Delitto e castigo (Dostoevskij)

Creato il 17 luglio 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Sembra quasi un rituale dell'estate: forse è l'inconscio desiderio di un po'di fresco nei giorni torridi, ma io e i classici russi più ponderosi tendiamo ad incontrarci in estate (nel 2012 fu Guerra e Pace, nel 2014 Il dottor Živago). Forse è solo questione della maggior disponibilità di tempo per questi colossi letterari ed è un dato di fatto che le mie estati sono all'insegna dei classici. Fatto sta che finalmente sono riuscita a leggere Delitto e Castigo, tornando a Dostoevskij dopo la tiepida reazione suscitata da Le notti bianche e uno scontro ormai datato con Il giocatore.
Il romanzo, pubblicato nel 1866, narra la storia del ventitreenne Rodion Raskol'nikov, ex studente di legge tormentato e ridotto in miseria, che si macchia del delitto di Aljòna Ivanovna, una vecchia usuraia con la quale ha contratto diversi debiti, e di sua sorella Lizaveta, colpevole soltanto di averlo sorpreso in casa dopo il delitto. Dopo l'uccisione delle due donne, Raskol'nikov tenta goffamente di rubare qualche gioiello di scarso valore dall'appartamento e fugge a casa, cadendo immediatamente in una malattia che gli provoca febbre, incubi, allucinazioni, vuoti di memoria e altri disturbi. Nonostante la vicinanza dell'amico Dmitrij Vrazumìchin (per tutti Razumìchin) e l'arrivo a San Pietroburgo dell'amatissima sorella Dunja assieme alla madre, Raskol'nikov diventa cupo, scontroso, è preda di violenti sfoghi d'ira che lo portano a prese di posizione così estreme che Dunja manda a monte il suo fidanzamento con l'altezzoso Pëtr Lužin, che in una moglie non cerca altro che una creatura dalla quale essere venerato come un salvatore. Ben presto appare evidente che il delirio Raskol'nikov è la somatizzazione del suo tormento interiore, che si accentua quando Porfirij Petrovič, l'ispettore di polizia, lo opprime con interrogatori e affermazioni inquietanti, manifestandogli apertamente la convinzione che il colpevole dell'assassinio delle sorelle Ivanovna cadrà nella sua rete come una farfalla braccata dal suo stesso senso di colpa.
In realtà quello che prova Raskol'nikov non è pentimento, ed egli rimane per tutto il tempo del romanzo convinto della legittimità del suo gesto. Secondo l'assassino, infatti, gli esseri umani si dividono in due categorie: da un lato i mediocri, destinati a condurre una vita sempre uguale a se stessa, morigerati, portati per natura ad ubbidire e a non sentire il bisogno di violare alcuna regola; dall'altra gli esseri straordinari, una sorta di genia di superuomini che hanno l'istinto alla sovversione, ad una trasgressione legittimata da questa loro eccezionalità, fino ad atti estremi, fino al potere di decidere chi possa vivere e chi no, chi sia un Napoleone degno di forgiare il proprio destino e quello dell'umanità e chi un pidocchio da schiacciare senza pietà.
La prima categoria è sempre padrona del presente, la seconda è padrona dell'avvenire. Gli uomini della prima conservano il mondo e lo aumetano numericamente; quelli della seconda muovono il mondo e lo conducono verso la meta. E gli uni e gli altri hanno lo stesso diritto d'esistere, e... vive la guerre éternelle..., fino alla Nuova Gerusalemme.

