Bologna, Locomotiv, nell’ambito di Pulse. Per le foto ringraziamo www.polpettamag.com
Il Pulse Festival di Bologna quest’anno cerca di fare da mediatore tra il mondo della dancefloor e quello dei concerti in senso stretto, soprattutto grazie ai protagonisti del venerdì, due nomi che sembrano dare la definizione dell’ibrido fra ascolto e ballo.
La sede, il Locomotiv, è impostata più come discoteca (i Demdike Stare cominceranno all’una di notte) che come “venue”: questo modo di strutturare la serata, alla fine, non funzionerà proprio del tutto. Il locale non è stipato, la maggioranza dei presenti è venuta attirata dal termine “techno” utilizzato nell’evento, senza – a quanto pare – essere preparata sulla vera natura dei musicisti. Per fortuna i Demdike Stare si riconfermeranno come progetto che sa come gestire qualsiasi situazione nel migliore dei modi. Fino a poco tempo fa era assai raro poter assistere a un live, all’infuori di grandi festival, del duo originario di Manchester, in primis per la lontananza fra i suoi due componenti, eppure sembra che le cose siano cambiate: sono già sbarcati in altri festival indipendenti italiani come il Three Days Of Struggle o il Node, quindi questa è già la terza volta in meno di un anno che Sean Canty e Miles Whittaker passano le Alpi. La continua ricerca in ambito sonoro e visivo del gruppo gli conferiscono un’importante poliedricità, che a sua volta permette scelte live adatte a capannoni industriali e contesti “noise” (Three Days Of Struggle) come ad ambienti più tranquilli (il piccolo teatro del Node) o magari, infine, a un locale imbottito di persone stracolme di alcol che pensano di trovarsi in una discoteca qualsiasi di Bologna. Proprio qui, oggi, i Demdike Stare dimostrano più di ogni altra volta la loro flessibilità musicale e la varietà del loro progetto. Quando si comincia, il duo scolpisce i suoni più puri e tipici della sua produzione: frastagliate strutture elettroniche ambient sorreggono note ben più estreme, rumoristiche, che regalano ai fan una parte di concerto più classica. Per tutta la prima metà del tempo loro concesso, i Demdike Stare continueranno su di una linea dark e industriale, sempre accompagnata da video (anche questi frutto di ricerche in ambito cinematografico) nei quali perdersi, per un matrimonio perfetto con la musica. La reazione dei più a quest’inizio serata, però, non è del tutto positiva: frasi come “dateci la cassa dritta” o “dai che adesso droppano” fanno intuire ai Demdike Stare che è ora di iniziare a dare un po’ di ritmo e trasformare il sottopalco in un dancefloor. La finezza nel farlo sta nel non cambiare rotta rispetto a quello che si è suonato finora, bensì facendolo evolvere in modo velato verso una sezione più ballabile del proprio repertorio. Quindi la seconda parte del concerto si piega all’interno dei suoni già proposti, ma con l’aggiunta di bpm – mai ottenuti con sample scontati – che accontentano ed esaltano un po’ tutti. L’obiettivo di evocare lo spirito auspicato dal Pulse Festival è raggiunto.
C’è meno da dire, purtroppo, riguardo ad Andy Stott, anche lui reduce da alcune puntate italiane in festival come il Club To Club, al quale ha regalato un fantastico show. Si era già notato su disco un forte cambio di registro sonoro, perché il nuovo ha fatto dimenticare quei tratti distintivi che era riuscito a crearsi nel momento in cui Andy era spiccato dalla massa. Quindi, dal vivo, chi si aspettava di ascoltare Passed Me By è rimasto deluso. Vale lo stesso discorso fatto per Silent Servant o Jon Hopkins, i quali, mentre cercavano di adeguarsi a locali atti più al ballo e meno all’ascolto, hanno dimenticato quei timbri apprezzati e conosciuti dai fan (gli stessi che li hanno fatti radicare nella musica contemporanea), in favore di toni più piatti e, in un certo senso, commerciali, soprattutto dal vivo. Andy Stott non è da meno, comincia con un ambient etereo mentre i Demdike Stare smontano il loro set, ma presto diviene facile confonderlo con qualsiasi altro DJ techno: la continua e floscia cassa dritta non ipnotizza nessuno, sembra sia un’altra persona a suonare, persino i video sono orientati verso un ambiente più disco… non che sia un male, però… Ritmi non conformi a ciò che si sperava, troppo rigidi e troppo sintetici, manca del tutto quel velo leggero che ingabbiava le sue tracce. Ulteriori problemi tecnici audio aggravano la situazione e rimane un po’ di amaro in bocca per una serata riuscita a metà, alla quale in ogni caso valeva la pena esserci, questo grazie ai Demdike Stare.