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Di che parla la tua storia? L’esempio di Dostoevskij

Da Marcofre

Fedor Dostoevskij

Si sa che è necessario buttare giù le basi, quando si ha l’idea di un romanzo, e lavorare per settimane (mesi?) per fare in modo che quelle basi acquistino solidità, e non crollino nel giro di una giornata sotto i colpi della prima crisi, del primo “blocco dello scrittore” che ci capita. Non è possibile procedere a caso, seguendo l’ispirazione, perché una storia è in realtà qualcosa di concreto. Ciccia e sangue. Come una casa. L’errore più grave è considerare le parole “aria”: niente di tutto questo. Devi colpire, arrivare al lettore attraverso i suoi sensi. E già in questa fase iniziano i problemi, che di solito si affrontano adottando una strategia geniale: ignorandoli.
Secondo te può funzionare? No, esatto.

Di che parla la tua storia?

Ti sembra una domanda da 100 milioni di dollari, eppure da un anno lavori alla tua storia, ci pensi su, rifletti, mediti, ti fai le domande e ti dai le risposte… Ma non sai rispondere a questo semplice interrogativo: Di che parla la tua storia?
Allora hai un problema. Se non sei capace di rispondere con una frase limpida e cristallina, non stai scrivendo. Stai pestando l’acqua in un mortaio. Occupazione nobilissima, sia chiaro, sviluppa i muscoli delle braccia, brucia un po’ di calorie.
Prendi allora esempio da Dostoevskij.

Si tratta del resoconto psicologico di un delitto.

Lo scrittore russo sta cercando di piazzare il suo prodotto presso l’editore di una rivista, “Il Messaggero Russo”. Lui parla di un racconto, e quel racconto è “Delitto e Castigo”. E sa bene come presentarlo. Non sta “menando il can per l’aia”, arriva subito al dunque. Alla ciccia.
Nella storia sulla quale ha meditato probabilmente per mesi, c’è un delitto, si tratta di un resoconto di questo delitto, ma psicologico. Fine. È un ottimo gancio perché permette all’editore di farsi un’idea di che cosa parlerà la storia. Lo stile è tipicamente giornalistico: dire subito di che cosa si parla e solo dopo dilungarsi, spiegare.
Soprattutto adesso, un editore di se stesso deve essere in grado di spiegare in un batter d’occhio di che cosa parla la sua storia. Se non ci riesci, male. Forse non ci hai davvero pensato. Forse non c’è nessuna storia. Di sicuro sarà dura buttare giù due righe di sinossi se non sai nemmeno parlare dello scheletro della tua storia.

Se non sai dove piazzare la tua storia, dovrei saperlo io?


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