Di chi è la responsabilità? / 1

Creato il 18 febbraio 2012 da Dallenebbiemantovane

“Noi siamo stati i più fortunati” ammette mia mamma, classe 1948.

“La vostra è l’unica generazione che non solo non ha visto la guerra, ma è stata tutelata (sto per dire from the cradle to the grave, ma lei non sa l’inglese e non ascolta gli U2) dalla nascita fino alla pensione. Noi lo saremo ancora per poco” faccio io.

Anche oggi, fresche testimonianze di un giorno di ordinaria amministrazione infernale in un pronto soccorso italiano, non sui quotidiani ma sul blog della giornalista Loredana Lipperini http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/

Ma perché lo leggo? Non sapevo già che è così? Oddio, rispetto a Roma, o all’estremo sud (penso alla situazione siciliana o calabrese), noi mantovani siamo relativamente fortunati. Io quattro giorni al pronto soccorso non li ho mai passati. Due, tre, quattro ore per un codice bianco sì, più d’una volta.

Una notte di tre anni fa mi sono fatta ricoverare per una gastroenterite acuta.

Che cos’avrei dovuto fare? Quando stai male, di notte naturalmente, e abiti da solo, e la guardia medica è già venuta due volte, ti ha già fatto due iniezioni, e la terza volta comincia a guardarti seccata e a dirti: “Io più di così non posso fare, secondo me non è grave ma le consiglio di chiamare l’ambulanza”, tu obbedisci.

Per fortuna Mantova non è Roma, e l’ambulanza, di notte, una notte feriale, arriva subito.

Forse erano perfino contenti di avere qualcosa da fare. Di sicuro sono arrivati subito.

E di sicuro ero contenta io, protetta, rassicurata dall’avere passato quello che restava di quella notte, più o meno dalle 4 alle 8, su una barella, e poi il ricovero in day hospital, gli esami di rito, la telefonata alla mamma che inizia con “Non agitarti, ma...”.

Il fatto è che, mentre noi scriviamo le nostre cazzate antistress su Facebook e Twitter, ci stanno smantellando attorno, pezzo per pezzo, il welfare state che eravamo abituati a dare per scontato.

La sanità e la scuola sono le prime di cui ci accorgiamo.

Chi, come me, non ha figli, percepisce più che altro la prima lacuna e solo di riflesso, dai massmedia e dagli amici, la seconda.

Il progressivo decremento della qualità e quantità dell’offerta sanitaria è chiarissimo per chiunque ne abbia bisogno.

E non conta niente, in questo ragionamento generale, constatare che oltre al medico di base, alla guardia medica e al pronto soccorso, esistono anche ambulatori di guardia medica aperti giorno e notte durante il weekend cui i cosiddetti codici bianchi potrebbero e dovrebbero rivolgersi in prima istanza quando hanno un calo di pressione, una colica, una ferita leggera.

Non conta perché il sistema sanitario fa di tutto per non farcelo sapere, che esistono questi presidi a metà via tra il medico di base e il pronto soccorso.

Non conta perché sono gli stessi operatori del presidio, quando dici loro con blanda aria di rimprovero, “Certo che se pubblicizzassero di più la vostra esistenza”, a scongiurarti di non diffondere la voce, che non vogliono mica ritrovarsi l’ambulatorio intasato.

Già. Perché entrambe le volte in cui ci sono andata io, l’ambulatorio era praticamente vuoto. La prima volta (pomeriggio del sabato di Pasqua 2010, taglio di un’arteria della mano e lieve sanguinamento) ci saranno state due persone prima di me. La seconda (calo pressorio di mia mamma) una persona se ne stava andando; sala d’attesa vuota.

Colgo l’occasione per informare i mantovani che di questi presidi, in città, ce ne sono due: uno a Lunetta (non sono riuscita a trovare l’indirizzo), l’altro non lontano dall’ospedale, in via Hrovatin 2. Altri due – pochi per la verità – si trovano a Castel Goffredo e a Goito. Come si può notare, restano completamente sguarniti la Bassa e l’Oltrepò, mentre è sovraservito l’Alto Mantovano.


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