Deligia: dalle Nazioni Unite alla Sardegna

Creato il 31 ottobre 2015 da Alessandro Zorco @alessandrozorco

" Se non ci rinforziamo e non diventiamo padroni del nostro futuro la Sardegna, così come la conosciamo oggi, scomparirà nel giro dei prossimi vent'anni". Il sardo Gianni Andrea Deligia, ex alto funzionario dell' ONU, l'organizzazione delle Nazioni Unite, tra quelli che nel 2011, insieme al segretario Kofi Annan, hanno ricevuto il premio Nobel per la pace, ne è più che convinto: per non essere schiacciata la Sardegna dovrà essere capace di aprirsi all'esterno. Ma soprattutto dovrà esser capace di decidere il proprio futuro in maniera autonoma da Roma e da Bruxelles. Un po' come le trentuno isole indipendenti e sovrane che sono sparse qua e là nel mare, dai Caraibi al mar Mediterraneo e all'Oceano Pacifico, sono capaci di autodeterminarsi ed hanno anche diritto di voto all'assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il mondo lo conosce bene, Gianni Deligia, visto che sin da ragazzo ha deciso di lasciare il suo paese natìo, Meana Sardo, per dar spazio alla sua grande passione: viaggiare. Ma conosce bene anche la guerra e la disperazione, perché per 34 anni è stato un alto funzionario delle Nazioni Unite nelle zone più difficili del globo.

Sessantasei anni, da tre in pensione, impeccabile con il suo abito nero e il papillon al collo, Gianni Deligia è intervenuto ieri all'assemblea del Movimento Sardegna Zona Franca per dare il suo contributo ad una terra, la Sardegna, che ha lasciato da giovanissimo.

Una vita avventurosa la sua, dottor Deligia ...

La mia passione è il viaggio. Viaggiare mi è sempre piaciuto e continua a piacermi. Forse è anche un destino, visto che sono nato in un casello ferroviario del comune di Meana Sardo. Tre giorni dopo essermi laureato in Scienze politiche all'Università di Cagliari sono partito in Continente per cercare un'organizzazione non governativa che mi permettesse di sostituire il servizio militare con il servizio civile di due anni. L'avventura è iniziata così.

Dove è andato?

Sono andato in Ciad. Ero il caporedattore dell'unica rivista che si pubblicava in Ciad: una rivista in lingua francese, fatta con il ciclostile. Come caporedattore ho fatto il servizio civile di due anni. A quell'epoca il Ciad, che come si sa è un paese sotto la Libia, tra il Sudan, il Camerun, il Niger e la Nigeria, era un paese semidesertico quattro volte più grande dell'Italia e con quattro milioni di abitanti. Era un paese in via di sviluppo ed aveva enormi problemi di sopravvivenza: fame, siccità perché non pioveva da quattro anni, e soprattutto c'era la guerra civile. Dopo il servizio civile, avevo 27 anni, ho iniziato a lavorare come consigliere del ministro per l'informazione, ma il ministro è stato messo in prigione ed ucciso dopo un colpo di Stato.

Come è approdato alle Nazioni Unite?

Fortunatamente nel 1980 l'Unicef ha aperto un ufficio in Ciad e ho lavorato lì fino alla fine del 1983. Poi per una decina d'anni, dal 1984 alla fine del '93, ho lavorato per i rifugiati palestinesi sempre per l'ONU a Beirut (Libano), a Vienna, a Damasco, ad Amman (Giordania), a Gerusalemme e Gaza. Dal '94 al '97 ho lavorato in Afghanistan: ero il capo dell'Alto commissariato dei rifugiati per il nord dell'Afghanistan e ho gestito circa 500mila rifugiati oltre ad altri 80mila provieniti dal Tagikistan, l'ex repubblica sovietica frontaliera con l'Afghanistan. Fino alla fine del '99 ho lavorato a Baghdad, in Iraq, per le sanzioni dell'ONU contro Saddam Hussein, poi nel '99 sono andato a Timor Est. L'ONU era al governo di quest'isola che era appena stata evacuata dall'Indonesia che l'aveva occupata trent'anni prima. Lì ero una specie di governatore di una parte dell'isola. Poi sono andato a lavorare in Congo dove c'era la guerra civile. Come vede, nella maggior parte della mia vita ho seguito problemi di rifugiati sia in tempo di guerra che di pace dopo i conflitti. Dal Congo mi sono trasferito al Burundi, dove c'era la guerra tra Hutu e Tutsi. Da là sono andato in Costa d'Avorio dove sono stato fino alla fine del 2011. Dal 2012 sono in pensione.

E il premio Nobel per le Nazioni Unite?

Ovviamente non è che sia un premio Nobel a me. Ero finzionario delle Nazioni Unite nel 2011 quando ero a Timor. Tutti i funzionari delle Nazioni Unite potevano dichiarare di aver ricevuto il premio Nobel perchè le Nazioni Unite, per il lavoro svolti, hanno ricevuto il premio Nobel che è stato ritirato dall'allora segretario generale Kofi Annan.

