Città del Messico, per quanto riguarda la delinquenza, non si può definire una città tranquilla. Alcune famiglie che ho conosciuto hanno ammesso di essersi trasferite ad Aguascalientes in cerca di sicurezza.
Per quanto mi riguarda, Città del Messico, è la metropoli per eccellenza. E' una città caotica ma affascinante, ricca di storia, cultura e mistero.
E' impressionante rendersi conto che in un centro di più di venti milioni di abitanti, si muove, nonostante molte contraddizioni, ordinato come un orologio (quasi).
Tonnellate di immondizia che quotidianamente vengono raccolte e smaltite, Megawatt di corrente elettrica che circola nelle arterie di metallo, migliaia di metri cubi d'acqua iniettati nella città e poi c'è la mobilità stradale, gli ospedali, le scuole, le attività economiche. E' una grande balera!
A me Città del Messico non fa paura, anzi mi incuriosisce, mi intriga. Quando ne ho l'opportunità, prendo l'autobus da Aguascalientes e vado alla sua scoperta.
In città mi sposto con la metropolitana che non è solo un mezzo di trasporto ma un universo sotterraneo piuttosto vivace, un formicaio variopinto nel quale alcune regole, valide in superficie, perdono significato.
Durante il fine settimana la situazione, di solito, non è male. Si trova posto a sedere e si può assistere alla sfilata di venditori di merce di dubbia qualità a prezzo fisso: dieci pesos. Oltre a costoro, si presentano fachiri a petto nudo che aprono un telo pieno di vetri rotti o di pezzi di metallo e ci si tuffano senza farsi troppo male o uomini malandati che raccontano le proprie sventure prima di porgere il cappello per una colletta.
Durante la settimana le cose cambiano un po', soprattutto durante l'ora di punta. Per prima cosa, a partire da una certa ora, si separano donne e bambini dagli uomini. Ciò per evitare che, nei vagoni affollati, si verifichino fenomeni di mano morta o di mani vive ed intraprendenti.
I vagoni sono affollati, si sale e si scende a spinte e a colpi di gomito.
Era un martedì quando salii in un vagone affollato assieme a degli amici.
Confesso che ebbi uno strano presentimento. Misi la mano nella tasca dei pantaloni e riconobbi la forma del portafoglio.
Ad un tratto una signora dall'aspetto gentile mi chiese: “E' sua questa penna?” Risposi di no. Notai che non aveva raccolto la penna dal pavimento, le era come comparsa nella mano.
Ci furono un paio di spinte e i passeggeri si riaccomodarono in nuove posizioni.
Misi la mano in tasca e il portafoglio era scomparso. Lo comunicai con delicatezza all'amico esperto di Città del Messico e lui ordinò di scendere alla prossima fermata.
Scendemmo. Per quanto mi frugassi le tasche, il portafoglio non riappariva. Che strano.
L'abilità del ladro purtroppo era stata mal ricompensata, si trattava di un bottino di trenta pesos (due euro) in contanti. Il danno per me era però più serio perché avrei dovuto rifarmi i documenti ovvero avrei compiuto minuetti per uffici e pagamenti in banca.
Fantasticavo ora di risalire in metropolitana con un portafoglio sporco di una polvere bianca con dentro un biglietto: “Cerca su wikipedia la parola antrace”.
Oppure un portafoglio pulito contenente un cuore di pollo trafitto da uno spillo e un biglietto con simboli magici e un messaggio: “Hai tre giorni per ritrovarmi altrimenti ti cadranno tutti i denti.”
Oppure un portafoglio dal quale spuntassero lamette da barba o una trappola per topi o un dispositivo capace di trasmettere forti scosse elettriche.
Mentre pensavo a queste atrocità, l'amico esponeva i fatti ad un poliziotto che pareva non prendere molto a cuore la mia situazione. Ci disse di andare a fare denuncia.
Andammo alla centrale di polizia vicino al nostro hotel e lì ci dissero di andare a quella del quartiere dove si erano svolti i fatti. Prendemmo un taxi e il tassista mise su “l'Italiano” di Toto Cutugno e mi ripeteva allegro muovendo la mano con le dita chiuse: “Pavarotti, lasagna, pasta alla puttanesca.” Ciò non aiutava a sollevarmi il morale.
Nella centrale c'erano parecchi poliziotti che chiacchieravano fra loro, sembrava di essere a scuola durante la ricreazione. Il poliziotto ci invitò ad esporre il nostro caso fuori sul marciapiede perché dentro c'era troppa confusione.
Ci disse che il posto era quello giusto ma, siccome si trattava di un delitto avvenuto in metropolitana, dovevamo cambiare d'ufficio. Attraversammo alcuni quartieri malfamati con i barboni rovesciati sul marciapiede fra bottiglie vuote, che ci lasciavano pigri sguardi di curiosità.
Alla centrale specializzata in delitti del metro ci dissero che eravamo nel posto sbagliato. Come nel posto sbagliato? Sì, lì si risolvevano i casi con arrestati. In altre parole, avrei dovuto portarmi dietro il ladro. No, non era proprio così, io avrei dovuto segnalare il sospettato ad un poliziotto e poi quest'ultimo ci avrebbe condotti là per i chiarimenti.
Non era però quello il mio caso. Sarei allora dovuto tornare in metropolitana alla fermata Hildalgo e cercare l'ufficio del pubblico ministero. Il furto era stato compiuto verso le tre ed ora erano le sette di sera.
Ero un po' stanco.
Andammo ad Hidalgo e cercammo l'ufficio.
Ci accolse una signora che ci guardò con sonnolento disprezzo. Quando gli raccontammo la storia, provò a obiettare ma a noi serviva solo una denuncia scritta per poter rifarmi i documenti. Alla fine si arrese e ci preparò il documento.
Il sole tramontava su Città del Messico. La vita sui marciapiedi era tuttavia frenetica. C'erano banchetti che vendevano marce di seconda mano, probabilmente sfilata con destrezza dalle tasche di sfortunati come me.
Pensavo al mio portafoglio abbandonato in un cestino, insieme ai documenti e agli scontrini, un pezzo della mia vita perduto per sempre.
Ma era solo un piccolo pezzo, sostituibile, così, dal giorno dopo, smisi di pensarci.