Dell'Utri assolto? Assolutamente no.

Da Matteviola90
Venerdì 9 marzo, la quinta sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza di 2° grado, rinviando il processo alla Corte d'Appello che dovrà riemettere sentenza su Marcello Dell'Utri (quella che tecnicamente si chiama annullamento con rinvio della sentenza d'appello), il braccio destro di B.. Attenzione bene: non ha annullato la sentenza di 2° grado, ma l'ha annullata con rinvio, che è ben diverso.
Dell'Utri è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: secondo l'accusa tra il 1970 e il 1992, il Siciliano avrebbe tenuto continui rapporti con Cosa Nostra, tramite i suoi esponenti Stefano Bontate, Mimmo Teresi e Vittorio Mangano; il tutto grazie alla mediazione di Gaetano Cinà, anch'egli rinviato a giudizio insieme a Dell'Utri.
In breve, chi sono Bontate e Mangano? Stefano Bontate, soprannominato il “Principe di Villagrazia”, era il figlio di Francesco Paolo Bontate, un autorevole capomafia siciliano. Oltre ad ereditare il “titolo” e il patrimonio del padre, Stefano entra nella massoneria e riuscì ad avvicinare noti personaggi della politica, tra cui il futuro sindaco Ciancimino; grazie all'avvallo dei politici Bontate creò un sistema di potere, che attraverso la costituzione di società di comodo e società di prestanome, gli fece accaparrare gran parte degli appalti pubblici nel campo dell'edilizia. Venne ucciso da due killer il 23 aprile 1981 a colpi di lupara e kalashnikov: l'omicidio era stato commissionato a Pino Greco, il più fidato killer di Totò Riina.
Su Vittorio Mangano si potrebbero scrivere pagine e pagine, visto il personaggio e i suoi rapporti con B.. Mangano era un uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò e tra il 1973 e il 1975 fu assunto come fattore nella villa di Arcore, nota proprietà del CaiNano. Secondo il pentito Di Carlo, Mangano fu portato nella villa milanese dopo un incontro tra B., Dell'Utri, Bontate e Teresi. Borsellino nella sua ultima intervista, inedita in tv (ma che vi consiglio di vedere: la potete trovare su You Tube), affermò che: “Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove, come risulta da molte intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga; dei traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane. […] Era uno di quei personaggi, che, ecco, erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel nord Italia”. Più chiaro di così si muore! Ovviamente, il fatto che Mangano vivesse ad Arcore, non è una notizia di gossip, uno scoop del Signorini di turno, al quale si può credere come non credere. B. infatti disse che “Mangano non era uno stalliere, era il fattore che avemmo ad Arcore con tutta la sua famiglia, madre, moglie e due figli. […] Era una persona che con noi si è sempre comportata benissimo; poi ha avuto delle disavventure nella vita”. Chiamarle disavventure è un po' riduttivo...oltretutto non è neanche vero che Mangano si sia sempre comportato bene con B.: nel 1974 provò a rapire Luigi d'Angerio (amico di B.) e nel 1975 fece scoppiare una bomba nella villa di B. in via Rovani. B. sapeva della responsabilità del “fattore”, ma non lo denunciò. La sua fedina penale (o nel caso del soggetto, il pedigréé giudiziario) vantava svariata reati: dal 1965 Mangano entrò nelle cronache giudiziarie e in soli 5 anni collezionò un lunga serie di denunce e tre arresti. Le denunce penali riguardavano capi d'accusa come truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie e tentata estorsione. Venne condannato più volte e nel 1969, all'Ucciardone, il carcere di Palermo, conobbe Gaspare Mutolo, uomo d'onore della famiglia Partanna-Mondello: tramite Mutolo, Mangano entrò in contatto con Stefano Bontate, il mafioso-massone. Uscito di galera compì estorsioni a carico di alcune cliniche palermitane sul finire degli anni '60 (poco prima di andare in carcere) e fra il '75 e l''80 Borsellino istituì un procedimento su tali attività e lo inquadrò nella famiglia Porta Nuova, nella quale Mangano ricopriva il ruolo di “capo mandamento”.