Dall'alto della sua esperienza con le Nazioni Unite che prospettive vede per la Sardegna?

La Sardegna è un'isola demograficamente in pericolo. Ci sono troppo pochi abitanti. Abbiamo soltanto 68 abitanti per chilometro quadrato. Nel 2013 eravamo 1 milione e 600mila nel 2013 e secondo l'Istat tra vent'anni, nel 2035, saremo 1 milione e 400 mila. Se si vuole evitare che la Sardegna sia invasa e occupata, non solo fisicamente ma anche culturalmente, da altri gruppi etnici è necessario che si rafforzi.

Si spieghi meglio...

I dati delle Nazioni Unite dicono che tra vent'anni l'Africa avrà due miliardi di abitanti e il solo Nord Africa ne avrà 250 milioni. E' chiaro che noi siamo una regione piccolissima. Ci dobbiamo rafforzare facendo rientrare almeno una parte dei circa 700mila emigrati sardi e facendo una selezione accurata degli immigrati che vogliamo fare entrare. Dovremo essere noi a decidere chi e quando può entrare in Sardegna.

Ma per favorire una vera integrazione bisogna creare lavoro. E in Sardegna non ce ne è ...

Indubbiamente. In questo momento siamo incapaci di creare lavoro. Ma la nostra è un'isola che può e deve offrire opportunità a tutti: per quelli che vengono e per noi che restiamo. I paesi più ricchi del mondo sono caratterizzati da un accentuato cosmopolitismo: la diversità è una risorsa e anche la Sardegna deve aprirsi all'esterno, ma senza perdere la sua identità.

Come?

Purtroppo in questo momento al livello nazionale non c'è alcun interesse per la Sardegna e a livello regionale non abbiamo governanti con la competenza e l'autonomia di prendere decisioni in favore dei sardi. Sono manipolati da Roma e fanno quello che decidono due partiti. Come tutti sanno oggi sinistra e destra non esistono più e se consideriamo che i due grandi partiti italiani non hanno fatto, non stanno facendo e probabilmente non faranno mai gli interessi dei sardi è chiaro che bisogna cambiare. Bisogna trovare un partito, se non c'è crearlo, che sia sardo e che faccia esclusivamente gli interessi dei sardi. Qualsiasi paese al mondo fa i suoi interessi e cerca di far vivere meglio e più felicemente il proprio popolo. Dovremmo farlo anche noi. Non possiamo continuare a farci sfruttare senza reagire. La reazione deve essere politica. La Sardegna deve lottare per la sua autodeterminazione. Ad esempio con strumenti come la zona franca, utilizzati in molte altre parti del mondo, che permetterebbero ai sardi di decidere cosa volere per sé e per i loro figli.

Come vede l'Europa nello scenario internazionale?

L'Europa è una creatura che abbiamo voluto noi. E' ottima perché ci permette di stare insieme, ma dobbiamo essere noi a dirigerla. Dobbiamo saper dire: questo va bene e questo non va bene. Ci sono Paesi come la Gran Bretagna e la Svezia che negoziano con l'Europa. Comunque non possiamo dire sempre che la colpa è dell'Europa. Dobbiamo stare in Europa anche perché se stiamo un po' meglio economicamente lo dobbiamo molto all'UE. Ma ci sono cose che si devono migliorare e attualizzare. Purtroppo non possiamo negoziare direttamente con l'Europa, ma dobbiamo farlo attraverso l'Italia che ovviamente sacrifica la Sardegna per tutelare altri interessi. Se non ci sarà una politica autonoma da Roma non succederà mai niente.

Quindi lei vede una Sardegna indipendente?

Non sto dicendo che si debba essere necessariamente indipendenti da subito. Quello potrà avvenire in seguito. Per il momento bisogna avere un partito che pensi solo ai sardi e per i sardi. Abbiamo appurato che la politica nazionale non ci darà niente. Senza un partito che faccia esclusivamente l'interesse dei sardi continueremo ad avere tante basi militari, i turisti verranno due o tre mesi all'anno e poi scompariranno, e continueremo a pagare un mare di tasse per niente. Insomma a farci sfruttare.

Alessandro Zorco è nato a Cagliari nel 1966. E' sposato e ha un figlio. Laureato in Giurisprudenza è giornalista professionista dal 2006. Ha lavorato con L'Unione Sarda e con Il Sardegna (Epolis) occupandosi prevalentemente di politica ed economia. E' stato responsabile dell'ufficio stampa dell'Italia dei Valori Sardegna e attualmente è addetto stampa regionale della Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Dall'aprile 2013 è vicepresidente regionale dell'Unione Cattolica Stampa Italiana e dal 2014 è nel direttivo del GUS Sardegna.