Del Natale, di cose che succedono e di pacata rassegnazione

Creato il 08 dicembre 2011 da Paola_granieri

Lo so, lo so.
Sul blog scrivo sempre meno.

Non perchè sia particolarmente triste, ne' particolarmente felice.

Oggi poi, in questo Dicembre così poco piovoso mi sento addirittura serafica.

Sarà che anche se la vita fa di tutto per chiuderti la porta in faccia si cerca di fare come in quella scena di Up, quando Russel, il piccolo scout petulante, senza fare una piega mette il suo piedino paffuto contro lo stipite della porta costringendo il vecchio Carl Fredricksen suo malgrado ad ascoltarlo.
Vivo giornate frenetiche.
Mi divido tra la tesi (stringi i denti, la luce in fondo al tunnel è vicina!), il grande ritorno di fiamma della mia vita, il lusso che mi sono riconcessa dai tempi degli smalti di Chanel, ovvero sia il servizio scout di cui sono entusiasta e che considero il regalo più grande che mi sia stato fatto negli ultimi due anni e, dulcis in fundo, la mia collaborazione al progetto Te la do io Firenze! da cui sono sempre più assorbita e da cui sto imparando molto.

Non mi rimane molto tempo in più.
Ne va del blog, ma capitemi, se quando finito di farmi due palle così sulle teorie del gioco dei bambini e minchiate annesse ho voglia di alzare la testa dal mio macbook pro e vedere gggente e fare cose.

Per cui venitemi a trovare, dato che sarò più spesso lì, piuttosto che qui.

Che poi è quasi Natale e a me sentir parlare di Natale fa venire l'orticaria, dal giorno in cui il Natale me l'hanno rubato.
E' buffo, ho passato anni a lamentarmi di tutto il tran tran natalizio, il capitone, il fritto, il pesce, tu scendi dalle stelle e baciare il bambin Gesù, ma poi ho capito che quel che conta è essere tutti e tutti insieme.
Un giorno quel tutti insieme tornerà, ma per ora non posso continuare a fare a meno di chiedermi in certi giorni come sia curioso che papà, che pareva essere seduto nella sedia a capotavola fino a poco prima, ora è dentro la foto sul mobile, che sorride e tiene a braccetto mia sorella Chiara vestita da sposa, col velo, la felicità in mano e i capelli che però non le piacevano come erano venuti.

E sembra così strano, quel pomeriggio di due anni fa, quando Pietrino era un testone con due zampine attaccate che nuotava e si tuffava per ore e mezz'ore tutto il dì, mentre facevamo il gingerbread e gli omini di biscotto e mamma i suoi angioletti con la cannella.
Quello sì che era Natale. Era felicità, aspettativa, coscienza a posto, qualcosa che oggi è ricordo che scalda il cuore e che nonostante tutto è lì, intatto e prezioso, e nessuno me lo toglie.
Pietro, che ora si arrampica sulle poltrone e canta solo
tanti auguri a te e Vieni a ballare in Puglia, quella di Caparezza. Glielo abbiamo spiegato che a Natale nasce Gesù e viene Babbo Natale. Ha detto che vuole un polpo.
Ho un bel vestito, il little black dress della vita, come ho detto a certe mie amiche, a metà strada tra Carla Bruni e Audrey Hepburn. Me lo ha comprato Giulia.
Con molta, ma molta scaramanzia mi piace pensare che sia molto adatto anche alla discussione della tesi, con le calze bordeaux e le Chloè. E ho pure il cappotto nuovo, comprato alla svendita dell'ANT.
Lo faccio l'albero eh, quello con i lecca-lecca fatti di fimo, ma anche quello a casa, se trovo il tempo, con le palline di patchwork che Chiara ed io abbiamo fatto quando è andata a New York e ce le siamo divise. Sono passati quasi 10 anni. Lo faccio e ascolto Frank Sinatra, come tutti gli anni. Jingle Bells, New York, New York, The Way You Look Tonigth, Santa Claus is Coming to Town.

Dopotutto, anche se non mi va mai bene, è tutto quello che ho.

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