Destra, sinistra e la questione dell'ILVA di Taranto

Creato il 20 agosto 2012 da Veritaedemocrazia

E' possibile (è utile) leggere la questione dell'ILVA di Taranto secondo le logiche di destra e sinistra? La tutela della salute, il ritenere che un'attività economica non può produrre malattia e morte, che i funzionari pubblici e i politici debbano svolgere il proprio ruolo con disciplina e onore, indenni dalla tentazione di farsi corrompere, non sono valori di destra o di sinistra sono semplicemente valori umani, delle persone razionali, oneste, in buona fede, al di là e al di sopra di ogni visione ideologica. Il fatto che il PD e Vendola siano corresponsabili dello scempio di Taranto, anche per l'inerzia con cui l'hanno affrontato pur avendo la responsabilità del governo della Regione Puglia, non può essere interpretato come il fallimento della sinistra - equiparata alla destra nella subalternità alla religione del profitto, della produzione, del pil - ma significa semplicemente che quei partiti non hanno la capacità, per inettitudine o altro, di rappresentare i bisogni delle persone e l'ideale della sinistra del primato del bene comune. Piuttosto, proprio usando le categorie di destra e sinistra, non si deve ritenere che i casi dell'ILVA ma anche dell'eternit e della Thyssen, e si potrebbe estendere il ragionamento alla speculazione finanziaria e a Big Pharma, siano intimamente connessi e legati ad un sistema economico fondato sul dominio privato anziché sulla proprietà o almeno il controllo pubblico, democratico, partecipato, collettivo dei mezzi di produzione (cosa quest'ultima che non coincide con il capitalismo di stato di stampo sovietico o cinese o con le partecipazioni statali democristiane o dominate dalle cricche in epoca berlusconiana)? Esempi di crimini economici e finanziari che non sono le eccezioni e le distorsioni di un mercato utopicamente perfetto ma la regola di un sistema che consente a soggetti privati di raggiungere dimensioni enormi, talvolta più grandi degli Stati stessi, negando il presupposto stesso della democrazia fondata sul principio una testa-un voto.
Sta qui, nella titolarità del potere di muovere i fili del quanto produrre, come produrre, dove produrre, cosa redistribuire quale ineludibile strumento per raggiungere l'eguaglianza e la liberazione dal bisogno, la vera linea di demarcazione, a mio avviso, tra destra e sinistra e questo mi fornisce l'occasione per riflettere per l'ennesima volta sul perché la sinistra, ed evidentemente non mi riferisco con questo termine a Bersani e Vendola, non riesca più a rappresentare un'alternativa - credibile e condivisa largamente tra le masse popolari - a questo sistema. Mi riferisco a quel modello ideale di società che offre a tutti gli individui, in un contesto di libertà civili, politiche, di espressione del pensiero, l'opportunità anche materiale a tutti gli individui di esprimere e realizzare, su di un piano di eguaglianza, la propria personalità, il proprio talento, le proprie capacità ed i propri meriti. Nel  quadro mondiale della crisi della sinistra, sempre più omologata alla destra nella resa alla supremazia del turbo capitalismo finanziario, esiste in effetti uno specifico italiano nel quale persino il timido socialdemocratico Hollande è un lontano miraggio e dove prevale una passività disarmante delle classi lavoratrici e dei ceti popolari di fronte a politiche che ne spazzano via redditi e diritti addossando loro tutto il costo dei tentativi di risanamento. E' difficile conoscere e valutare situazioni lontane dalle nostre ma è sotto gli occhi di tutti, solo per portare degli esempi, la differente reazione – con manifestazioni di piazza ed iniziative politico elettorali (Syriza) - della società greca e di quella spagnola rispetto a quella italiana. In Italia dobbiamo accontentarci di ambigui surrogati della sinistra quali il Movimento 5 Stelle o l'Italia dei Valori, di una coalizione PD-SEL che sventola (svendola) bandiere progressiste sempre più sbiadite mentre di fatto si propone di operare in continuità con la politica del governo Monti, di una pletora di formazioni di ispirazione comunista condannate all'ininfluenza ed alla marginalità tra cui la più grande (la Federazione della Sinistra) raggiunge nei sondaggi a mala pena il due per cento dei voti, di una serie di iniziative politiche – tutte lodevoli – quali Alternativa, gli ecologisti, il cartello delle liste civiche che pur agendo indiscutibilmente nel solco della sinistra si sottraggono quasi sdegnate a tale collocazione. Ignavia del popolo italiano e tramonto dell'idea di sinistra sono fenomeni che si sommano e si sostengono reciprocamente. Al riguardo si possono addurre e formulare tante ipotesi e spiegazioni: l'ancora migliore condizione economica della maggior parte degli italiani, con il loro tesoretto di risparmi e con il polmone di economia in nero che continua a rifornire le magre casse di tante famiglie, la minore durezza (o quantomeno la loro diluizione nel