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DEMONE E FANTASMA (a Cristina, 1973 – 2002) – di Iannozzi Giuseppe e segnalazione “Angeli caduti” (Cicorivolta edizioni)

Creato il 17 gennaio 2014 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

DEMONE E FANTASMA

di Iannozzi Giuseppe

Ghost by Chatterly

Ghost by Chatterly

Ghost è opera di Valeria Chatterly Rosenkreutz


Angeli Caduti - Beppe Iannozzi - Cicorivolta edizioni
Angeli caduti
Beppe Iannozzi
Cicorivolta edizioni
ISBN 978-88- 97424-56-7
pagine: 230
© 2012
prezzo: € 13,00

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la rassegna stampa completa qui


a Cristina, 1973 – 2002

Come,
come posso andare avanti
ora che m’
hai lasciato di te la
sabbia del tempo fra le
mani?

Un fantasma la tua
voce da qui all’
infinito conchiuso in altro
infinito. Ma si
passeggia ancora la
spiaggia che
accolse le
impronte dei nostri
passi
affogati nella
sabbia. E’ solo che
tu non ci
sei
più.

Gentile Demone, che
Invocasti la mia
Ombra,
dove ora il
battito del tuo
nascoso cuore?

Mi perdo nella
fiamma d’un
ricordo che
risale le scabre pareti dell’
anima mia per
trovarmi in quel
passato che
fece di noi
alba e tramonto
abbracciati.

La morta passione m’
insiste che
il passato è passato, che i
fantasmi non m’
appartengono; eppure
c’è un
discorso insoluto che
dovremmo spiegare all’
Eternità che
promettemmo a
noi stessi, sfidando degl’
astri l’
immutato loro percorso.

Come,
come posso tornare indietro
ora che m’
hai lasciato di te la
solitudine della
solitudine divinata
- indemoniata – nel
sapore della tua
bocca?

Mi trovo in un
dove che
non ha pareti di
spazio o di tempo e
penso a
te che
amasti legarmi le mani,
leggendo la linea della mia
vita fiorita nel tuo sorriso.

Ti desti al buio con un quasi
uguale sorriso, mentre la
vita ti fuggiva dalle mani
soffocate nella mia
impotenza di
reggerti al mio
fianco.

Passeggio le ombre nel ricordo che
è svanito in se stesso; eppure
resiste quando
raccolgo una manciata di sabbia per
lasciarla libera di
precipitarsi nel
suicidio che da
sempre orizzonte insegue altro orizzonte.

L’alba mi confonde nel tramonto quando
scavo le parole del tuo epitaffio,
strappando al cielo un
rabbioso brano di quell’Eternità che ci
promettemmo; e non
sa morire, ma tosto si
cangia in
un bacio di finito niente.

Ed allora perché non un
sintomo di pace nell’anima mia che
è piaga?

Mormora il vento che mai si
finisce di sanguinare nella linea che
corre dalla mano al tramonto.
Assicura la sabbia riposata con
scherno di risacca, mentre
montano le onde la bellezza di Ganimede, che il
sole mai smette di riscaldare la
terra sepolta nella mortalità dei
cadaveri amati alla follia.

Gentile Demone, che
Invocasti la mia
Ombra,
so ora dove il
battito del tuo
nascoso cuore.

Mi allontano porgendo le spalle
alle confusioni che il mare produce.
Mi stempero nei colori dell’alba,
del tramonto,
offrendo loro facile bersaglio
da pugnalare a sangue.
Ma solo,
da solo,
cado in ginocchio
rattenendo le lagrime,
perché il mare ha più sale
che non il battito
del mio sincopato cuore;
e tu mi sei davanti e taci e stormisci il vuoto
nella mia testa con diafana carezza
che non posso mordere fra i denti,
nella bocca.

E
trovo me
Demone non meno di te.

E non
ho più occhi per
penetrare l’Infinito o l’Eternità o un loro
brano, uno
solo.

E non
ho più bocca per
baciare altre bocche d’amore.

Ma
ho ancora la mano e la linea della vita, la
promessa che sanguinerò ancora
fiero come il Demone che
ho amato.

Un’altra alba e lo stesso tramonto di
sempre per
farmi dono d’un battito, d’un
cuore che è morto.

Così ti condivido in me,
divinata indemoniata solitudine.

Così posso andare avanti
scavando il vano significato d’un
epitaffio
che è tuo quanto mio.


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