«Perché gli uomini di carne devono fare così schifo? Perché non sono come quelli di carta?»
«Perché non li inventa una donna, suppongo.»
«Quindi, se Dio esiste, è sicuramente maschio?»
‘L’uccel di Dio’. «O è un uomo di carta anche lui. Dopotutto è perfetto, e in tanti ci hanno scritto sopra un mucchio di cose, a partire da Mosè…»
«Io non voglio un Dio perfetto. Voglio solo un uomo che sappia amarmi.»
«Allora vuoi un Dio perfetto . Agli uomini, ad amare, lo insegnano le donne.» Insegnami.
“Di carne e di carta” è il primo libro autopubblicato di Mirya, nasce come una fan fiction originale sul sito Efp e si evolve lentamente per approdare in quel di Amazon. Ho seguito la stesura a capitoli fin dal principio eppure, ogni volta che lo rileggo, mi emoziono di nuovo. Perché non è una semplice storia d’amore, perché Mirya lascia intravedere la possibilità del forse, l’irruenza del non fermarsi di fronte a niente e la gioia di sapere che il vero amore è una conquista giornaliera non un punto di arrivo.
Chiara vive di carta. Insegna, studia e legge di tutto. Sui libri e coi libri è cresciuta, i libri sono stati la sua famiglia e i suoi migliori amici e dai libri ha appreso l’amore: l’amore per le pagine ma anche per gli uomini che in quelle pagine vivono.
Leonardo entra nella sua vita per seguirla nel Dottorato di ricerca, ed è un uomo concentrato sulla realtà di carne: per lui il distacco dalle parole scritte è vitale e non accetta l’approccio passionale di Chiara. Ma è stato davvero un caso, a portarlo da lei, o c’è una trama anche dietro al loro incontro?
Tra un canto di Dante e una canzone degli ABBA si combatte la guerra tra la carne e la carta, una guerra che non ha vincitori né perdenti e che forse non ha nemmeno schieramenti.
Sono in imbarazzo nella stesura di questa recensione, sia per l’affetto che mi lega alla storia, sia perché mi sono ritrovata a chiudere dei cerchi, e infine perché ho appena concluso l’esperienza del Leonardo Read Along, un RA ricco di avvenimenti, di scoperte e di conversazioni interessanti. Un libro molto atteso e molto amato è sempre difficile da descrivere.
La storia inizia in medias res ed è narrata in terza persona dal punto di vista di Chiara, la nostra protagonista. È con lei che se ne seguono le dinamiche e le emozioni, ed è con lei che si scopre giorno per giorno che cosa accade. Inizialmente vediamo Chiara che arriva in facoltà per discutere della sua tesi di dottorato e si trova davanti Leonardo Villani. Chiara è prima di tutto una sognatrice, che si è sempre rifugiata nei libri per sfuggire alla sua vita familiare, che nei libri ha trovato conforto e modelli da seguire, che dei libri si è fatta scudo. La “carta” che ritorna in maniera ossessiva. La carta che studia e analizza, quelle “sudate carte” che non fanno che accumularsi. La “carta” del suo uomo ideale, quegli esempi di uomo nei romanzi romantici che le fanno da prototipo. La “carta” scudo e diletto. Ma quando Chiara deve scontrarsi con la realtà di “carne”, le sue convinzioni iniziano a vacillare. Le emozioni dettate dal contatto fisico si moltiplicano a dismisura e non sono ignorabili.
“…l’attrazione non era una questione puramente estetica, ma un insieme di fattori che potevano essere vaporizzati da un pessimo comportamento…”
Perché la carne non è prevedibile e di certo Leonardo non è dei più semplici da capire. Se l’attrazione è immediata, perché ammettiamolo il Sig. Villani è un uomo bellissimo e affascinante dagli “occhi blu chiaro”, quel profumo che lo permea e lo segue come un’ombra, e il polso, uno dei primi dettagli che coglie Chiara. Ma se l’occhio vuole la sua parte, Chiara è una donna e ci vuole altro per partire per la tangente. Leonardo è un uomo combattuto, che della carta non si è mai fidato e in un certo senso non si è mai fidato neanche della carne, un uomo freddo, analitico e intransigente, ma che si lascia sedurre anche lui dalla carta.