Secondo la Procura della Repubblica di Palermo, Dell'Utri, quando assunse Mangano ad Arcore, era a conoscenza dei precedenti penali dell'amico Vittorio. Anche perché se non fosse stato un mafioso, Mangano non sarebbe stato “assunto” ad Arcore, visto che fu preso per proteggere le “operazioni finanziarie” gestite da Dell'Utri nell'interesse di B.. In parole povere, Mangano era il garante di Cosa Nostra, una sorta di ponte tra la Mafia e Berlusconi, che permetteva all'imprenditore di non temere Cosa Nostra.
In una clamorosa telefonata intercettata, Mangano, conversando con Dell'Utri, parlò di un affare relativo a un “cavallo” da vendergli e dei “piccioli necessari da chiedere a Silvio”. Borsellino spiegò che in quei giorni Mangano stava trattando una partita di droga con il mafioso Inzerillo e quando parlava di cavalli si riferiva all'eroina (chiamata anche “magliette”). Anche perché i cavalli non si sono mai trovati, purtroppo però c'è rimasto il Cavaliere!
La storia di Mangano è importante per dimostrare che, come dico sempre, mentre i magistrati, acerrimi nemici di B., rischiavano la vita sotto i colpi delle cosche mafiose e delle BR, lui si faceva difendere da Cosa Nostra. Altro che “Rapporti con la Mafia ne ho avuti soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di rapire mio figlio Piersilvio, che allora aveva cinque anni [...]”, come disse Lui.
Chiusa la parentesi su Bontate e Mangano, torniamo a Dell'Utri facendo un breve excursus sulla storia del braccio destro del “Piazzista di Arcore (come lo chiamava il grande Montanelli)”.
Dell'Utri era amministratore delegato e presidente di Publitalia (B. gli dette questi incarico come ringraziamento per l'intermediazione tra Fininvest e Cosa Nostra), la concessionaria esclusiva della pubblicità del gruppo Mediaset, fondata nel 1979 da Berlusconi per la raccolta pubblicitaria dell'appena nata Canale 5. Lasciò l'incarico nel 1993 quando B. gli chiese di fondare un partito pronto per le elezioni del 1994; il Siciliano, il 28 dicembre 1994, dichiarò: “Berlusconi è entrato in politica per difendere le sue aziende. Eravamo nel settembre 1993, B. mi convocò nella sua villa ad Arcore e mi disse: 'Marcello dobbiamo fare un partito pronto a scendere in campo alle prossime elezioni […]'. Lui aveva provato in tutti i modi a convincere Segni e Martinazzoli per costruire una nuova casa dei moderati. 'Vi metto a disposizione le mie televisioni' aveva detto. Tutto inutile e allora decise che il partito dovevamo farlo noi [...]”. Il fatto che Forza Italia fosse in contatto con la Mafia, tramite Dell'Utri, lo dimostrano le parole del pentito Nino Giuffrè, il quale parlando con i magistrati, disse che Provenzano scaricò il progetto “Sicilia Libera”, partito secessionista inizialmente appoggiato da Cosa Nostra, ed affermò: “Con Dell'Utri siamo in buone mani”. Sempre secondo Giuffrè, da lì in poi la Mafia si mise a lavorare per Forza Italia.
Nel 1994 Dell'Utri venne tirato in ballo dal pentito Cancemi, che parlando con i pm, lo mise in relazione con Cosa Nostra e nel 1995 fu arrestato a Torino con l'accusa di aver inquinato le prove nell'inchiesta sui fondi neri di Publitalia. Nel 1996 risultava imputato a Torino per false fatture e frode fiscale e indagato a Palermo per Mafia ed allora, per pararsi il culo si candidò e venne eletto come deputato di Forza Italia. A tale proposito, nel 2010 Dell'Utri dichiarò: “Io sono politico per legittima difesa. A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto”.
E adesso arriviamo alla sentenza della Corte di Cassazione, di Venerdì scorso. Dicevamo che non è un annullamento puro, ma è un annullamento con rinvio alla Corte d'Appello. Nel primo caso, la Cassazione avrebbe assolto Dell'Utri, ma così non è stato, anzi ha considerato valide le accuse del Tribunale (1° grado di giudizio) che lo aveva condannato a 9 anni di reclusione. La Cassazione può aver rigettato la sentenza di secondo grado, o perché la motivazione della sentenza era viziata da errori, oppure perché ha riscontrato un vizio processuale. Ovviamente questo si potrà capire leggendo la motivazione della sentenza che uscirà tra un mesetto. Il fatto che la quinta sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Aldo Grassi, l'amico dell'“Ammazzasentenze” Carnevale (i due furono intercettati, e mentre Carnevale profanava la morte del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo e del pm Scopelliti, Grassi taceva senza dissentire), non ritenga “pulito” Dell'Utri, è molto significativo. La mia paura era che la quinta sezione, visti i precedenti del suo presidente Grassi, assolvesse tout court il fondatore di Forza Italia.
