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Del Pier Paolo Pasolini puro e duro e Gideon Bachmann “Pier Paolo Pasolini Polemica Politica Potere”. Due pezzi di…

Creato il 02 novembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

446px-Pier_Paolo_Pasolini2Giuseppe Leuzzi.

Un settentrionale duro e puro

Pasolini si dice spesso “settentrionale”: “Sono settentrionale…”. Da ultimo nel testo che aveva licenziato per la pubblicazione subito prima dell’assassinio, e per la cui uscita aveva già fatto le prime interviste: “Sono settentrionale…”. Il suo Sud è anche un “antius”, come opposto a “postius”, risponde a un poeta ermetico all’inizio di “Petrolio”. Ingegnoso, il Sud che viene prima, nei due sensi del tempo: nella storia, e come ora del giorno – antius sta per “volto a mezzogiorno”. Ma il sentimento, generale e costante, è di ripulsa.

Non è razzista, naturalmente – ma nessuno lo è. La sua è l’insofferenza di tutti, molti meridionali compresi. Il rigetto è però in lui radicale, rifiuto di sapere. Per indifferenza, probabile, e non malanimo. Che però, per uno obbligato a confrontarvisi di tanto in tanto, per lavoro, per conoscenze, anche per affetti, dice tanta insofferenza.

Ho fatto il “Vangelo”, spiega a Gideon Bachnmann, al Sud, e per il Sud: “Il Sud avrebbe dovuto riconoscersi meglio nel film, considerato il fatto che l’ho girato lì e di lì sono i protagonisti, il popolo, i paesaggi, e la vita rappresentata. Invece i meridionali non sono proprio andati a vederlo. Evidentemente sono meno cattolici che al Nord”. Nient’altro. Allo stesso Bachmann qualche anno prima, nel 1965, per fare un esempio di come il bisogno privi di libertà e cultura – tesi discutibile – sceglie la Puglia, “un esempio che conosco bene”: “È sempre vissuta in uno stato di estrema servilità…. E non ha prodotto un poeta, non ha prodotto un pittore, non ha prodotto un filosofo. Non ha dato nulla”.

Il Sud gli resta remoto, malgrado le frequentazioni. Al modo dei friulani, come dice Naldini in “Un paese di temporali e fulmini”: “Per gli italiani del Nord i romani sono già un po’ arabi”. O come diceva un don Marchetti che Naldini cita, un sacerdote patriota friulano, prima amico poi avversario di Pasolini, cui rimprovera in questo modo lo scarso patriottismo localistico: “Un pizzico di Montale, di Quasimodo, di Sinisgalli? Robaccia che ven da promontoris (che viene dall’Italia meridionale)”.

In “Passione e ideologia”, in una nota al saggio sulla poesia dialettale già apparso nel 1952 ne “Il Reame”, dice che non c’è romanticismo nella passione meridionale, né pietismo nella bontà: “Uno studio sul «Romanticismo nell’Italia Meridionale» è ancora da farsi e sarebbe assai interessante, se il Romanticismo rimane nel Meridione pura applicazione di formule sentimentali e morali di natura assolutamente contraria a quella indigena; nella cui fenomenologia psicologica mancano quei caratteri «cristiani» immanenti al Romanticismo e che sono tipicamente nordici. La «passione» meridionale non è un dato romantico: come nella «bontà» del meridionale non c’è pietismo. La scena popolaresca o il fatto di sangue «romantici» hanno nel Meridione il sapore del mimo o della tragedia greca, anche quando restano involuti nell’equivoco culturale” (il riferimento è a Di Giacomo e altri romantici napoletani).

Pasolini messo a nudo

L’omaggio migliore per l’anniversario della morte di Pasolini: in assenza di un assestamento critico, una testimonianza di prim’ordine. Gideon Bachmann ha seguito Pasolini per ventidue anni, registrandone via via gli umori, e ha donato le innumerevoli reistartzioni a Pordenone, a Cinemazero. Riccardo Costantini ne ha tratto un libro agile, nella prima parte anche in larga misura nuovo, che è una sorta di autoritratto – un Pasoloni alla sesta p.