…se proprio devo pensare a te come ad un volatile, scelgo sempre l’uccel di Dio…
Apparentemente potrebbe sembrare la classica storia del lui bastardo e lei bella e ingenua. Non si tratta di questo, si tratta di uno scontro tra volontà e di ideali, di schemi mentali e di emozioni vere. Leonardo e Chiara lottano, si scontrano, si incontrano a metà strada, nel mezzo di una piscina, ma in ogni situazione, in ogni scena, c’è quella corrente di fondo che garantisce una certa unità.
Quello che affascina del libro è il ricorrere di certe frasi o parole, che rendono tutto molto più organico e creando allo stesso tempo una struttura complessa e affascinante. La carta e la carne, un dualismo che non si spegne nei cuori ma che si accende nelle passioni. Chiara e Leonardo si abbracciano e vivono una possibilità, “una scommessa d’amore” come canta Cremonini, uno scegliersi quotidiano che si rinnova, tra baci, plumcake e feste natalizie.
Per noi non funziona così: ti vedo, e in quell’istante sento se sono o non sono attratto da te. Poi la cosa può crescere o smorzarsi, ma credimi , è proprio quando cresce che non è così facile gestirla.
Storia di vita vera, un confronto che non è amore a prima vista, ma nasce da una conoscenza reale e lascia presumere un rapporto che si evolve e arzigogola. Ma c’è tanto altro.
Ci sono Ivano e Paula, una coppia magnifica che inneggia all’amore, che nasce dalla disparità di opinioni e situazioni e che si afferma in un modo mai visto.
Non ho bisogno di dover pensare a mia moglie. Lei semplicemente è ogni mio pensiero.
Con lo sguardo che si illumina per una telefonata, quella sincerità totale e disarmante, la simpatia nascosta e irraggiungibile di Ivano, la scioltezza delle battute di Paula.
La famiglia, quella dei Villani e quella di Chiara, quel “la famiglia è un monstrum a due teste che, a seconda di quale bocca usa, può fare molto bene o molto male, divorare o baciare” e che Mirya descrive e pennella sotto lo sguardo attonito del lettore. L’aiuto e il soccorso, il danno e l’indifferenza, che fanno dei parenti dei serpenti e dei genitori degli educatori, ma anche degli esseri umani che possono commettere degli sbagli in buona fede.
L’amicizia, quella vera, quella intensa, quella che non perdona, che c’è per un bicchiere di vino o una torta o una canzone. Che non si dimentica, che non abbandona, perché Alessandra è così, spontanea e convincente, provocante e divertente e sicuramente uno dei miei personaggi preferiti. Appassionata degli Abba, si arma per difendere Chiara, che redarguisce teneramente quando se lo merita. Dalle idee strampalate, ma che resta sempre adorabilmente docile.
Vediamo anche un altro lato di Chiara, quello più formale, ma non meno impersonale, quello dell’insegnante e Mirya ci regala quella meraviglia che è Sivieri. Chiara è una professoressa che ha trovato il giusto equilibrio tra essere severa ed essere morbida, spronando gli alunni a fare meglio e lodandoli quando raggiungono dei buoni risultati. Una di quelle insegnanti a cui si ripensa sempre con un sorriso anche in età adulta.
Il libro che scivola via, è un ricettacolo di citazioni, calibrate al dettaglio, che uniscono cultura pop come i Simpson a passi della Divina Commedia, senza mai cambiare di registro e risultare troppo sgradevole o intellettuale. Mirya gioca con le parole, le ripetizioni e i flashback regalando una storia intrisa di sentimenti senza essere stucchevole, camminando su quel sottile filo di lama che taglia le romance come un chirurgo.
Per l’ambientazione Mirya usa la sua città, la città estense per eccellenza, Ferrara, con le sue strade, l’Hurly Burly, la facoltà di Chiara, la piazza del Listone, il freddo pungente dell’autunno che cede il passo all’inverno, il sapore del Natale che arriva e quella nebbia che “agl’irti colli piovviginando sale” che sembra cospargere tutto di un’atmosfera sognante. Ferrara facilmente riconoscibile anche nell’eco dei passi di Leonardo e Chiara, le corse su per le scale e i parcheggi.
Il particolare da non dimenticare? Una spillatrice… e una supposta effervescente.