I servi di B., che di solito considerano la prescrizione un'assoluzione quando colpisce un loro amico e una condanna quando se la becca un nemico politico, inneggiano al “Libero, giustizia è fatta!” dopo aver ascoltato la sentenza della Cassazione e la requisitoria del sostituto pg Iacoviello (anche se né Dell'Utri è assolto, né una requisitoria di un sostituto pg è legge). Proprio su Iacoviello dobbiamo spendere due parole: nella sua requisitoria, molto vicina ad un'arringa difensiva, ha sottolineato l'infondatezza dell'accusa rivolta a Dell'Utri, ed ha aggiunto che “il concorso esterno è ormai diventato un reato autonomo, un reato indefinito al quale, ormai, non crede più nessuno”. Per chi non lo sapesse, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa fu inventato da Falcone e Borsellino, che non erano certo due “Iacoviello”. I grandi giudici martiri, simbolo di un'Italia che non esiste più, credevano che con tale fattispecie di reato, si distruggessero i rapporti tra Politica (o istituzioni) e cosche mafiose che tengono in vita quest'ultime. Sempre per chi non lo sapesse, Iacoviello è considerato una sorta di “annienta-accuse”, visto che in passato è riuscito, tramite le sue requisitorie, a scagionare o a affliggere il minimo di condanna possibile a uomini illustri. L'Annienta-accuse adesso è il vero idolo del PdL; i Trombettieri si offrono per scolpirgli il monumento equestre.
Rinviato il pericolo di un disastro politico (se fosse stato condannato Dell'Utri, almeno all'ESTERO la vicenda avrebbe avuto ripercussioni politiche devastanti sul CaiNano e sul PdL. In Italia ormai non ci si scandalizza più davanti a nulla!), i leccaculi indossano la toga di magistrati a tempo perso e prendono le difese del loro “sire”. Cicchitto afferma che “questa volta c'era un giudice a Berlino”; Bondi dice che “l'annullamento del processo a carico del senatore è una buona notizia. Ma non possiamo non ammettere amaramente che nessuno potrà mai sanare la gravità delle accuse e il peso delle sofferenze patite ingiustamente dal senatore”: forse don aB(b)ONDIo si scorda che Dell'Utri non è stato assolto, quindi nessuno deve sanare niente! Miccichè invece se la prende con chi, giustamente, accusa il senatore PdL di essere colluso con la Mafia: “Il tentativo di mascariare la figura di un uomo onesto è stato definitivamente e con ritardo impedito. Adesso è bene che qualcuno ammaini definitivamente il vessillo giustizialista e si rassegni all'evidenzia dei fatti”. Vince però il premio “Pupazzo Leccone d'oro” l'ex ministro della Giustizia (un Guardasigilli deve tutelare e migliorare la Giustizia, non distruggerla come ha provato a fare lui in passato), Angelino Jolie Alfano, che riferendosi a Dell'Utri afferma: “Tieni duro e continua a difenderti con grande orgoglio come hai fatto in questi anni”.
Per concludere, con il rinvio alla corte d'Appello, inizia il conto alla rovescia di Dell'Utri & Co. per arrivare alla prescrizione, che scatterà nel 2014. I suoi legali dichiarano che l'obiettivo non è la “morte” del processo, ma l'assoluzione. La domanda sorge spontanea: se il processo dovesse durare oltre il 2014, Dell'Utri rinuncerà alla prescrizione? La risposta è scontata, come scontato è il fatto che il Senatore sia colluso con la Mafia e scontata è la “candidatura” del sostituto pg Iacoviello per un posto al ministero della Giustizia in un prossimo (e probabile visti gli istinti suicidi del Pd e del suo leader Bersani) governo PdL.
di Simone Ferrali
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