Aveva sbagliato a dare un calcio al cane della prateria. Ora Luz Dunn se ne rendeva conto, ma era da un pezzo che non vedeva esseri viventi e la bestiola l’aveva spaventata. Si era svegliata verso mezzogiorno da un bel sogno, decisa a metterlo in pratica: si sarebbe provata tutti i vestiti che c’erano in casa, sgargianti, uno piú costoso dell’altro. E chissà com’erano quelli che l’attricetta si era portata via. Nel sogno, Luz li indossava tutti insieme, il seno tempestato di gemme e cosparso di brillantini, scie di paillette dorate a ricamarle il sedere, piume di satin che le sventolavano sui fianchi, ai piedi veli di pallido tulle fluttuanti come zucchero filato. Naturalmente, nel monotono mondo reale le cose andavano indossate una per volta. L’importante era avere un progetto, diceva Ray, per quanto futile. I venti di Santa Ana soffiavano forte attraverso il canyon portando con sé il particolato velenoso e Ray le ripeteva di trovarsi qualcosa da fare. Non doveva dormire cosi tanto.
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In questo suo primo romanzo, Claire Vaye Watkins guarda avanti, al futuro dell’Occidente, e ciò che vede è sabbia, siccità, disillusione, dune implacabili che inghiottono intere città e poi rotolano via.
Un romanzo innovativo e allucinatorio scritto con una profonda comprensione della natura umana, nel bene e nel male. Affascinante come un miraggio, con grandi idee e scenari originali in cui si incontrano squatter, affaristi e saccheggiatori, rabdomanti e prigionieri. E tante storie da sogno, coinvolgenti e sorprendenti. Belle e inquietanti come un cimitero.
Claire Vaye Watkins, Deserto americano, traduzione di Massimo Ortelio, Bloom, Neri Pozza 2015.