poteva sottrarsi. In questo ultimo caso risponde dell’offesa l’autore della violenza.

9) L’applicazione della legge della vendetta viene altresì sospesa nei confronti di chi, pur fondatamente sospettato, chiede e ottiene di essere sottoposto alla prova del giuramento onde essere liberato. In tal caso il giuramento deve essere prestato secondo la seguente formula: <<Giuro di non aver fatto ne veduto ne consigliato; e di non conoscere persona alcuna che abbia fatto, veduto o consigliato>>. E però ammessa, previo accordo, l’omissione della seconda parte della formula. Il giuramento liberatorio ha valore identico agli effetti della presente norma, sia che venga effettuato in presenza di terzi convocati in qualità di testimoni; ovvero in forma solennissima, secondo le consuetudini locali.

10) L’inadempimento fraudolento degli oneri derivanti dall’applicazione di quanto è indicato all’art. 8,a); ovvero il giuramento che risulti falso alla luce di ulteriori prove intervenenti a confermare le responsabilità  del colpevole, costituiscono aggravante specifica. Nel caso del falso giuramento l’offesa è ulteriormente aggravata se il giuramento è stato reso in forma solenne.


Le offese

11) Un’azione determinata è offensiva quando l’evento da cui dipende la esistenza di essa offesa è preveduto e voluto allo scopo di ledere l’altrui onorabilità e dignità.

12) Il danno patrimoniale in quanto tale non costituisce offesa né motivo sufficiente di vendetta. Il danno patrimoniale costituisce offesa quando, indipendentemente dalla sua entità, è stato prodotto con specifica intenzione di offendere, ovvero è stato realizzato in circostanze tali da implicare, per se medesimi, sufficiente ragione di offesa, ovvero quando in esso sia presente l’esplicita volontà di recare danno effettivo.

13) Le circostanze dell’offesa sono oggettive e soggettive. Le circostanze oggettive dell’offesa concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto e il modo dell’azione. Le circostanze soggettive concernono l’intensità del dolo o le condizioni e qualità del colpevole ovvero i rapporti esistenti o esistiti tra il colpevole e l’offeso.

14) Pertanto il danno patrimoniale costituisce offesa nei seguenti casi:

a) furto di bestiame quando esso pur rientrando nella normale pratica dell’abigeato è stato consumato: 1) da un nemico; 2) da chi è stato compagno d’ovile dell’offeso e conosce per tanto l’organizzazione tecnica dell’ovile medesimo; 3) dal titolare dell’ovile confinante; ovvero se è stato reso possibile dalle loro complicità od omertà;

b) furto della capra da latte destinata alla alimentazione del complesso famigliare;

c) furto di un maiale destinato all’ingrasso per motivo di economia famigliare;

d) furto o sgarrettamento di una vacca destinata in dono al neonato, alla sposa, all’orfano;

e) furto o sgarrettamento di un cavallo ovvero di un giogo di buoi destinati alla normale pratica del lavoro;

f) distruzione vandalica del bestiame ovino, bovino, equino;

g) incendio doloso;

h) pascolo abusivo entro un terreno recintato, consumato con scopo provocatorio ovvero a titolo di dispetto;

i) ingiusta divisione patrimoniale, che consegue ad un comportamento sleale posto in essere con il deliberato disegno di recare un danno effettivo a persona non in condizioni di fare valere al giusto momento le proprie ragioni, per una qualsivoglia circostanza di fatto;

l) esercizio esoso delle proprie ragioni effettuato con intenzione di offendere.

15) Quando più persone concorrono alla esecuzione materiale di un fatto elencato nell’art. 14, non ne risponde chiunque vi abbia partecipato:

a) non essendo a titolo personale nelle condizioni espressamente previste per quanto concerne i casi preveduti dalla lett. a);

b) non essendo a conoscenza della particolare natura o destinazione della cosa, nei casi di alle lettere b), c), d), e);

c) avendo agito per esecuzione di mandato ricevuto, senza altra partecipazione che di natura tecnica al verificarsi dell’evento, nei casi di cui alle lettere f), g), h);

Non risponde altresì dell’offesa colui il quale, in ordine al caso di cui alla lettera i), abbia agito in buona fede perché tratto in errore da terzi.

