«Il tempo è per noi un problema, un inquietante ed esigente problema, forse il più vitale della metafisica; l'eternità, un gioco o una faticosa speranza.» Jorge Luis Borges, Storia dell'eternità, Adelphi, 1997, p. 13.
«Il nostro destino (a differenza dell'inferno di Swedenborg e dell'inferno della mitologia tibetana) non è spaventoso perché irreale; è spaventoso perché è irreversibile e di ferro. Il tempo è la sostanza di cui son fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. Il mondo, disgraziatamente, è reale; io, disgraziatamente, sono Borges.» Jorge Luis Borges, Altre inquisizioni , Feltrinelli, 1996, p. 186.
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Il più essenziale atto di arroganza che l'uomo potesse concepire è stato pensarsi nell'eternità. Nell'anima immortale non vedo divinità alcuna ma un atto di imperio dettato dalla disperazione della finitezza. Terapia per certi versi, ma la cura è stata peggio del male. Più dignitoso mi sembra pensare alla propria finitezza che prosegue nella finitezza dei propri simili. Questo è l'unico testimone che possiamo passarci di mano in mano. Non l'eternità mi interessa ma il futuro.
Passeggiando per le stradine del Salento si vedono vecchi muretti a secco costruiti con le pietre strappate alla terra del posto, perché la terra potesse essere coltivata.
Nell'irregolarità di quei muri a secco si intuisce tutta la tensione di stabilire una regola, un limite. Se il limite fosse di proprietà o di esistenza è difficile dire. A me sembra poco rilevante il primo e prevalente il secondo.
Oggi i muri sono regolari, lisci, il materiale per costruirli viene da cave lontane e nella banalità di quei muri c'è tutta la stanchezza di cercare significati che non siano sfacciatamente manifesti.
Quando cammino per le strade di campagna fiancheggiate da alberi secolari di ulivo il pensiero corre a quanti quegli alberi hanno piantato.
Gli ulivi sono piante che crescono molto lentamente e chi le ha piantate, se in età avanzata, sapeva che non avrebbe mai raccolto i loro frutti, eppure lo ha fatto, sapeva di doverlo fare perché quella terra diventasse ospitale a quanti sarebbero venuti dopo. Io che passeggio per queste stradine attraverso l'aria densa dei loro desideri, di sogni che portano l'odore del passato per donarmi l'oro liquido della loro benedizione.
Il passato e il futuro non esistono senza una ferma radicazione nel presente. Il presente è il nodo intorno cui assume valore la tradizione e la speranza. Senza il presente non restano che nostalgia e illusione, dolore che non si trasfigura in altro possibile. Tuttavia vale anche il rovescio, il presente non è che un punto senza dimensione se non ha passato e futuro. In fin dei conti la distinzione non è che artificio retorico. Il tempo non si rinnova e il rischio più atroce è che si perda quello a disposizione nell'eternità, autentico buco nero del tempo da vivere. Il tempo è oltre le mie capacità di comprensione, l'unico frammento che posso comprendere è quello da vivere sapendo dell'eredità del passato e del lascito che mi sopravviverà.
Si cerca il divino fuori quando si perde di vista il divino che è dentro. Manca la forza e l'umiltà di riconoscere il divino dentro ciascuno e lo si scaccia lontano in una dimensione trascendentale che non ha più memoria delle creature che l'hanno desiderata.
Sogni di eternità si levano
nella palude di Babele,
strazio di bellezza
vela l'orrore della falce,
ombra del primo giorno.
Sempiterni bambini,
vestiti di sorprese
e corone di spine
conficcate nella memoria.
Poveri cristi,
senza un legno
dove farsi inchiodare.
Nessuno torna
dopo il terzo giorno.
A volte capita di andare più avanti del tempo e voltandosi indietro lo si vede arrancare sbalordito della nostra assurda impazienza. Quando riprendiamo il cammino capita di vederlo lontano, davanti a noi, irragiungibile.
Sciocchi astrologhi, guardano nelle stelle quello che non sanno vedere sulla terra.
Con i nostri discorsi intrecciamo metafore e significati, ma se non fosse così? Se fossimo noi le metafore del discorso?
Solo le relazioni esistono, gli oggetti che le stabiliscono ne sono gli attributi.
In passato la morte occupava un punto preciso nel futuro. Il futuro era il luogo dove stava la morte, ignoto, ma era lì, immobile, fisso. L'illusione consisteva in una corsa folle nel disperato tentativo di superare quel punto, di lasciarselo indietro, di vederlo alle proprie spalle.
Oggi l'illusione è spostare avanti quel punto, rinviarlo ad un futuro sempre più lontano. L'illusione si traduce in un eterno presente.
Da qualche punto la morte ci guarda, ridendo oggi come ieri...ma in definitiva non c'è nulla che rida, non abbiamo neanche il privilegio di essere derisi per le nostre illusioni.
Il lifting delle rughe del viso è venuto molto tempo dopo quello dell'anima, eppure in futuro pagheremo per rifarci l'anima...ma pensandoci bene è già da molto tempo che lo facciamo.
L'uomo è l'unico animale che vive su un ponte tra passato e futuro, molti lo ignorano o, peggio, vogliono ignorare questa condizione di bilico. Proiettarsi nel futuro per molti significa solo mettere al mondo figli ma questo è in grado di farlo qualsiasi pianta e qualsiasi animale.
E siamo qui,
anime erranti
a farci compagnia,
in attesa di un dio
che di noi faccia scempio.
A fine giornata il camaleonte non ricorda più quale sia il suo colore.
Come di una carovana persa nel deserto, abbiamo insegnato ai nostri cammelli la strada ma abbiamo dimenticato di costruire la sabbia sotto i loro piedi.