E' però singolare il fatto che un'affermazione (quella di Della Valle) di tale portata, che definire lapalissiana è dir poco, abbia suscitato un così grande clamore. Dovrebbe essere del tutto logico e naturale, infatti, che, non soltanto la FIAT, ma anche qualsiasi altra azienda privata si preoccupi anzitutto dei propri interessi e non di quelli del Paese. Ciò non dovrebbe suscitare scandalo.
Al solito, però, l'anomalia è costituita dalle nostre cattive abitudini, prima fra tutte quella di avere fatto crescere nel nostro Paese un'imprenditoria zoppa che si è sempre nutrita, fin dall'unità d'Italia, di aiuti e di sovvenzioni pubbliche (salvo poi dire, ad ogni piè sospinto, che lo Stato non funziona e spende troppo e che il "Settore Pubblico" fa schifo). Allora si che, in una tale situazione, un'azienda privata non può permettersi di ignorare gli interessi del Paese, dal momento che proprio dal Paese ha ricevuto (e riceve) fiumi di denaro, sotto forma di agevolazioni fiscali, incentivi, ristrutturazioni dei cicli produttivi pagate dalla collettività con la cassa integrazione, ecc..
Altra nostra cattiva abitudine è stata (è) quella di ritenere che tutto ciò che va bene per la FIAT va bene anche per il Paese. Una differente declinazione del medesimo concetto è quella secondo la quale esisterebbero, nell'arena dell'economia politica, due categorie di soggetti: da un lato, i buoni e i virtuosi (gli imprenditori), soffocati dalla burocrazia, dall'altro, lo Stato con i suoi apparati, per definizione inefficienti, costosi e improduttivi. E' chiaro che allora, partendo da queste premesse, l'affermazione di Della Valle è dirompente: il Re è nudo, l'imprenditore non è poi così tanto virtuoso, prima di tutto pensa al suo tornaconto personale, non è quel modello di buon padre di famiglia che la buona stampa (e la demagogia) vorrebbe imporre all'opinione pubblica.
Infine, c'è il fattore "Marchionne". Dipinto dalla solita buona stampa come un genio dell'imprenditoria, il marziano venuto sulla Terra a mostrare miracoli, dopo l'affermazione di Della Valle si scopre essere un fine calcolatore che bada soprattutto al tornaconto della sua azienda e che, secondo Della Valle, è un "furbetto" che ha fatto "scelte sbagliate". Anche qui, il crollo dell'icona è rumoroso e clamoroso e suscita scandalo nei salotti buoni.
E però, diciamolo: come dare torto a Della Valle a fronte di un'azienda che, salvo rarissime eccezioni, produce auto che al mercato europeo non piacciono e che ha una gamma di prodotti largamente insufficiente? Sarebbero questi i geni dell'imprenditoria?
Non occorre essere iscritti alla CGIL per dire tutte le cose di cui sopra.
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