16) Inoltre costituisce offesa:

a) il passaggio provocatorio di un nemico attraverso un terreno chiuso;

b) l’ingiuria, quando l’offesa al decoro di una pecora o di un gruppo è recata con attribuzione di un fatto determinato ma falso, tale da ledere l’onorabilità della persona o del gruppo cui il fatto medesimo venga attribuito;

c) la diffamazione e la calunnia, quando concorrono le stesse circostanze previste per la ingiuria;

d) la rottura di una promessa di matrimonio. In questo caso è aggravata quando il fatto è in sé privo di giustificazione; ovvero allorché l’azione è stata posta in essere in circostanze tali da compromettere pubblicamente l’onere della promessa sposa e insieme la dignità e l’onere della famiglia cui essa appartiene. Costituisce altresì offesa ulteriormente aggravata la rottura della promessa di matrimonio quando il colpevole abbia agito con lo scopo di menomare l’onore della promessa sposa ovvero di offendere la di lei famiglia;

e) la non giustificata rottura o il mancato adempimento di un patto stabilito per qualunque motivo a fine nelle debite forme. L’offesa è aggravata se il soggetto recedente si avvale del vantaggio a lui derivante dalla qualità di socio per recare o favorire chi intende recare un danno all’altra parte. L’offesa è ulteriormente aggravata quando il recesso ovvero l’inadempienza sono stati posti in essere allo scopo di recar danno;

f) la delazione, ove non sia effettuata dalla parte lesa ma avvenga a scopo di lucro ovvero a titolo di dispetto. L’offesa è aggravata quando viene recata con confidenza all’autorità di pubblica sicurezza invece che all’autorità giudiziaria;

g) la falsa testimonianza resa da persona non legittimata dalla qualità di parte lesa. La falsa testimonianza non offende quando è prestata da chi esercita la professione di teste falso ovvero da chi dichiara il falso a favore dell’imputato indipendentemente dalla colpevolezza o non colpevolezza di quest’ultimo;

h) ogni azione posta in essere contro la persona ospitata. In tal caso titolare della vendetta è la persona o il gruppo ospitante;

i) l’offesa del sangue;

17) Costituisce offesa ogni azione  intesa a produrre un fatto di natura offensiva quando l’evento non si verifica, ove ciò sia dipeso dalla mutata volontà dell’agente e tuttavia gli atti compiuti esprimono in modo idoneo e non equivoco la volontà di recare offesa.


La misura della vendetta

18) La vendetta deve essere proporzionata, prudente o progressiva. S’intende per vendetta proporzionata un’offesa idonea a recare un danno maggiore ma analogo a quello subito; s’intende per vendetta prudente un’azione offensiva posta in essere dopo la conseguita certezza circa la esistenza della responsabilità dolosa dell’agente e successivamente al fallito tentativo di pacifica composizione della vertenza in atto, ove le circostanze della offesa originaria rendono ciò possibile; s’intende per vendetta progressiva un’azione offensiva posta in essere con prudenza e tuttavia adeguantesi con l’impiego di mezzi sempre più gravi o meno gravi all’aggravarsi od all’attenuarsi progressivo dell’offesa originaria, anche in conseguenza dell’eventuale verificarsi di nuove circostanze che aggravino ovvero attenuino l’offesa originaria o del progressivo concorrere nel tempo di nuove ragioni di offesa.

19) Sono mezzi normali di vendetta tutte le azioni prevedute come offensive a condizione che siano condotte in modo da rendere lealmente manifesta la loro natura specifica.

