Deregulation dell’apocalisse

Creato il 26 maggio 2011 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ha ragione Simplicissimus, riconoscere i nostri limiti “umani” nella previsione di un pericolo non può significare escluderlo. E che quando si parla di previsione, non in astrologia o pensando a Bendandi, ma mediante un approccio scientifico, si ipotizza che un certo evento si verificherà in un determinato luogo, in un determinato istante e con certe caratteristiche. I terremoti non si possono prevedere. Questo però non significa che non vi sia alcun criterio di probabilità dell’altissimo rischio di una manifestazione “estrema”, nel corso di un evento sismico della durata di molti mesi e con 400 scosse, alcune delle quali forti.
Ma la Commissione Grandi Rischi ha emesso allora la sua sentenza come l’ha emessa per le profezie di qualche imbecille a proposito di un sisma distruttivo della città eterna l’11 maggio: i terremoti non si possono prevedere.
Liquidando così insieme alle predizioni e agli oracoli anche la prevenzione e la precauzione.
Ma si sa che questa aurea leggerezza è un tratto distintivo di una certa gaia scienza, più incline a mettersi al servizio di interessi non sempre altrettanto delicati, che a offrire margini di “sicurezza” ai cittadini.
Si tratta di un uso del criterio di imprevedibilità che funziona a corrente alternata. I terremoti non si prevedono e pare nemmeno i loro effetti ad esempio su una casa dello studente già lesionata. Ma invece ricadute, reazioni e contraccolpi del nucleare sarebbero immaginabili e presumibili, anzi non ci sono affatto.
E così quasi tutto può diventare opinabile: i disastri sono naturali, le catastrofi rientrano nelle statistiche e tutti abbiamo diritto a mezzo pollo e mezza apocalisse, la misurazione dell’impatto ambientale di una grande opera e la previsione del rischio industriale sono fastidiosi laccioli che hanno costretto tanti amici della Marcegaglia ad andare a internazionalizzare dove per fortuna vige libertà di impresa e di inquinamento.
Ma tutto questo non è casuale, dobbiamo ricordarcelo. Enti locali hanno permesso insediamenti abitativo in deroga alle leggi urbanistiche accanto a industria killer, si sono susseguiti condoni a pioggia in terreni che devono temere la pioggia invece per condizioni di irreversibile dissesto idrogeologico. Si chiude bonariamente un occhio su quartieri abusivi che affacciano sul rutilante panorama del Vesuvio o dell’Etna, perché il governo del premier che vuole fermare le ruspe col suo petto foderato da Caraceni, ama il rischio se lo corre qualcun altro, predilige la vita spericolata ma nei contesti erotici e soprattutto vuole diffondere come un contagio nazionale l’illegalità.
Un’illegalità diffusa fatta di appalti poco trasparenti, materiali scadenti, perizie incompetenti o opache; una corruzione dilagante applicata all’inazione o alla copertura di operazioni illecite o insicure; un’approssimazione destinata a stendere un velo impietoso su sfregi alla bellezza e al paesaggio; una gestione economica a pelle di zigrino tirata da una parte per premiare il malaffare e inadeguata dall’altra per dare le più elementari garanzie di tutela della salute e dell’ambiente.
A loro non interessano i beni comuni, salvo quando vogliono farli propri. E quindi nemmeno le nostre vite, salvo quando decidono di ridurci in servitù togliendoci diritti, dignità, conquista, lavoro, futuro. È la catastrofe che loro impersonano era prevedibile, era evitabile. È tardi ma fermiamoli.