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Era il 1987, attenzione. L’avevo preso perché lo trovavo magnetico, accattivante, già solo dal titolo, “Viaggi indifferenti”*. L’opera di uno storico, forse un trattato sul labile confine esistente tra previsione storicistica e fantascienza? Forse, avvertivo che negli anni a venire avrei sentito l’esigenza di riempire di significato una lacuna che già si stava aprendo in me, ma alla quale non sapevo dare forma o nome. E poi, quell’anno compravo sempre e solo libri d’architettura. Pensavo sinceramente che quel libro l’avrei letto, un giorno o l’altro.
Lasciamo perdere che soltanto ieri m’è capitato in mano e ho pensato: “Ma sì, forse la do, un’occhiata”. Un capitolo a caso -a caso?- :
Non possiamo non dirci pagani
Se si osserva non superficialmente un particolare stato d’animo di questi ultimi anni, si scopre forse che quella sfuggente ansia di rientrare in sé stessi che si avverte da ogni parte non è che il desiderio filosofico di una ancora sconosciuta terapia intellettuale. Si cerca una cultura sottile e disarmante che non si trova in luoghi precisi, ma di cui si percepisce, tuttavia, l’assenza.
È un desiderio attivo, questo, che non ha però contatti di alcun genere con la pura e semplice evasione né con il privato volgare. Si tratta d’altro: è l’esigenza di una razionalità più profonda e raffinata che coincida con un bisogno altrettanto profondo di edonismo e di erotismo esistenziale. Riemerge forse, inavvertita, l’antica limpida filosofia dello stoicismo, sulle cui aeree strutture poggiano, ancora oggi, il “pensare”, il controllo intellettuale dell’agire umano?
Riaffiora, insieme ad essa, la rasserenante morale pagana – sempre esorcizzata e perennemente diffidata – che lascia vedere e “gustare” le cose così come sono? Riappaiono quelle lontane “teologie razionali” che, da Epicuro a Seneca, hanno insegnato l’arte di vivere? Quel movimento spirituale (la stoa, appunto) che, dentro l’ellenismo, diede “per mezzo millennio a innumerevoli uomini una base morale e una pace interiore”?
Si potrebbe istintivamente rispondere che il contributo culturale, umano, artistico ed “erotico” del paganesimo è stato troppo alto perché se ne smarrisca mai il senso. Ma, detto questo, è difficile poi sapere con esattezza in quali pieghe del nostro tempo sono celati, vivi, i segni di quell’epoca sommersa ma densa di idee e, soprattutto di pensiero.
“Uno storico del futuro”, scriveva pochi anni or sono Ranuccio Bianchi Bandinelli, “potrà dire che l’inizio dell’era atomica ed astronautica, della tecnologia e della civiltà di massa coincide con la scomparsa delle ultime tracce delle forme ellenistiche.” Ma sono veramente scomparse, queste forme di cui parlava il grande studioso del mondo antico, quando dal campo dell’arte si passa a quello del linguaggio, dell’estetica del vivere e della filosofia? Bianchi Bandinelli definiva le forme ellenistiche “ovvie e insostituibili, tanto ci erano naturali a noi europei”, aggiungendo che “esse hanno fatto ancora parte, fino a ieri, della nostra esistenza”. È così forte, allora, la tecnologia moderna da negarle per sempre?
Tutto sembra confermarlo. Ma l’ellenismo e lo stoicismo avevano anch’essi come elemento di riflessione il nostro stesso problema, cioè il rapporto con la scienza e le tecniche. Quei filosofi sapevano però ricondurlo al logos, al discorso, cioè all’ordine culturale, all’equilibrio morale dai quali quel rapporto è legittimato. Questo senso stoico, “ovvio e insostituibile”, può rientrare come elemento critico e analitico nella realtà contemporanea? Certamente sì, ed è un elemento questo fondamentalmente estetico.
[...]
Chi riconosce nello stoicismo quell’essenza filosofica della cultura e del mondo pagani che percorre, come un filo rosso, il pensiero moderno (dall’Umanesimo a Spinoza a Kant alla rivoluzione francese) non può non sapere che il concetto di esistenza è fondato anzitutto sul piacere di vivere inteso come unico veicolo di conoscenza e di verità. Val la pena di ricordare che proprio negli scritti di tanti pensatori della fase conclusiva dell’età classica (e pagana) si avverte l’inquietudine di una transizione verso un mondo meno solare e meno certo proprio perché più triste.
[...] lo Stato ha la più profonda radice non nella debolezza dell’uomo, ma nell’istinto sociale che è naturalmente insito in lui. Ha un senso, allora, immaginare come un paradiso perduto l’idea pagana di un individuo, di una società o di uno Stato tenuti insieme solo dal gusto di godere, nel migliore dei modi, la vita di ogni giorno?
Mentre leggevo, mi sorprendevo della similitudine con un tema nel quale mi ero imbattuta di recente, l’opposizione che alcuni sostengono esistere tra pensiero scientifico e umanistico . Una separazione della quale, mi pare, abbia parlato ieri, in termini di opposizione tra illuminismo e romanticismo (se non fermiamo la definizione del pensatore romantico all’idea dell’inventore di frasi stucchevoli per i bigliettini dei Baci Perugina), anche Antonio Pascale dal suo blog sul Post.
Un’altra buona lettura.
*) Lucio Villari – Viaggi indifferenti, Ed. Bompiani 1987
Giuliano Palma – Se ne dicon di parole