La delusione è uno stato emotivo dal quale tento sempre di rifuggire, malgrado una certa ammirazione per quella sfavillante cantata di Haendel Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, che non a caso nella loro marcia gloriosa vanno insieme come se il passare dei giorni recasse con sé ineluttabilmente insoddisfazione, sconforto, frustrazione: “ma se i colpi sono ascosi, chiari sono poi gli insulti”, canta il Disinganno alle vittime del Tempo. Il fatto è che mi piace la speranza, mi si addice l’utopia, amo la fantasia visionaria, ma la ragione mi insegna a sottrarmi all’illusione, che porta con sé la minaccia fatale e implacabile dell’inganno, dell’abbaglio, insieme alla crudele resa alla realtà non sorprendente e non inattesa.
Anche se come al solito sto sul carro dei perdenti, per appartenenza morale e geografica e insieme al popolo greco, almeno non soffro per la delusione infertami da Tsipras, non essendomi mai illusa su di lui né tantomeno sulla lista nostrana di appoggio, lui e loro dichiaratamente ancora perfettamente funzionali e integrati al disegno europeo, lui e loro sì, vittime della grande illusione di una visione elitaria e aristocratica, dell’ipotesi ingenua che dentro l’euro possa esserci democrazia, che l’austerità sia uno strumento fallito e un incidente cui si può porre rimedio e non un pervicace disegno di dissoluzione del lavoro dello stato sociale, dei diritti.
Così non faccio parte della platea dei orfani e vedove del premier greco come non facevo parte prima dei suoi fan, quelli dell’impari lotta tra Davide e Golia, dei tifosi di Tripras contro Merkel, nemmeno fosse una partita dei Mondiali. Mentre invece sono stata un’ammiratrice sfegatata del popolo greco, con quel tanto di invidia che colpisce chi senza colpa patisce per il solo fatto di essere italiana, indifferenza, colpevole sopportazione di umiliazioni e ricatti, assoggettamento come corollario dell’egemonia della necessità, impotenza a immaginare che si possa avere una realtà altra da vivere, uniti alla consapevolezza che quello che stiamo vivendo è un golpe dal quale non ci salveranno i marziani come direbbe Slavoj Zizek, né la consegna totale all’imperialismo finanziario, né il riformismo di Renzi, ma soltanto unicamente noi, se solo vogliamo, se cominciamo a dire di no, se lo usiamo anche noi il referendum cotro la buona scuola, la cattiva legge elettorale, il perverso Jobs Act.
È che a orfani e vedove di Tsipras, quelli che vorrebbero un po’ di sinistra, ma addomesticata, moderna, scapigliata, senza cravatta, però temperata dall’adeguamento ragionevole alle regole della governabilità regionale, che emblematicamente va in moto ma senza casco, adesso non resta che popolare la curva sud del derby – perduto – tra Germania e Grecia.
Come se ci fosse una origine antropologica del duello tra quelli alti, biondi, cocciuti, spietati e quelli bruni, tracagnotti, indolenti e un po’ peracottari. Che i bassetti, pelosi, pigri e provinciali debbano aspirare a stare nell’eurozona, per essere all’altezza di quelli bravi, tenaci, onesti e lavoratori, per essere tollerati malgrado vivano in propaggini africane e convivano con un terzo mondo interno del quale fanno parte molti indigeni. E che in ragione di ciò il loro destino sia cedere alle intimidazioni e ai ricatti, essere puniti per qualche colpo di testa democratico, subire la pena comminata a scopo pedagogico, in modo che ad altri non venga in mente di rialzare la testa, di dire di no.
No, non c’è un complotto tedesco contro Grecia, mia faza mia raza, contro la più accomodante Italia, sia pure in affidamento al più codardo e citrullo dei kapò. Non c’è speranza di insegnare il bon ton ai Terminetor che decidono per noi, anche se ne fanno parte paesi e popoli che oggi si muovono come pugili suonati perché aver piegato la Grecia è un ammonimento anche per loro, che pagheranno prima o poi il conto di strategie adottate contro la politica, contro le sovranità, contro le democrazie, quando collassi sistemici faranno crollare i potentati dei troppo grandi gruppi bancari, quando il proliferare di prodotti finanziari immateriali si rivolterà contro i paesi avanzati, quando le persone, non più lavoratori, non più cittadini, nemmeno più consumatori, diventeranno come cavie impazzite che non vogliono più arrampicarsi sulle scalette con le quali hanno attrezzato le loro gabbie, fatte di mutui, tasse, sanzioni, multe.
Non potremo dire che non lo sapevamo, non potremo dire che siamo sorpresi, perché è già accaduto che un paese venga piegato attraverso lo smantellamento tramite privatizzazione dei sistemi di protezione sociale, dirottando verso le banche i loro colossali bilanci, che venga espropriato dei suoi beni comuni, patrimonio immobiliare, territorio, risorse, che siano colpiti i suoi cittadini più provati, mentre vengono risparmiate rendite, redditi di azionariati rapaci, che il suo popolo e i suoi pronunciamenti vengano smentiti, oltraggiati, derisi. È successo, sta succedendo, è già successo anche a noi. Non mi illudo, spero, invece, sogno, desidero che sia possibile il coraggio di costruirci un’arca anche se il diluvio è già cominciato.