G. Courbet, Il disperato - autoritratto (1844-1845)


Ma il superuomo ha un limite: anche se i suoi atti mirano ad uno scopo giusto, essi rimangono, agli occhi della società, ingiusti, e, con la loro onta di vergogna, piombano pesantemente su Raskol'nikov, che non ha la forza di essere immorale fino in fondo, di serbare la freddezza e l'imperturbabilità necessari perché la volontà eroica che proclama nel suo saggio diventi legittima e condivisa. In lui esiste un barlume di umanità che lo rende, rispetto ai propri scopi di grandezza, inetto, che lo riporta alla morale comune. In virtù di questo sentimento egli si affeziona alla disgraziata famiglia dell'ubriacone Marmeladov, in particolare alla sua primogenita Sonja, creatura angelica nonostante il degrado e la miseria in cui è costretta a vivere. Raskol'nikov è debole, agli occhi del proprio ideale titanico, quando cede il poco denaro che gli resta alla vedova di Marmeladov, che lo sperpera in un funerale pomposo e grottesco, ma anche quando cede alla purezza di Sonja, che, con il suo amore, lo investe di moralità, facendogli prendere coscienza della propria colpa e della vanità del ritenersi superiore in un mondo pieno di uomini decisi ad imporsi sugli altri fino alla distruzione totale.
La lucidità filosofica di Raskol'nikov è tale da fargli mantenere a lungo, al di là di brevi collassi e nonostante la profondità e il magma del suo tormento, che Dostoevskij descrive magistralmente, la convinzione del diritto insito nel suo atto. Con la sua mente delittuosa smaschera i peggiori controsensi della società, denunciando la vanità di quei movimenti politici che si impegnano per il raggiungimento di una felicità collettiva nel futuro e dimenticando il diritto alla felicità di chi vive nel presente, ridicolizzando coloro che acclamano gli eroi effigiati nelle piazze, senza pensare che anch'essi, per imporre il loro eroismo e abbattere le ingiustizie, hanno sparso del sangue, disprezzando coloro che cercano un colpevole non per punirlo, ma per umiliarlo per il gusto di vederlo a terra.

Fëdor M. Dostoevskij (1821-1881)

Accurato analista dell'animo umano e delle dinamiche sociali, Dostoevskij ha certamente firmato, con Delitto e castigo, una pagina memorabile della letteratura mondiale, offrendo, grazie alla polifonia del testo (accanto a Raskol'nikov uno spazio importante è riservato a Sonja, Razumìchin e, inaspettatamente, quello Svidrigajlov che ha in passato tentato di sedurre Dunja), un ampio sguardo sui comportamenti, le abitudini e i falsi miti accumulati in millenni di storia. Questo grande merito di Dostoevskij è però anche ciò che lo rende talvolta eccessivamente pesante, anche se ci sono momenti in cui le pagine scorrono in modo avvincente: l'indugiare sui moti umani, in dialoghi che non sempre hanno una finalità puntuale nella storia e sembrano pensati più per dilatare i tempi e, con essi, il tormento di Rodja, in ridondanze di descrizioni e sequenze (come quelle degli interrogatori) faranno dell'autore un dei preferiti di chi attribuisce a questa ricchezza un pregio.
Di Delitto e castigo ho adorato alcune pagine e altre mi sono risultate decisamente idigeste. Sullo sfondo di questo amore e odio la sagoma in ombra del grande narratore russo che forse si è conquistato troppo spazio perché Dostoevskij mi sia davvero congeniale: l'epopea di Tolstoij rimane insuperabile.
Io indovinai allora, Sonja, che la potenza è data solamente a chi osa chinarsi e prenderla. Occorre una cosa sola: osare. L'ardimento basta! Mi venne allora, per la prima volta in vita mia, un pensiero che a nessuno era venuto mai prima! A nessuno! Tutt'a un tratto, chiara come la luce del sole, mi si presentò questa idea: come mai finora non c'è stato un solo individuo che abbia osato, come mai non c'è neppure adesso un individuo che osi, passando davanti a tutta quest'assurda morale, prendere questo complesso di cose per la coda e scaraventarlo al diavolo! Io... io ho voluto osare, e ho ucciso... ho voluto soltanto compiere un atto d'audacia, Sonja, questo è stato il mio unico movente!
C.M.

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