Deriva #13 Perché Tuitter non è solo Deriva

Da Bibolotty
È vero, durante questo 2012 sono stata feroce. Non che nel 2011 fossi pervasa dalla dolcezza ma non mi occupavo ancora di analisi comportamentale dell’anonimo italiano medio lasciato libero sui social media. Non vogliatemene, il fatto è che la severità la uso prima di tutto con me stessa. Me l’ha insegnato la lunga esperienza in compagnia di giro, dove le gerarchie e la buona educazione s’imparano prima della dizione e poi la vita, che mi ha mostrato quanto il pressapochismo faccia male più a noi che agli altri e che una frase non pensata, troppo spesso ferisce.
Ma Twitter non è solo #deriva e questo è un piccolo dono ad alcuni compagni di questo micro/macro universo digitale, quelli che sono stati in grado di leggere tra le righe e al di là della mia proverbiale ferocia e hanno sentito il mio cuore da atleta battere troppo velocemente di fronte alle fragilità umane. Esattamente come il loro. Perché quando scrivo “derive” osservo prima me stessa, e se non l’avete capito, non è più un problema mio. Forse, di tanto in tanto ci si deve togliere dal centro della foto e lasciare a ciò che guardiamo l’ultima parola. E questo, come sempre, è solo un consiglio.
Inutile ripeterci ciò che tuitter è: lo specchio della realtà, la trasfigurazione del reale, lo sfogatoio del dissenso sociale, un organo d’informazione, la medicina contro la solitudine infame. Tuitter è come sempre il nostro punto di vista e la nostra personalissima “finestra sul cortile” da cui osservare chi va, chi resta e chi torna.
Più di una volta ho affermato che il monitor non è più in grado di arginare la nostra capacità di percepire ciò che in effetti c’è oltre. Perché la frase a effetto ci suona stonata anche se non ce ne rendiamo subito conto, così come il tentativo di piacere attraverso le parole, e a tutti i costi, così diverso dal comunicare con urgenza per condividere una scoperta o uno stato d’animo non sempre originale. L’esibizione di sé è evidente come la plastica facciale e il botulino, e sensualità o intelligenza non sono materie prime che si vendono al mercato, né si possono riprodurre e scimmiottare. Ma ripeto ancora una volta, e per i duri d’orecchi, che è solo un misero punto di vista.
I talenti oggi sembrano dover rientrare necessariamente nell’ambito delle arti. Pare che se non sei artista o creativo non vali più niente e sei meno di zero. Eppure, ci vuole tanto talento anche a far crescere verdure in un orto o a rappezzare un maglione di cachemire: non tutti dobbiamo nascere per forza poeti, e quando capita può essere anche solo una disgrazia. Per far ridere gli altri bisogna essere in grado di prendere in giro prima di tutto di se stessi, di fare i buffoni e mettersi un paio di mutandoni in testa, non basta saper usare la sintassi. E tra tanti che vorrebbero essere mare e cielo senza riuscirci, ci sono quelli che si credono sassi e sono invece secolari e frondose querce.
Anche qui le “storie” non sono eterne.
Ci sono persone con le quali su FB ho mantenuto un contatto quotidiano per molti mesi e che adesso non leggo più e con le quali non ci siamo nemmeno scambiati gli auguri di Natale. Finiscono i matrimoni, figurarsi le relazioni digitali.
Su twitter ho avuto alcune folgorazioni, personalità degne di nota visibili come perle sul fondo dell’oceano. Ho conosciuto la PIC di un cane pastore che guarda altrove e chissà cosa e che scrive tuit dolciamari, originali e taglienti, sensati e algidi, tenerissimi. Che raccoglie foto di bestioline solitarie, una tizia che immagino passeggiare con la sua cagna fedele in cerca di derive del cuore e che da qui mi viene voglia di abbracciare. Rituitto spesso una donna sarda dagli occhi dolcissimi e dall’espressione leale, una che vedrei bene in un salotto inglese con tombolo alla mano –perché si deve fare- e lo sguardo al libro sempre aperto sul comodino. Immagino per lei una voce pastosa ma cauta, quasi che le parole le si fossero consumate nella testa prima di venir pronunciate. Da lei mai un tuit inutile, mai una deriva ma solo una scoperta quotidiana di buongusto e buona educazione.