20) Costituisce altresì strumento di vendetta il ricorso alla autorità giudiziaria quando oltre la certezza morale sulla responsabilità dolosa dell’agente si è conseguita una ragionevole certezza sulla sufficienza processuale delle prove raggiunte; e il danno derivante dall’esito del processo si può prevedere sufficientemente adeguata alla natura dell’offesa secondo i principi della legge sulla vendetta in generale.

21) Nella pratica della vendetta, entro i limiti della graduazione progressiva, nessuna offesa esclude il ricorso al peggio sino al sangue. Parimenti nessuna offesa esclude la possibilità di una composizione pacifica, allorché il comportamento complessivo del responsabile rende ciò possibile.

22) La vendetta deve essere esercitata entro ragionevoli limiti di tempo, a eccezione della offesa del sangue che mai cade in prescrizione.

23) L’azione offensiva posta in essere a titolo di vendetta costituisce a sua volta motivo di vendetta da parte di chi ne è stato colpito, specie se condotta in misura non proporzionata ovvero non adeguata, ovvero sleale. La vendetta del sangue costituisce offesa grave anche quando è stata consumata allo scopo di vendicare una precedente offesa di sangue.

(Tratto da http://web.tiscali.it/Banditismo/Codice%20barbaricino.htm)

Antonio Pigliaru (Orune, 17 agosto 1922 – Sassari, 27 marzo 1969) è stato un filosofo, giurista ed educatore italiano. Tra le molteplici tematiche del suo impegno intellettuale una è di particolare interesse: la sua interpretazione dei problemi socio-economici delle zone interne della Sardegna, che inquadrò e tentò di spiegare nell’ambito della propria visione etico-politica.

Biografia

Nacque ad Orune, in provincia di Nuoro, ultimo di cinque figli; i genitori, Pietro e Maria Murgia, sono due maestri elementari, accomunati dunque dalla stessa formazione culturale e dal lavoro, ma di provenienza sociale diversa. La famiglia di Pietro è di origine contadina, attività marginale rispetto alla pastorizia prevalentemente praticata in paese; nonostante le scarse disponibilità economiche, dopo le elementari continua negli studi. Maria, la cui madre è maestra, proviene da Sassari: ha vissuto in una realtà più aperta e si reca ad Orune, dopo il diploma, per insegnarvi. Si sposano nel 1909.

Finite le elementari Antonio, che nel frattempo ha perso il padre, lascia il paese, al quale rimase comunque sempre profondamente legato, e si trasferisce a Sassari, presso i nonni materni, per completare gli studi ginnasiali e liceali. Nel 1940 aderì al Gruppo Universitario Fascista, dove fece le sue prime esperienze culturali, collaborando al giornale dell’organizzazione, scrivendo soprattutto di teatro. Coltiva le sue aspettative nella “rivoluzione fascista”, come tanti giovani della sua generazione, rifiutandone però le degenerazioni che il regime sta subendo.

Frequenta dal 1941 l’Università a Cagliari nella Facoltà di lettere e filosofia. Nel marzo del 1944 viene arrestato, accusato insieme ad altri, di gravi reati: spionaggio, guerra civile, cospirazione politica. Condannato a 7 anni dal Tribunale militare di Oristano, sconta 17 mesi di carcere, durante i quali contrae la malattia che lo porterà prematuramente alla morte, per essere poi liberato nel maggio del 1946 in seguito all’Amnistia Togliatti. Ripresi gli studi, in pochi mesi supera tutti gli esami e si laurea a Cagliari con una tesi sull’esistenzialismo in Giacomo Leopardi.

