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Devastazione nelle Filippine: come aiutare le vittime del tifone Haiyan

Creato il 12 novembre 2013 da Nonsoloturisti @viaggiatori

“Un livello di distruzione simile a quello dello tsunami del 2004″

“I morti potrebbero essere decine di migliaia”

“Abbiamo visto galleggiare un numero di cadaveri che stimiamo oltre il migliaio”

“Nessuna struttura è rimasta in piedi fino a un chilometro all’interno. Non so descrivere quello che ho visto, è orribile”

Tifone Haiyan - Filippine

Giovedì 7 novembre il ciclone tropicale Haiyan è passato sopra le Filippine, sulle isole Samar, Leyte, Cebu e Panay. Il vento superava i 300 chilometri orari. Alle 17 ora locale (le 10 in Italia) il centro del tifone era sull’isola di Panay, a 320 chilometri a sud di Manila.

Il livello di distruzione causato dall’uragano è stato paragonato a quello dello tsunami del 2004. Le stime più recenti parlano di almeno 10.000 morti e 700.000 sfollati, ma si tratta ancora di valutazioni approssimative, affette dalle difficoltà di comunicazione e spostamento. Migliaia di cadaveri galleggiano in superficie su tutto il territorio, dove prima c’erano case e strade ora sono visibili soltanto macerie sommerse dall’acqua. Una tragedia doppiamente devastante, perché colpisce un Paese di quasi 100 milioni di abitanti, di cui almeno il 40 per cento vive sotto la soglia di povertà.

Tifone Haiyan visto dallo spazio

Chi è stato in viaggio in quell’area dell’Asia, dall’India fino al Sud-Est asiatica, non può aver dimenticato la semplicità con cui si contraddistingue la vita di queste persone. Case di fango e lamiera, capanne di bambù, bungalow di legno consumato dalla salsedine. Ben poco contro la furia del vento e dell’acqua. Si calcola che le persone colpite siano 4 milioni, di cui il 40 per cento sotto i 18 anni. Ancora una volta, i più poveri e indifesi hanno subito la punizione più dura.

Tifone Haiyan - Filippine

L’esercito filippino sta impiegando oltre 15.000 soldati nei soccorsi, ma data la necessità di usare gli elicotteri per spostarsi gli aiuti vanno a rilento. Anche alcuni nostri connazionali sembrano mancare all’appello. L’ambasciatore italiano Massimo Roscigno sta collaborando con l’Unità di Crisi della Farnesina per individuarli e prestare i dovuti soccorsi.

Intanto si sono attivati anche gli aiuti internazionali. Tre dei quattro aeroporti presenti nell’area stanno per riaprire, il che consentirà l’invio di materiali e viveri per gli sfollati. A scarseggiare sono soprattutto acqua potabile, cibo, medicine e ripari. Ovviamente si sono attivate anche le strutture di cooperazione internazionale e le organizzazioni non governative di tutto il mondo. Non dubito che anche in questo caso una buona fetta degli aiuti meglio intenzionati finirà nelle tasche di qualche speculatore senza scrupoli o tra le pieghe di una burocrazia obsoleta. Ciononostante ho provato a raccogliere in questa breve lista alcune organizzazioni di cui ancora non ho avuto motivo di pensare il peggio, cercando tra quelle meno note, quelle – almeno apparentemente – svincolate da strutture governative ed ecclesiastiche, possibilmente radicate nel territorio. Compaiono anche alcuni enti i cui progetti non sono strettamente legati con il ciclone, ma operano da anni per sollevare le condizioni di vita della popolazione filippina. Perché sebbene non sia possibile evitare l’abbattersi di disastri naturali, una comunità più solida e matura può contribuire a limitare il costo in vite umane di simili avvenimenti. Se ne conoscete altre di cui avete fiducia non esitate a indicarle tra i commenti.

Croce Rossa Filippina – Dislocamento di gruppi di salvataggio e supporto

PRO.SA – Lotta alla malnutrizione e istruzione prescolare

Convoy of Hope – Invio di viveri e beni di prima necessità

Mercy Corps – Dislocamento di reparti anti-crisi e collaborazione con le istituzioni locali

World Vision – Invio di viveri e beni di prima necessità

ShelterBox – Strutture di accoglienza per la popolazione sfollata

Flavio Alagia

Flavio Alagia

Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.

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