Se l’universo avesse un suono, che rumore farebbe? È la domanda che sei portato a farti ascoltando Planetario, il particolarissimo album che i Deproducers hanno eseguito nel loro spettacolo al Teatro Dal Verme di Milano. Stiamo parlando di un “supergruppo” di musicisti-produttori, voluto da Vittorio Cosma (tastierista che ha collaborato, fra gli altri, con PFM ed Elio e le Storie Tese), che ha unito attorno a sé Gianni Maroccolo (storico bassista di Litfiba, CCCP, CSI, PGR), Max Casacci (chitarrista e paroliere dei Subsonica) e Riccardo Sinigallia (ex Tiromancino). Pensavamo che la risposta al nostro quesito iniziale l’avessero data i Depeche Mode con il loro Sounds of the Universe. Invece il progetto dei Deproducers, da loro stessi definito “musica per conferenze spaziali”, ci ha costretti a rivedere tutto. Al collettivo di musicisti e produttori si è aggiunto infatti Fabio Peri, astrofisico che dirige il Planetario di Milano, e che per lavoro fa quotidianamente ciò che è stato chiamato a fare anche nel disco e nel live con i Deproducers: spiega in maniera chiara e ricca di dettagli cosa succede al di sopra delle nostre teste e ancora più in alto e più lontano. Ed è stato molto interessante ascoltare ciò che Max Casacci ci ha raccontato di questa sua nuova esperienza.
I brani di Planetario si possono effettivamente chiamare “canzoni”, visto che, quando non sono brani strumentali, il testo è composto da informazioni scientifiche?
«Il brano dei Deproducers ha una forma di voce narrante, anche se noi abbiamo cercato per quanto possibile di renderlo diverso da tutto ciò che è narrazione, audiolibro, recitazione… perché comunque il fatto che ci sia qualcuno che sta raccontando qualcosa predispone a un ascolto più attento».
Quale di questi atteggiamenti, secondo te, ha più a che fare con l’obiettivo Deproducers: avvicinare il pubblico all’astrofisica tramite la musica, o avvicinarlo a una musica così originalmente mescolata alla scienza?
«Probabilmente l’obiettivo principale è trasportarlo da qualche altra parte: un essere condotti con delle coordinate che non sono esclusiva solo dell’entertainment come “divertimento, intrattenimento”. È semplicemente un cercare di arricchire con informazioni. Ma in questo direi che non siamo didascalici o divulgativi: qui la chiave è suggestionare. Dopo questa prima esperienza Planetario, in realtà il progetto si può aprire a diverse discipline, diverse scienze. Il rapporto con le schiaccianti proporzioni, distanze, misure del cosmo, è una cosa che relativizza moltissimo e spinge a pensare in un modo diverso, probabilmente anche a pensare in un modo migliore. Tentiamo di coniugare una stimolazione emotiva, però tenendo l’ancoraggio sul cognitivo, sull’informazione, sul dato. E uno dei risultati è quello di trasportare qualcuno in un altrove. L’esperienza Deproducers si avvale sul palco di una componente visiva molto curata: il lavoro combinato di Peter Bottazzi (scenografo di Peter Greenaway) per le scenografie e del bravissimo Marino Capitanio per i video proiettati».
Infatti tu e gli altri musicisti siete parte integrante anche dello spettacolo visivo: siete inseriti in spazi poligonali e quasi diventate anche voi delle stelle, dei pianeti, su un piano inclinato. Si può dire che quindi voi Deproducers diventiate anche fruitori di questo spettacolo, oltre che creatori in quanto autori della parte musicale?
«Addirittura noi ci divertiamo moltissimo mentre non suoniamo: ascoltiamo sempre molto attentamente la parte puramente testuale (le spiegazioni di Fabio Peri, NdR) perché lo spettacolo si compone di musica e narrazione insieme, con parti assolutamente scientifico-narrative che ascoltiamo con molto interesse, quindi siamo fruitori anche noi».
Vittorio Cosma ha affermato che essendo tutti voi artisti, produttori, creativi, avete potuto fornire molti spunti e idee su quali sarebbero stati gli argomenti da affrontare come Deproducers. C’è un pezzo del disco a cui sei particolarmente legato, qualcosa che sei particolarmente fiero di aver contribuito a creare?
«L’attenzione era essenzialmente sulla musica. Sui testi mi dispiace che non sia stata inserita una frase che avevo trovato incredibile, in cui Peri ci spiegava perché le pulsar pulsano, appunto: emettono delle onde radio. La conseguenza non l’ho ancora ben capita, però di fatto una pulsar è una stella che pesa come un sole ed è grande quanto Milano: su questi rapporti nella quotidianità del cosmo, io avrei voluto fare un brano, ma l’idea non è rientrata nel disco. Però per esempio io ho suggerito la cover, che già Riccardo Sinigallia faceva, di Figli delle stelle. L’ho trovata meravigliosa e ho proposto questa forma per cui farla insieme, con l’accostamento scientifico del perché tecnicamente noi siamo figli delle stelle. Come se ci fosse un rapper intergalattico che entra in contrappunto su un melodista. Creare quindi la stessa cosa, raccontata ironicamente e poeticamente, in modo scientifico».