Nell’aprile del 1949 è assistente volontario alla cattedra di Filosofia del diritto dell’Università di Sassari, diventando assistente ordinario un anno dopo; consegue la libera docenza nella stessa disciplina e nel 1967, vinto il concorso, è professore ordinario di Dottrina dello Stato. Nel 1949 nasce la rivista “Ichnusa”, di cui fu animatore ed ispiratore. La rivista uscì, con diverse sospensioni, fino al 1964. A partire 1956 Pigliaru decide di darle un nuovo ruolo, meno generalista ma più attento e teso a dar voce soprattutto alla “questione sarda”: gli editoriali, da lui redatti, vengono sempre più spesso dedicati ai problemi della regione e la rivista si propone come laboratorio di discussione, chiamando a raccolta un’intera generazione di giovani intellettuali isolani impegnati per la rinascita dell’isola e per i quali Pigliaru, in contatto con numerosi studiosi delle due università sarde di Sassari e di Cagliari, diventa un vero e proprio maestro e ideologo. Muore a Sassari il 27 marzo 1969 durante una seduta di emodialisi, terapia alla quale si sottoponeva regolarmente per curare la grave insufficienza renale che lo accompagnò per gran parte della sua vita.

Nel 2012 per i festeggiamenti dei 450 anni dell’Università di Sassari, la sua immagine è stata apposta all’esterno del Dipartimento di Scienze Politiche, Scienze della Comunicazione e Ingegneria dell’Informazione dell’Ateneo.

Attività

Fu autore di numerosi saggi di grande spessore, considerati ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per il dibattito sulla cultura sarda. Inediti continuano ad apparire ancora adesso. Dopo un’iniziale approdo alla filosofia di Giovanni Gentile, soprattutto nelle prime, importanti opere, Considerazioni critiche su alcuni aspetti del personalismo comunitario e Persona umana ed ordinamento giuridico si avvicinò al personalismo storicista di Giuseppe Capograssi, di cui accolse anche, con un’interpretazione originale, la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di Santi Romano, (specie nel suo capolavoro di antropologia giuridica La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico), Successivamente sviluppò questioni del marxismo gramsciano, in particolare in Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto, Gramsci e la cultura sarda e nell’incompiuto saggio su L’estinzione dello Stato. Tra i suoi numerosi contributi sono anche da ricordare: Meditazioni sul regime penitenziario italiano (1959); La piazza e lo Stato (1961); Promemoria sull’obiezione di coscienza (1968).

È considerato uno dei più importanti antropologi giuridici italiani e uno dei maggiori studiosi della Sardegna (Scuola antropologica di Cagliari). A l’attività scientifica accompagnò un’intensa attività di “didattica popolare”, organizzando ad esempio numerosi corsi di educazione per adulti e lavoratori in vari luoghi dell’isola. La sua vocazione pedagogica emerge anche in “Scuola”, periodico con molti collaboratori, che esce nel 1954 e si rivolge ai maestri che si preparano al concorso magistrale. Venne eletto nel Comitato regionale della Sezione sarda dell’Associazione Italiana Biblioteche per il triennio 1955-1958 e confermato nel 1958-1961.

A lui sono intitolate le Biblioteche comunali di Orune e di Porto Torres, e la Biblioteca interfacoltà per le scienze giuridiche, politiche ed economiche dell’Università di Sassari.

Opere principali

  • Considerazioni critiche su alcuni aspetti del personalismo comunitario – Sassari, 1950
  • Persona umana ed ordinamento giuridico – Milano, 1953 (ora Nuoro, 2008 con prefazione di Giovanni Bianco)
  • Meditazioni sul regime penitenziario italiano – Sassari, 1959 (ora Nuoro, 2009 con prefazione e postfazione di Salvatore Mannuzzu)
  • La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico – Milano, 1959 (ora Nuoro, 2000)
  • La piazza e lo Stato – Sassari, 1961
  • Sardegna, una civiltà di pietra – Roma, 1961 (con Franco Pinna e Giuseppe Dessì)
  • Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto – Padova, 1965
  • “Promemoria” sull’obiezione di coscienza – Sassari, 1968 (ora Nuoro, 2009 con prefazione di Virgilio Mura)
  • Gramsci e la cultura sarda – Roma, 1969 (ora Nuoro, 2008 con prefazione di Paolo Carta)

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