Della pioggia e degli anni che passano.

Creato il 17 marzo 2011 da Mattiaboscolo
Poi ripenso a Trieste e alle sue vie in discesa piene di lavori in corso. Alla cassa della batteria che la vedo rotolare allegramente e che la vado a riprendere una trentina di metri più sotto. Alla cassa della batteria e al mio fegato e a mia madre quando le parlo del tempo. Della pioggia e degli anni che passano. A chiedersi se sono nati prima certi bar o le persone che ci bevono dentro da trent'anni. Mentre mi racconti di una mano a poker di venticinque anni fa, quattro re contro una scala reale e la possibilità di tornare a casa con una casa in più. E io ti racconto di quando venticinque anni fa non possedevo neanche quel briciolo, diciamo, di materialità per poter piangere mangiare riempire i pannolini dormire. Produci consuma crepa.
Cambia registro, scrivi in cinque minuti quaranta cartelle dopo che per quaranta giorni hai scritto cinque righe e ne hai cancellate tre e una ci hai pensato un po' e poi l'hai lasciata per non sentirti troppo inutile. A dirsi che scriviamo al computer perché ci siamo disabituati a usare la penna e dopo due minuti cominciano a venirci i crampi alla mano. E generalmente abbiamo una grafia troppo indecente che a volte non capiamo neanche noi cos'abbiamo scritto. Che poi sul più bello finiscono i fogli e allora cominciamo a scrivere ovunque anche negli angoli delle strade e una volta ho finito una frase dipingendomi le braccia.
Mi dici ti vedo un po' svampito forse ultimamente ti stai facendo un po' troppo e io ti rispondo ma che cazzo dici e intanto mi dimentico dove abiti, e intanto abbatto le biciclette parcheggiate,e intanto è una cosa che penso anch'io.
Bisogna essere liberi e democratici e i discorsi di Pertini che valgono più di una bandiera attaccata al rovescio per festeggiare un compleanno che non sentiamo nostro. Come festeggiare i quarantanni anche se vorresti spegnere quindici candeline in meno. Bisogna capirci quando i tuoi respiri sono troppo cadenzati e quando ti sfioro ma non riesco a toccarti mai. Quando ti saluto ma non mi stai guardando.
Come quando mi telefoni per chiedermi com'è andata la serata perché dalle nove della sera alle nove del mattino dici hai un piccolo vuoto di memoria.
E tutti i miei tu che sembrano un telefono occupato.
Perchè siamo così bravi ad eludere i buttafuori e a deludere i gestori, che quindici euro sono troppi per un tributo e per scansare le sigarette che mi tiri dietro. Che ci siamo conosciuti così e lei non ci crede e invece ti ricordi ero uno sbarbo pieno di sogni di gloria. Mentre adesso mi si dice che sono cattivello e che quindi il mio giudizio non è da sottovalutare.
Poi ripenso ai miei cachet ridicoli quando suonavamo per venti euro, quando vigevano i prezzi imposti dei biglietti, quando a Vigevano ci ricordavamo di qualcuno che non vediamo più da ventanni ma che forse abita ancora qui. Quando siamo troppo uguali a quegli ideali sconfitti che sembrano certi libri di Wu Ming.
Quando ho sognato che eravamo io e Fiorenzo sul palco dell'Estragon e si era inceppata la macchina del fumo e sembrava di stare in un pomeriggio autunnale nella campagna dietro la salaprove. E finiva il pezzo e c'erano quattro vecchi seduti su quattro sedie in mezzo alla sala deserta. Che ci applaudivano e ci chiedevano il bis. Pensa che non ho avuto il coraggio di raccontarlo a nessuno e poi l'ho scritto qui.
Qui che tra un paio di minuti saremo a Rovigo e un po' mi prende male.
E ho finito i fogli.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :