Cosa porta due uomini come Dostoevskij e Allen, distanti solo poco più di un secolo, a muovere le pedine delle loro storie con esiti così diversi?
Due ragazzi solitari, due assassini : Rodja (diminutivo di Raskol’ nikov), giovane studente russo e protagonista del romanzo Delitto e Castigo uccide una vecchia usuraia simulando una rapina; la sua non è sete di arricchimento, desidera solo compiere giustizia eliminando un’anziana donna crudele. Un secolo e mezzo dopo Chris, protagonista del film Match Point, giovane insegnante di tennis irlandese trasferitosi a Londra uccide l’amante incinta che rischiava di compromettere il suo plurimiliardario matrimonio, anch’ egli celando l’intento omicida in una rapina andata male. Tra il libro e il film sono tanti i punti in comune e Woody Allen rende espliciti i richiami al libro in diverse scene in cui Chris o legge o cita il romanzo di Dostoevskij che gli è stato, in parte, d’ispirazione. Eppure il percorso di Rodja è destinato ad essere molto più oscuro e fitto di ombre.
Subito dopo aver commesso l’omicidio viene assalito da feroci sensi di colpa che somatizza in giorni di febbri e deliri; l’angoscia, il rimorso per quanto compiuto lo tormentano senza dargli tregua e il suo segreto lo ha reso un uomo completamente solo, impossibilitato a chiedere aiuto. Soffocato dalla paranoia di essere scoperto e dalla paura per quanto commesso troverà pace solo costituendosi e accettando la pena assegnatagli. Chris, invece, trama, medita, uccide e con estrema lucidità continua a fingere, come se nulla fosse mai successo. Certo, ha anche lui i suoi fantasmi, ma sono sotto controllo, non si fa dominare dalla paura. Non teme ripercussioni divine, non cerca espiazioni, tutto procede come progettato e va bene che sia così.
Cosa porta due uomini come Dostoevskij e Allen, distanti solo poco più di un secolo, a muovere le pedine delle loro storie con esiti così diversi? Perché lo scrittore russo è fermamente convinto che a ciascun delitto corrisponde un castigo che non è assolutamente quello inflitto dallo Stato, ma è quello interiore, fatto di tormenti e sensi di colpa? E perché non vediamo traccia della stessa angoscia dopo l’atrocità commessa dal giovane irlandese?
Chi è nato dopo il funerale di Dio è consapevole che la propria coscienza non è altro che un burattino di cui la nostra razionalità manovra i fili. Sensi di colpa, azioni giuste, azioni sbagliate… per chi? Rispetto a cosa? È il caso a governare le nostre esistenze, come la pallina da tennis che tocca il nastro, per caso può cadere nella nostra metà di campo e sempre per caso può cadere nell’altra. Tutto è relativo in un mondo senza re e senza legge e la Fede non ha ragione d’essere, perché non c’è alcuna entità a cui rivolgerla.
Anche noi siamo figli del Novecento, anche noi siamo abbandonati a noi stessi, orfani di qualsiasi dio, distanti o meno da un uomo come Chris a seconda del grado in cui riusciamo a domare le nostre coscienze.
Ma anche la coscienza è un fatto sociale ed a questo punto il dettato evangelico “non fare a gli altri quello che non vuoi sia fatto a te” o ancora e meglio “ama il prossimo tuo come te stesso”, assume un significato diverso: non più il Comandamento di Dio ma una norma di vivere civile, un’esigenza della società e del singolo che è a conoscenza di poter rivestire il doppio ruolo di carnefice e vittima, di poter essere Chris (l’assassino) o la sua amante assassinata. La fede ed il rispetto della norma che ne discende diventa dunque una necessità, l’alternativa alla barbarie o, se preferite, all’angoscia di una vita indeterminabile.