Destabilizzazione economica e libertà di circolazione dei capitali

Creato il 16 gennaio 2016 da Zeroconsensus

di Wolfgang Münchau

Propongo un pezzo di Wolfgang Münchau pubblicato sul Financial Times del 10 Gennaio 2016 dove si descrive la libertà di circolazione del capitale come fattore di squilibrio/destabilizazione economica per i paesi meno sviluppati finanziariamente soprattutto se associati da un vincolo di cambio fisso nei confronti di paesi più sviluppati. Un articolo che ben si coniuga con quanto scritto da Zeroconsensus sul modello di Harrod. Inutile dire che questa non è la verità, ma una sfaccettatura della verità. Ma una sfaccettatura davvero illuminante.

Quando Margaret Thatcher prese il potere in Gran Bretagna nel 1979, una delle sue prime decisioni come primo ministro fu di abolire i controlli sui movimenti di capitali. Era l’inizio di una nuova era e non solo per la Gran Bretagna. La libera circolazione dei capitali è diventata uno degli assiomi del capitalismo moderno globale. È anche una delle “quattro libertà” del mercato unico europeo (insieme al libero movimento di persone, merci e servizi).

Ora, potremmo chiederci se la rimozione dello strumento di controllo sui movimenti di capitali può aver contribuito ad una serie di crisi finanziarie. Per rispondere a questo, è istruttivo rivisitare un dibattito di tre decenni fa, quando molti in Europa investirono le loro speranze in una combinazione di liberi scambi, libera mobilità dei capitali, tasso di cambio fisso e politica monetaria indipendente — quattro politiche che il defunto economista italiano, Tommaso Padoa-Schioppa, definì un “Quartetto incoerente”.

Quello che voleva dire è che la loro contemporanea presenza è logicamente impossibile. Se la Gran Bretagna, per esempio, fissa il tasso di cambio con il marco tedesco, e se le merci e i capitali sono liberi di muoversi attraverso le frontiere, la Banca d’Inghilterra deve seguire le politiche della Bundesbank.

Nei primi anni ‘90, la Gran Bretagna mise alla prova questo quartetto, entrando a far parte del mercato unico europeo e agganciando la sua valuta alla Germania. Il gioco finì presto; dopo meno di due anni passati nello SME, la sterlina tornò a un regime di cambio fluttuante. Altri paesi europei presero un’altra strada, sacrificando l’indipendenza monetaria e creando una moneta comune. Entrambe le scelte erano internamente coerenti. Quello che è cambiato da allora è la crescente importanza della finanza internazionale. Molti mercati emergenti non hanno un’infrastruttura finanziaria propria sufficientemente forte. Aziende e privati contraggono quindi prestiti all’estero, denominati in euro o in dollari. L’America Latina si basa sulla finanza americana, mentre l’Ungheria si basa sulle banche austriache. Con la fine del quantitative easing negli Stati Uniti e il rialzo dei tassi, i soldi stanno scappando dai mercati emergenti basati sul dollaro.

In teoria, sarebbe compito della banca centrale mettere fine al caos conseguente, e la teoria economica standard suggerisce che sarebbe in grado di farlo seguendo una politica di controllo dell’inflazione interna. Ma se le gran parte dell’economia è finanziata in valuta straniera, il margine di manovra è limitato — come ha spiegato l’economista francese Hélène Rey.

Quando va tutto bene, rileva il professor Rey, i finanziamenti arrivano ai mercati emergenti dove alimentano la bolle speculative locali. Quando, anni dopo, la liquidità evapora e il denaro si rifugia nei porti sicuri di Nord America ed Europa, il paese viene destabilizzato. La Banca centrale può fare molto poco per regolare gli afflussi e i deflussi di denaro dall’estero.

A meno che non si accetti l’instabilità finanziaria come inevitabile, quindi, si potrebbe presto pensare di imporre controlli sui capitali di una varietà particolarmente tenace — del genere che fa capire agli investitori esteri che non si desiderano i loro soldi. Il punto è prevenire che il denaro affluisca in abbondanza nei bei tempi, ed evitare che scappi a gambe levate nei momenti difficili.

Questi discorsi non sono ancora “politicamente corretti” tra i responsabili politici. I banchieri centrali stanno invece propagandando il concetto noto come “limiti macroprudenziali”, una versione “light” dei controlli sui capitali. L’idea è di regolare gli incentivi: quando una bolla immobiliare si accumula, la Banca centrale impone alcuni limiti sui prestiti, ad esempio imponendo un valore massimo ai rapporti tra prestito e valore dell’investimento. Potrebbe anche chiedere al suo governo di aumentare le tasse di bollo o altre tasse di transazione. La Spagna ha provato queste misure nel corso degli anni pre-crisi. Non sono servite a prevenire l’accumulo di una delle più grandi bolle immobiliari della storia.

Azioni più drastiche, come lasciare l’eurozona o l’imporre controlli sui capitali, avrebbero potuto evitare il tracollo economico. La Spagna ha scartato queste possibilità, ma nel futuro prossimo qualcuno sceglierà di attuarle. Di sicuro la libera circolazione dei capitali non può essere sostenuta per una questione di principio, quando i costi economici sono così devastanti. I controlli sui movimenti di capitali erano comuni nel nostro passato pre-thatcheriano. E potrebbero tornare.

Fonte: vocidallestero.it