Il mio percorso di redenzione nei confronti del cinema orientale prosegue.
E lo fa con un altro gran film giapponese che nel 2008 vinse l'Oscar come miglior film straniero.
Poetico ed elegante, Departures riesce a mostrare quello che non si vuole vedere, la morte e il morto, argomenti spesso tabù non solo per la cultura orientale ma anche per il cinema in genere. Raccontare con delicatezza il passaggio e il viaggio, l'ultimo, che si deve compiere non è semplice ma il regista Yōjirō Takita riesce grazie ad un protagonista aggraziato e a movimenti di macchina mai morbosi e insistenti a rendere questo passaggio e questo ultimo viaggio qualcosa di sublime, di bello.
Il tutto è reso possibile grazie a Daigo, giovane che capisce, con amarezza, di non avere il talento necessario per perseguire il suo sogno di diventare un famoso violoncellista e fa ritorno assieme alla moglie nel paesino d'origine. Orfano di madre e abbandonato dal padre ancora piccolo, Daigo trova lavoro per caso e per un malinteso nell'agenzia di Shōei Sasaki che si occupa di preparare attraverso un rito tradizionale, i defunti al funerale. Dopo l'iniziale diffidenza e paura, seguiti dagli scontri con una moglie e una società che taccia questo lavoro come qualcosa di degradante, Daigo avrà modo non solo di affrontare le sue paure e i suoi limiti, ma anche di percorrere una ricerca interiore della pace con se stesso, con i propri sogni e soprattutto con il traumatico rapporto con il padre.
Così facendo, lo spettatore stesso si rapporta con la morte in modo diverso, scoprendo l'eleganza e la poesia insiti in gesti semplici ma necessari, e scoprendo assieme a chi accompagna Daigo la bellezza eterna che proprio nella morte si può scoprire.
Departures è un film semplice, che si avvale dei movimenti dei protagonisti per ricreare un'atmosfera dimenticata, e da riscoprire in cui non mancano scene comiche e che fanno sorridere. I ritmi sono quelli lenti e silenziosi tipici dell'oriente, ma la trama ha quel sapore universale di ricerca che non può che affascinare grazie anche a delle musiche (perlopiù di violoncello) altrettanto incantevoli.
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