“Le immagini si fondano sulle immagini dei segni e della memoria e, in più, su quanto di significativo ha l’immagine unita alla parola”.

“Io non sono mai stato un neo realista, sono sempre stato un naturalista esperessionitcico”.

“Ho dato al realismo una svolta personale che definirei mitica  epica… È proprio una mia disposizione culturale-psicologica”

“Io, pur esendo un marxista, ho un fondo irrazionalmente religioso nel vedere le cose e gli uomini” – la “sacralità”, la “religiosità”, è un assillo.

Tranquillo conoscitore di se stesso: “Io penso che nessuno in nessuna società sia libero e che quindi opera di ogni artista sia per forza un’opera di contestazione”. Quello che rimproverava al Sessantotto. È un testo pasoliniano anche per le certezze sempre contraddittorie. ”La mia è una filosofia stoica, che si oppone alla filosofia ednonistica delle masse” – le masse filosofe? Il rifiuto della contemporaneità. L’agiografia del contadino, falsa a ogni latitudine. Il pregiudizio antiunitario e antimeridionale. Nel mentre che fustiga la mancanza di senso della nazione – dell’unità di lingua, di politica, di società. Con l’affettazione, forse inevitabile nelle interviste: “Una cosa non posso fare, rendere espressivo, artistico, e quindi umano, il lingauggio dell’operaio in quant operaio, il linguaggio dell’industriale in quanto industriale”.

Sempre col tarlo del “discorso libero indiretto”la sua forma di realismo, benché obliqua: “Ovvero mostrare le cose non come le vede l’autore ma come le vede un altro. Col noto, debole, senso politico. Tanto indigente quanto trascinatore, allora e oggi – anche se nel 1972 dice di non crederci più. Tra marxismo e capitalismo ugualmente adulterati, e indigesti.

Bachmann, tedesco di nascita, emigrato con la famiglia in Israele nel 1936, giornalista radio e fotogarfo a Tel Aviv nel dopoguerra, inviatao in Europa nel 19347 per dmentare i lager, si trasferisce a New York per una dozzina di anni. Quindi nel 1961, dopo la conoscenza di Fellini a New York, arrivato per promuovere “La strada” agli Oscar, a Roma per quarant’anni. Cronista delal scena cuturale italiana, soprattutto del cinema, per giornali angloamericani e di lingua tedesca. Scrittore anche scorrevole in italiano. Documentarista, premiato a Venezia. Intimo di Fellini, cui dedicherà il film documentario “Ciao, Federico”, e poi, con più continuità, di Pasolini. Col quale registra molte ore di conversarzioni sull’inseparabile Nagra. È l’anglosassone sempre a disagio (chiasso, burocrazia, confusione…) ,che però preferisce vivere in Italia. Estremamente generoso, e interlocutore stimolante di Pasolini.

La quarta “P”, la prima del titolo, non è di polemiche ma di poetica. Ed è la più interessante L’infinita gamma dei riferimenti pittorici. La contaminazione, dei generi e dei soggetti. Delle altre sono note le tracce, atraverso gli scritti “corsari”, le provocazioni. “L’Italia sarebne adesso (1974) matura per fornire le truppe alle SS”. Non c’è il terrorismo. Il “no” (all’abolizione del divorsio) è stato suggerito non tanto dalle sinistre quanto dalla televisione” – dalle donne no, dagli uomini? Anticonsumista un lustro o più dopo il rifiuto del Sessantotto, che rifiutava il consumo e l’ “integrazione”: “Bisogna tornare alla repressione, non avere paura di una certa repressione”.

Gideon Bachmann, Pier Paolo Pasolini Polemica Politica Potere, Chiarelettere, pp. 143, ill., € 16


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