Pensi che da questa tua esperienza porterai qualcosa nei Subsonica o in altri progetti a cui stai lavorando? Intendo a livello di immaginario, ispirazione, modo di creare e lavorare interagendo con altri musicisti.
«Ogni esperienza parallela arricchisce sicuramente, anche perché ci si mette a confronto con altre dinamiche di gruppo: se ne dovrebbe teoricamente tornare tutti più maturi. Per quanto riguarda la parte del’ispirazione, in realtà ci sono alcune frasi di Fabio Peri che mi sono già appuntato in un taccuino e che, se non verranno usate per i Deproducers, io prendo e me le porto direttamente a casa! (ride NdR)».
Nel corso del live dei Deproducers pensi di aver trovato risposta alla domanda che ti eri posto all’inizio: perché il gruppo suona nel corso della “conferenza spaziale” di Fabio Peri, e ti sembra che tutto non possa essere che così. Il sold out del Teatro Dal Verme di Milano è rappresentato da ogni fascia anagrafica, dai sei anni ai settanta e più. Un interessante esperimento di divulgazione dei fondamenti della scienza astrofisica per avvicinare bambini e ragazzi all’argomento. Dopotutto, in questo contesto, Peri fa il suo lavoro di sempre, ma con l’aggiunta della musica. Il far ascoltare quella che “potrebbe” essere la colonna sonora dell’universo («Il Big Bang è un suono», ha affermato Peri) può rendere meno ostica e lontana la materia. Stasera merita una menzione d’onore Maroccolo, che si è sdoppiato dopo le due date suonate all’Alcatraz ieri e l’altro ieri nella storica reunion dei Litfiba sulla “Trilogia del potere”. «L’universo, nei primi istanti di vita, era composto solo da due elementi: idrogeno ed elio, gli atomi che compongono le stelle. Sono loro che hanno generato tutti gli altri elementi, noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle. Ecco perché ci attraggono». Con questa intro ha inizio lo spettacolo: i quattro musicisti, assieme al batterista Dodo NKishi dei Mouse on Mars, sono quasi totalmente al buio nei pertugi ricavati nel grande piano inclinato che li ospita, dando per ora visibilità solo alle stelle proiettate: il piano inclinato è parte della superficie su cui sono proiettate immagini fornite dall’Agenzia Spaziale Europea. Arriva poi Peri, che con l’entusiasmo e il conservato stupore di un bambino ci coinvolge usando la grandezza della Terra come unità di misura per capire la grandezza delle stelle, portandoci a concludere che la Terra è troppo poca cosa nel cosmo. Allora meglio usare come unità di misura la velocità della luce.
Parte così il bellissimo brano Travelling, con un eccellente video che mostra lo spazio interstellare che un raggio di luce impiega ad attraversare per raggiungere tutto il resto che c’è, partendo dalla Terra. Non puoi fare a meno di gustare appieno la visione di Maroccolo che si sta palesemente godendo la performance, mentre Casacci regala intensità al crescendo finale. In questo spettacolo di musica e astrofisica, l’una offre suggestioni all’altra ed è sorprendente come la prima riesca a rendere quasi poetico un argomento come la velocità della luce. È un’intuizione, o una constatazione, assolutamente affascinante. Forse neanche così ovvia e scontata, magari perché l’astrofisica è materia generalmente lontana dalle frequentazioni della “massa”. Le immagini si sposano perfettamente con quello che Peri spiega nel brano, aprendo delle particolari porte della percezione: e dire ciò a proposito non di un viaggio lisergico, ma di immagini della NASA suona quasi spiazzante. E fra brani come Costellazioni, la sincopata Arecibo – C’è qualcuno? e avvincenti dialoghi fra tastiere e chitarra in riverbero, Peri incanta la platea fra un’accessibile spiegazione della nascita di una stella e la rivelazione che la materia oscura, del tutto ignota agli scienziati, rappresenta la stragrande maggioranza della materia esistente nel cosmo. Ottima Home, in cui sulla base ipnotica di Maroccolo il gruppo intesse una tela che avviluppa in crescendo fra immagini di allunaggio e di shuttle. Si crea un bel momento di intensità quando Sinigallia esegue la cover Figli delle stelle: una versione delicata, ben cantata che ricorda i suoi vecchi tempi da Tiromancino. Peri conclude la sua acclamata performance ricordandoci che tutti questi viaggi e ricerche compiuti dall’uomo sono forse stati fatti per realizzare qualcosa che abbiamo già. Quello che invece non avevamo già era un progetto come questo, costituito da professionisti che hanno apportato tutta la loro maestria per offrire un nuovo approccio alla conoscenza, con cui uscire a riveder le stelle.
Fotografie di Lorenza Daverio