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Del nostro tempo (senza) speranza, una lettura di Corrado Alvaro

Creato il 04 maggio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
$(KGrHqRHJDcE63Z(lQ40BO8gqn05EQ~~60_35di Giuseppe Leuzzi. “Tutti cercano di farci paura, i giornali, i manifesti, i discorsi. Tutto ciò manca di dignità, di onestà, perché non si può avvilire l’uomo al punto di fargli perdere ogni fede in sé, negli altri, e in qualche cosa di più alto. E i giovani non potrebbero essere più umiliati”. Quando, ieri, oggi? Ieri e oggi. Sono riflessioni scandite dalla misura dell’elzeviro, cinque cartelle o tre, ma dense, da grande moralista, quale Alvaro, narratore mitico, viaggiatore attento, era nel fondo. Della qualità di Montaigne – un Montaigne cui manca il contesto: una grande civiltà. Meglio: tra Barthes (“Mitologie”) e Montaigne. Senza l’aisance del Grande Borghese (“la vita è breve, ma per lottare contro lo spettro del bisogno è piuttosto lunga”), ma non per questo arcigno, ugualmente di spirito aperto. Per quel fondo inesauribile che è la tradizione in cui Alvaro si è innestato per nascita, per quanto in ambiente impoverito, degradato. 

“La prima fatica che vediamo nella vita è quella delle donne”. Della madre prima, poi delle spose. “”Le donne che portano pesi” è il titolo di questa riflessione, “le donne del popolo in genere, del popolo meridionale in specie”. Non si ristampa questa raccolta di riflessioni attualissima, cioè sempre interessante alla lettura: testi brevi e incisivi, che reggono a distanza di settant’anni, anche se l’Italia si direbbe del tutto diversa. Delle donne e degli uomini. Dei giovani e dei vecchi. Dei figli che dovranno accudire i padri, una novità della storia. Nella famiglia italiana, quando ancora si pensava “italiano” – è qui anche il piccolo classico inaugurale del “mammismo”. E di una serie di altri temi: il femminicidio, Pinocchio teologico, la dita mediterranea, la moda, i trattati pedagogici, il patriottismo avverso al nazionalismo, le opere pubbliche, la classe media, la fotografia e il cinema (trattatelli precoci insuperati). Da esploratore sempre vigile, dalle antenne sensibili, Con una dotazione prensile di cultura e intelligenza. Il genere elveziro come vita vissuta, non ghirigoro a perdere. O di selfie  non mistificatori, un’autofiction onesta, in prospettiva, invece del photoshop in uso per dirsi come sono bello e bravo.

“La vita che chiamiamo moderna è nata sotto il segno della volontà di potenza in politica, dell’individualismo nell’arte, cioè della prepotenza dell’artista che passa da testimone a protagonista, e infine del diritto dell’uomo a tutti i beni”. Il moralista è pessimista, ma questa lettura è rigenerante.


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