Majakovskij sapeva bene che le icone non le scrive il tempo.L'eterno è la dimensione rarefatta della icona i cui volti riposano sulle mensoline sante (божница) degli angoli belli delle isbe, ma non in quelle dei secoli, brevi o lunghi, ma quasi sempre mostri.Come diavolo faceva il Poeta a sapere nel 1913 che il XX secolo sarebbe stato un secolo-mostro? Era così immerso nella storia da farsi dipingere il volto dal tempo-diavolo che le icone le impiastriccia e non le scrive. Già, perché l'icona è parola, parola visuale, una riflessione dell'intelligenza e del cuore attraverso immagini potenti. Parola scritta dal colore e dalla luce dell'oro che per raggrumarsi e assumere consistenza sceglie rozze tavole del legno degli umile alberi offerti dalla terra: tiglio, pino e betulla. Quello che passava il convento, appunto.I fratelli bizantini, invece, figli di altra terra e di mediterranee contrade, usavano di preferenza il cipresso.Il tempo, zoppo, imbrattattore di icone, imita, come il diavolo imita Dio, il processo di creazione, ma è solo un misero sostituto ("Almeno tu...") e probabilmente non conosce nemmeno il canone complesso a cui si attiene l'iconografo autentico.Parte dalla materia il monaco che scrive l'icona. Lavora con la materia. Solo con la materia. Inok, monaco. Inyj, altro.La prima materia da cui parte è, dunque, è lui stesso.Si fa altro. Ed un cammino arduo. Un percorso di corpo, di mente, di cuore. Li plasma, li rende docili e non solo attraverso le dure pratiche ascetiche imposte dalla vita monastica. Grazie alla pratica della meditazione interiorizza completamente la preghiera del cuore (ma perché la traduciamo così? in russo umstvennaja molitva da um intelligenza, come l'icona è da Trubeckoj definata umozrenie v kraskach, visione dell'intelligenza attraverso i colori). Il Nome di Dio, vera icona sonora del divino, ripetuta e incessantemente ruminata durante il giorno, si fa tutt'uno prima con il respiro, poi con il battito del cuore, accompagna senza ostacolarlo il flusso dei pensieri e il movimento degli arti. Strano soffio di eterno che si apre e si chiude nel cadenzato movimento di diastola e sistole, il nostro tempo più intimo.E poi prende il legno. Materia di falegname, il lavoro quotidiano del Verbo ancora nascosto nelle pieghe di un'umile vita tutta umana, la fatica del Silenzio (San Giuseppe) che ha custodito il Verbo. Il legno è anche materia di Croce, albero infisso e ben piantato nella terra tanto da arrivare alle sue viscere ed essere nera come nere sono le caverne del male e della morte, ctonio memorandum che nelle icone si apre come crepa perfino nel fulgore dell'oro, perfino e soprattutto nelle scene della Navità. Perché si sa, quando gratti gratti e vai a fondo di una cosa, finisci per trovare il suo contrario: è una legge della vita, e, speriamo, della morte.
Majakovskij sapeva bene che le icone non le scrive il tempo.L'eterno è la dimensione rarefatta della icona i cui volti riposano sulle mensoline sante (божница) degli angoli belli delle isbe, ma non in quelle dei secoli, brevi o lunghi, ma quasi sempre mostri.Come diavolo faceva il Poeta a sapere nel 1913 che il XX secolo sarebbe stato un secolo-mostro? Era così immerso nella storia da farsi dipingere il volto dal tempo-diavolo che le icone le impiastriccia e non le scrive. Già, perché l'icona è parola, parola visuale, una riflessione dell'intelligenza e del cuore attraverso immagini potenti. Parola scritta dal colore e dalla luce dell'oro che per raggrumarsi e assumere consistenza sceglie rozze tavole del legno degli umile alberi offerti dalla terra: tiglio, pino e betulla. Quello che passava il convento, appunto.I fratelli bizantini, invece, figli di altra terra e di mediterranee contrade, usavano di preferenza il cipresso.Il tempo, zoppo, imbrattattore di icone, imita, come il diavolo imita Dio, il processo di creazione, ma è solo un misero sostituto ("Almeno tu...") e probabilmente non conosce nemmeno il canone complesso a cui si attiene l'iconografo autentico.Parte dalla materia il monaco che scrive l'icona. Lavora con la materia. Solo con la materia. Inok, monaco. Inyj, altro.La prima materia da cui parte è, dunque, è lui stesso.Si fa altro. Ed un cammino arduo. Un percorso di corpo, di mente, di cuore. Li plasma, li rende docili e non solo attraverso le dure pratiche ascetiche imposte dalla vita monastica. Grazie alla pratica della meditazione interiorizza completamente la preghiera del cuore (ma perché la traduciamo così? in russo umstvennaja molitva da um intelligenza, come l'icona è da Trubeckoj definata umozrenie v kraskach, visione dell'intelligenza attraverso i colori). Il Nome di Dio, vera icona sonora del divino, ripetuta e incessantemente ruminata durante il giorno, si fa tutt'uno prima con il respiro, poi con il battito del cuore, accompagna senza ostacolarlo il flusso dei pensieri e il movimento degli arti. Strano soffio di eterno che si apre e si chiude nel cadenzato movimento di diastola e sistole, il nostro tempo più intimo.E poi prende il legno. Materia di falegname, il lavoro quotidiano del Verbo ancora nascosto nelle pieghe di un'umile vita tutta umana, la fatica del Silenzio (San Giuseppe) che ha custodito il Verbo. Il legno è anche materia di Croce, albero infisso e ben piantato nella terra tanto da arrivare alle sue viscere ed essere nera come nere sono le caverne del male e della morte, ctonio memorandum che nelle icone si apre come crepa perfino nel fulgore dell'oro, perfino e soprattutto nelle scene della Navità. Perché si sa, quando gratti gratti e vai a fondo di una cosa, finisci per trovare il suo contrario: è una legge della vita, e, speriamo, della morte.
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