Qui, al nord, fa molto freddo. Ma è un freddo diverso da quello dei mesi passati, quando davvero la campagna e i boschi erano distanti, ghermiti dal sonno.
Adesso c'è questa sensazione di attesa, di una piccola febbrile attività che riprende.
Osservo i giacinti, nella mia serra: per mesi sono rimasti fermi e ora, ad un tratto, hanno cominciato a crescere - di un verde sfacciato contro il grigio del cortile umido e del cielo uggioso.
I prossimi saranno i crocus, che finora hanno dormito sotto la terra dell'aiuola: appena tornerà qualche raggio di sole e la temperatura si alzerà di qualche grado, inizieremo a vederli spuntare, intimiditi, ma tenaci.
Sono segni.
Io credo molto nei segni: ne vado alla ricerca, consapevole della loro importanza.
Quanti di noi, oggi, si soffermano ancora a raccogliere i segnali che la natura invia? Eppure, per quanto piccoli, sono inequivocabili.
Penso alla mia dendrobium nobile, che si è mantenuta in bocciolo per tutto l'inverno (tanto che Cristiano amava scherzare sulla sua indolenza: «Ce la farà a fiorire per il prossimo inverno?») e solo a inizio gennaio ha deciso di aprire i suoi fiori. Eppure la temperatura, in casa, è all'incirca sempre la stessa...
E poi c'è quest'ansia, di tornare a camminare, di andare per boschi. Ne parliamo già da qualche giorno, con Antonio e Mara e domenica, forse, riusciremo a tornare alla Partecipanza.
«Dobbiamo muoverci. Altrimenti quest'estate in montagna... vedrete che mal di gambe!» ci diciamo, ironizzando sulle nostre fatiche future.
Ma non si tratta solo di questo. Non è semplice e mero esercizio. E', piuttosto, questa irrequietezza sottile, che ci fa desiderare di uscire di casa - per quanto freddo faccia e il terreno possa essere poco agevole.
Tornare a camminare, a respirare l'aria dei boschi, degli spazi aperti.
Questo conta, questo ci fa sopportare gli aspetti più amari della nostra esistenza quotidiana.
Ecco perché la natura, questa necessità (bisogno!) di raccogliere i segni, collezionarli, rivisitarli nella mente traendo da essi energia, forza, conforto.
Opporre alle miserie della nostra società contemporanea la meraviglia assoluta di questo risveglio in sordina; nel mondo chiassoso di oggi, questa frenetica attività silenziosa.
E' imperativo, necessario. Oltre che bellissimo.