Desistenza

Creato il 20 gennaio 2013 da Casarrubea

Bersani e la desistenza spiegata ai bambini

Le avevamo sentite tutte, ma questa è proprio una parola che in politica non avevamo sentito spesso. Perché nessuno, su questo terreno, ha mai ceduto, astenendosi dal fare, o delegando gli estranei a beneficiare della propria paralisi. Eppure oggi il termine è ricorrente perché Bersani l’ha tirato fuori come un coniglio da un bel cilindro da mago, dopo aver fatto il gioco delle tre carte e avere stabilito che quella giusta era proprio la sua, nell’accoppiata con Casini e con Monti. Naturalmente per il momento vige il principio che ogni partito vanta i suoi meriti e denigra gli altri. Ma nel dopo voto le cose cambiano. Come già ha anticipato Massimo D’Alema che, senza peli sulla lingua, nei giorni scorsi, ha detto che il Pd, con o senza maggioranza sua propria, dovrà comunque stabilire i necessari accordi con Monti. E meno male che l’ha detto, altrimenti non avremmo conosciuto mai un programma così risoluto per la stabilità del Paese.

 In realtà Bersani è come un grande giocatore di poker al tavolo dove stanno seduti tutti quelli che pensano di avere le carte vincenti. E tutti alzano il tiro pensando di essere i più furbi, di vincere per fare quello che hanno già stabilito: gli accordi sottobanco, le alleanze risolutive, i giochi d’azzardo o truccati. Ad esempio il Pd ha santificato per decenni Crisafulli in Sicilia, ma ora lo immola sull’altare della legalità e dell’etica politica, nella convinzione che questa tarda pulizia aumenti la credibilità del Pd agli occhi degli elettori. Sarà. Ma dov’era Bersani quando Cracolici e compani tramavano con Lombardo con il pretesto dell’autonomismo siculo? E adesso c’è maggiore trasparenza? Non un cenno di chiarezza sulle riforme a cominciare da quella elettorale e fiscale.

Desistenza è un termine negativo in tutti i sensi. Vorrei usare una definizione più pesante per chi la formula, specialmente in un momento così delicato come quello delle elezioni politiche. Lo Zingarelli ci dice che significa rinuncia, cessazione e che, applicata al piano politico, sta a significare “rinuncia, da parte di una forza politica, a presentare in un collegio uninominale un proprio candidato a favore di una forza politica alleata che abbia maggiore probabilità di vittoria”. Ma questo “patto di desistenza” nelle circostanze in cui è stato proposto da Bersani, è un vero e proprio atto di arroganza. Perché era da un bel pezzo che il rappresentante di Rivoluzione civile cercava di essere ascoltato dal segretario del Pd. Ma non aveva avuto successo. Bersani aveva risposto picche, aveva sottovalutato la richiesta e non si era neanche preso la briga, magari per un senso civico, di alzare la cornetta del telefono. Come a dire: aveva dimostrato di snobbare il suo potenziale alleato. Pensava che i suoi consensi fossero irrisori e che non valesse la pena aprire le porte al dialogo. Non si dialoga con l’inesistente. Calcolo sbagliato. Quando c’è una battaglia anche il gesto di un semplice soldato può essere utile alla vittoria. Ma questo Bersani l’ha capito in ritardo e non perché si è convinto di avere davanti un semplice combattente, ma perché ha visto che, a una certa distanza dalle sue, ci sono truppe che marciano nella direzione verso cui anch’egli si muove, ma più genuine, più decise, più disponibili a una battaglia per un cambiamento reale. Più autonome. Per cui la sua faccia è molto meno sicura di prima e la sua paura dell’incerto aumenta. Colpa di Ingroia che i più recenti sondaggi dànno al 5,4%, o colpa dell’arroganza di un generale di Corpo d’Armata che sul campo di battaglia ha voluto fare di testa sua? Avranno influito sulla sua scelta gli studi da lui compiuti, al tempo della laurea, su quel grande monaco contemplativo quale fu San Gregorio Magno? Forse. Del resto si sa. Il corso degli studi è molto formativo per il futuro delle persone.

Giuseppe Casarrubea


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