di: Filippo Ghira - f.ghira@rinascita.eu -
Che ci sta a fare la perfida Albione nell’Unione Europea? La domanda è molto meno retorica di quel che sembra. Soprattutto se viene posta da un tecnocrate come il socialista francese Jacques Delors, già presidente della Commissione europea. Una persona quindi che, per propria forma mentis, da sempre sostiene la necessità che gli Stati membri cedano progressivamente la propria sovranità politica ed economica ad una autorità centrale, la Commissione appunto, e quella finanziaria alla Banca centrale europea.
Già prima di Natale Delors aveva toccato tale questione basando il proprio ragionamento sul veto che Londra ha posto a metà dicembre su una bozza di accordo relativa al bilancio comunitario per il periodo 2014-2020. Un autentico siluro perché il governo Cameron è riuscito a tirarsi dietro anche altri 10 Paesi dell’Unione, in particolare i membri più giovani che dall’entrata nell’Europa dei 27 avevano sperato di ricavare più vantaggi dei costi che sarebbero stati chiamati a sopportare.
In una intervista ad un quotidiano tedesco, Delors ha sostenuto che la Gran Bretagna potrebbe uscire dall’Unione europea ed optare per un’altra forma di legame privilegiato politico ed economico. Dove il potrebbe deve essere inteso come dovrebbe. I britannici, ha accusato Delors, si interessano soltanto ai loro interessi economici, niente di più.
Prima di Natale, Delors aveva polemicamente ricordato di essere stato sempre contrario all’entrata della Gran Bretagna nell’allora Comunità Economica europea. Nel 1972, quando era consigliere del primo ministro gollista, Jacques Chaban Delmas, l’allora presidente della Repubblica, Georges Pompidou, dovette faticare non poco per convincerlo a non opporsi all’entrata di Londra, sostenendo che una Europa senza Londra non aveva senso. Il socialista Delors condivideva quindi l’idea di Charles De Gaulle, presidente francese dal 1958 al 1969 che si era sempre opposto a tale ipotesi vedendo nella Gran Bretagna un cavallo di Troia che gli Usa volevano utilizzare per silurare la nascita di un’Europa forte politicamente, militarmente ed economicamente e che, come tale, sarebbe stata portata ad allacciare rapporti con la Russia in campo energetico, mettendo così in forse la supremazia Usa.
Soprattutto un’Europa “continentale” che avrebbe potuto fare benissimo a meno di una Gran Bretagna che per motivi linguistici, legami storici ed interessi finanziari ed economici viene portata a privilegiare maggiormente il rapporto con i cugini di oltre oceano. Anche il veto sul bilancio è stato interpretato da Delors come una ulteriore dimostrazione di questo approccio dei britannici che mentre sulla ribalta ostentano grandi sentimenti europeisti, dietro le quinte lavorno invece per destabilizzare un’Unione europea che stenta a decollare dovendo rendere conto a 27 diverse realtà nazionali. Ognuna con i propri interessi e con poca voglia di rinunciarvi per sperare in un futuro che dovrebbe essere migliore e del quale finora si sono visti soltanto gli aspetti più negativi. Una apertura dei mercati realizzata per aiutare le banche e le multinazionali ma che, sull’altro versante, ha provocato l’arrivo di beni prodotti ad un costo del lavoro 10 volte più basso e tale da costringere decine di migliaia di piccole imprese a chiudere, perché non più concorrenziali. Tale stato di cose è ben chiaro al socialista Delors ed è confortante prendere atto che in Francia, o con i post-gollisti o con i socialisti al governo, ci siano personaggi di rilievo che ancora sappiano parlare come francesi e come europei “continentali”.
L’anomalia della presenza di Londra nell’Unione è poi data dalla sua non partecipazione al sistema dell’euro. E questo conferma che gli inglesi vogliono continuare a fare parte per se stessi e mantenere una sterlina che rappresenta un trampolino di lancio ideale per una uscita veloce e quasi indolore dall’Unione. Assurdo diventa così pure il fatto che oltre il 70% delle transazioni di titoli emessi in euro passi per la piazza di Londra, tanto che la City si è trasformata nel maggior centro finanziario attivo nell’euro e che essa fornisce servizi all’intera unione economica europea. Ma al tempo stesso la City è una piazza finanziaria che risponde in minima parte alle direttive europee. Così pur non facendo parte dell’euro, la Gran Bretagna condiziona pesantemente la nostra moneta unica e il differenziale di rendimento (il famigerato spread) tra i titoli pubblici più forti, i tedeschi Bund, e quelli sottoposti ad attacchi speculativi, come i Bonos spagnoli e i Btp italiani. Uno spread il cui alto livello costituisce un invito a nozze per gli speculatori. Inutile dire che la suddetta speculazione muove preferibilmente da Wall Street, dalla City e dai paradisi fiscali posti sotto la sovranità anglo-americana. Il che testimonia dell’approccio schizofrenico dei Paesi europei incapaci non soltanto di tutelare i propri interessi ma anche di individuare i propri nemici reali.
FONTE: Rinascita.eu