Una Punk dal doppio nome e cognome. Una che mai e poi mai “te la manderà a dire”, mamma sexissima e lavoratrice, cuoca provetta dall’animo ragazzino, un fuoco artificiale color oro di quelli che si aprono a scoppio ritardato e che scoprono un cuore paffuto color terra di Siena.
C’è la PIC del cuore che porta nel mio mondo virtuale e distratto politica e buon senso, la mia rassegna stampa mattutina, giudizi cauti e mai scontati, mai nella mischia e per me necessaria. C’è Paola senza testa e in costume e ora di spalle e in bianco e nero. Lei osserva e scrive tuit pieni di umor nero, in equilibrio sul confine tra ironia e sarcasmo unisce la forma essenziale a un contenuto che va ben oltre i centoquaranta caratteri di rito.
Anche la bionda con i capelli al vento che immagino passeggiare sul panfilo di Onassis con un codazzo di cagnolini vestiti da marinaretti è tra le mie preferite: dolce, fragile e densa di qualità femminili. E di velata tristezza.
C’è l’inimitabile tuitstalker di case editrici, l’unico in grado di domandare ogni giorno alla tuitstar di turno “come stai?” e di non farsi mandare a quel paese. Lo immagino in uno studio polveroso e pieno di libri viaggiare di fantasia e con il cuore un po’ in panne. Ebbro di tante storie da leggere e osservare.
E come non follouare e rituittare la gatta nera che tratta i suoi padroni come schiavi. Grassa, passa le sue giornate a far ginnastica tra poltrona e divano. Impossibile ignorare il dottore delle nevrosi umane, che tuitta Guccini e ha gli #FF più significativi per ognuno, sempre personali, sempre veri, mai a caso. C’è il tizio che nella PIC ride di gusto tenendosi la testa tra le mani e sembra dire ogni volta: ma che state dicendo, che fate ancora qui a digitare e leggere cazzate anziché uscire a passeggiare.
Ho scoperto uno scrittore che ha veramente tanto da dire e sa bene anche come fare, che buca il monitor e batte direttamente al cuore.
C’è la napoletana che fa spallucce al mondo e posta foto delle sue scarpe nuove e della stanza da letto sul mare, che ruggisce il suo amore e tutta la sua gioia di vivere, a volte, di rado, un più autentico dolore. C'è infine l’uomo in cravatta che spara freddure.
Perché tuitter non è solo deriva.
È giornalismo intelligente, è controinformazione e informazione contro, ci sono caratteri, personaggi a tratti grotteschi e pieni di poesia che si muovono davanti a un siparietto di cartone tra le magiche quinte di una realtà virtuale necessaria a “essere” al di là del marketing delle multinazionali, indispensabile a urlare da qui, dal basso, da questo inferno dell’omologazione che noi no, noi non ci stiamo alle loro leggi di mercato e continuiamo a pensare.
E potrei continuare ancora per molti caratteri e per molte ore.
Ma ciò che è prezioso normalmente è unico, è nel suo essere sporadico che il gesto d’amore ha il suo perché, è nella privazione che si prova il gusto di riavere, ciò che è ben celato si vuole a ogni costo vedere. È che nel 2013 volevo infilare per primo il mio trentacinque calzato da una scarpetta di raso rosso vivo anziché dal solito pesante anfibio. Felice anno nuovo a tutti, neofiti e non, incapaci e abili seduttori, amici veri e falsi e cattive compagnie –quelle che preferisco, sia ben chiaro una volta per tutte.

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