tempo) delle misure del governo Monti rispetto a quelle imposte dalla Troika a Grecia e Spagna, il carattere individualista, l'insufficiente identificazione nello Stato, il debole senso civico e la scarsa fiducia nelle azioni collettive da parte di un popolo abituato – da divisioni e dominazioni secolari – a ricercare la sopravvivenza o il successo personale attraverso l'arte di arrangiarsi e la sottomissione e la ricerca del favore dal potente di turno. Ci sono quei fattori, così potenti per il nostro Paese, che ostacolano la libera formazione della volontà popolare quali la forza del grande capitale, il Vaticano, un'informazione in gran parte asservita al potere, l'azione inquinante di cricche, logge massoniche, mafie. Esistono elementi di carattere sociologico-culturale: l'uniformità di pensieri, valori, desideri indotta dal consumismo e dalle televisioni che conduce all'incapacità di sentirsi parte, anche per chi fa parte dei ceti più disagiati, di una specifica classe sociale portatrice di specifici interessi e bisogni. Eppure se pensiamo alla controriforma delle pensioni, al problema degli esodati, allo smantellamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, all’aumento delle imposte (IMU e IVA) che hanno colpito più duramente i poveri rispetto ai ricchi, al tasso di disoccupazione in particolare giovanile, femminile e meridionale, ad un ceto politico che mantiene privilegi di casta, all'aggressione al pubblico impiego additato tra le principali cause della crisi, agli ulteriori colpi inferti al welfare e al sistema scolastico pubblico, l'accesso ai più elevati ruoli sociali che di fatto viene determinato quasi esclusivamente dall'origine familiare ce n’è abbastanza per dare fuoco alle polveri di una rivolta sociale. Eppure in passato non sono mancate manifestazioni di protesta di massa – al Circo Massimo della CGIL di Cofferati in difesa dell'articolo 18, a San Giovanni dei girotondini di Nanni Moretti contro l'illegalità berlusconiana, il NoBDay – mentre ora di fronte a noi c’è il nulla assoluto, due ore di sciopero dei sindacati sulla riforma previdenziale. Eppure non sono mancati segnali della voglia di sinistra e della volontà di cambiamento degli italiani: l'esito dei referendum popolari sull'acqua pubblica e sul nucleare votato dalla maggioranza degli elettori, l'elezione di sindaci come De Magistris, Pisapia, Zedda, Doria, Leoluca Orlando talvolta con alleanze inedite e rovesciando i disegni anche dell'establishment del Partito Democratico, il favore nei sondaggi che hanno riscosso quei partiti – come SEL e IDV – che hanno cavalcato temi tipici della sinistra. . Esiste certo anche un problema di inadeguatezza del ceto dirigente della sinistra, perché – anche se vorremmo tutti una democrazia costruita dal basso e fondata sull'iniziativa consapevole dei cittadini – è utopico pensare ad una politica che possa fare a meno di leader capaci, autorevoli, carismatici in grado di interpretare, anche grazie al contributo delle analisi degli intellettuali, i bisogni e le aspirazioni dei cittadini. Il successo del Movimento 5 Stelle, dove l'apporto dei meetup appare francamente limitato, non è anzitutto il successo di Beppe Grillo e non vale lo stesso per l'Italia dei Valori e Sinistra Ecologia e Libertà? E siamo di fronte infine ad un problema di linguaggio: parole come socialismo e comunismo, come eguaglianza, almeno apparentemente riescono ad affascinare solo settori marginali dei cittadini. E anche qui è esemplare la novità di Grillo: con l'attacco ai partiti, con il riferimento ai problemi concreti delle persone da risolvere con il buon senso senza l'orientamento di alcuna ideologia, con il rifiuto del politicamente corretto e le accuse esplicite agli avversari. Esiste un unico ambito in cui si esprime il ribellismo popolare ed è quello, forse non a caso per la storia italiana, locale laddove c'è da difendere una comunità ed un territorio – ma perché ciò coincide con il proprio interesse privato – da una discarica, da un impianto inquinante, da un'opera devastante. Ecco credo che la sinistra dovrebbe ripartire da qui, dai temi e dalle cose reali che possono suscitare la partecipazione e la mobilitazione popolare: il reddito minimo garantito, il diritto alla casa, la difesa dell'ambiente, la qualità della vita e dei rapporti sociali, l'idea di una città a misura di essere umano, l'eccellenza dei servizi sociali. Insieme alla costruzione dal basso di una rete di legami e di opportunità sociali, economiche, culturali che possano emancipare le persone dai vincoli materiali e dagli stereotipi intellettuali che ci imprigionano. Se fossimo in tanti a perseguire questi obiettivi, tutti quelli che su tanti fronti diversi si stanno già impegnando per cambiare l'Italia, diventerebbe possibile riconquistare le menti e i cuori delle persone in vista della costruzione di una società più giusta.
Da leggere, sul sito di ALBA, Alleanza Lavoro Bene Comuni Ambiente


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